Franca Sozzani: differenze tra le versioni

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'''Franca Sozzani''' (1950 – vivente), giornalista ed editore italiana.
Mantova 20 gennaio 1950. Giornalista. Direttore dell’edizione italiana di Vogue (dal 1988).
 
• Figlia di Gilberto, ingegnere prima alla Fiat e poi alla OM, e di Adelmina Rebuzzi, casalinga. Liceo classico alle marcelline, poi Lettere alla Cattolica di Milano con tesi in Filologia germanica. Suo progetto: vivere senza far niente. Invece si sposò e dopo tre mesi, incinta del figlio Francesco, si separò. Pensando che le sarebbe stato più facile spiegare la cosa al padre con un lavoro, rispose a un’inserzione e si ritrovò nella casa editrice Condé Nast. Non sapeva nulla di moda né di stilisti. Fu impiegata come segretaria. Di lì una carriera straordinaria.
*La [[semplicità]] è più difficile da creare della stravaganza fine a se stessa. (da ''[http://www.vogue.it/magazine/blog-del-direttore/2012/06/27-giugno Blog del Direttore]'', ''Vogue'', 7 giugno 2012)
• «È una delle donne più potenti che esistano nel mondo della moda. Dicono, forse esagerando, che può fare e disfare le fortune di uno stilista. Dicono anche che si accorge con anni di anticipo di tutte le tendenze. Forse anche perché le determina. Occhi celesti, lunghi capelli biondi, struttura minuta e apparentemente fragile, è la donna alla quale si inchinano tutti i più famosi fotografi di moda del mondo. A lei chiedono consigli e consulenze i più celebri stilisti» (Claudio Sabelli Fioretti).
 
• «Io vestivo solo Saint-Laurent, ero piena di catene. La cosa rendeva pazzi tutti. Oliviero Toscani, quando mi vedeva, andava fuori di testa. Secondo lui mai e poi mai avrei potuto occuparmi di moda. Per tre anni mi sono messa jeans e maglione. Di lì non mi schiodavo. E mi sono tagliata i capelli cortissimi. Tutti erano ritenuti più divertenti, più strani di me. Il massimo era una ragazza che viveva con un ragazzo nei sottotetti e andava a fare le vacanze col furgone usato. Io ero infelicissima. Se c’è una cosa che ho sempre odiato sono i jeans, i maglioni e i capelli corti. Da bambina ho studiato in Francia, in Svizzera, in Inghilterra. Ma il liceo l’ho fatto a Milano. L’ambiente era quello noioso della borghesia milanese. Nessuna delle mie compagne ha mai lavorato. Non era contemplato. A Condé Nast, la casa editrice di Vogue, mi offrirono di fare la redattrice di Vogue bambini. Poi la Condé Nast fece l’edizione italiana di Glamour. Si chiamava Lei. Lì cominciai a essere un po’ più attiva. Quello che mi era stato subito chiaro era l’importanza dell’immagine. In Italia la fotografia era considerata solo un mezzo per far vedere i vestiti. Il fotografo era un esecutore. Andai negli Stati Uniti e incontrai Bruce Weber, Steven Meisel, Herb Ritts: tutti giovani e sconosciuti. Cominciai a fare con loro i primi servizi. Arriva Per Lui, versione maschile di Lei. E io arrivo al punto che sono stufa di tutti e due e sto per mollare. Ma mi offrono Vogue e rimango. L’inizio è stato molto sofferto. Io facevo un’immagine che pochi capivano. Abbiamo perso i clienti pubblicitari. Non si riconoscevano in questa nuova moda. Loro facevano i tailleur, i cappottini, le cose tutte per bene. Dall’altra parte i clienti che interessavano a me facevano fatica ad arrivare, perché Vogue li aveva scontentati per anni a forza di prendere chiunque, dai grandi stilisti ai prontisti. Il successo l’ho raggiunto quando gli altri si sono messi a fare la stessa cosa».
==Altri progetti==
• Sui suoi capricci: «È vero, sono fissata con i cappuccini, voglio la schiuma come dico io e il latte non troppo caldo. Ma non ho mai picchiato qualcuno per questo come la Miranda Priestly de Il diavolo veste Prada. E quanto alla frutta non di stagione, dico, avrò ragione o no? Mangio solo quello e quando chiedo di andarmi a prendere l’uva, arrivano in estate con una mela o un’arancia. Avrò ragione di innervosirmi? Sì, ho anche la fissazione per le case, ma non compro gioielli, non compro vestiti, non porto mai borse, non colleziono quadri. Le case mi piacciono ed è vero, ne ho parecchie, ma tante sono quelle che mi vengono accreditate e che in realtà non posseggo. A Marrakesch fui la prima a comprare nella Medina, ho acquistato case meravigliose per niente. Oggi sarebbe impensabile. In realtà, tutto quello che si è comprato in lire è stato un affare. Confesso un’altra mania, conservo le scarpe di Manolo Blahnik, sono oggetti splendidi che mi piace guardare. No, non è vero che sono altera e che non saluto. Sono miope. Porto i famosi occhiali neri, sempre, non per vezzo ma per reale esigenza. Ah, sulla storia delle redattrici che devono essere per forza di taglia 42... è successo ma c’è un perché. Io non prendo redattrici dagli altri giornali, mi piace crescerle professionalmente come dico io. Va da sé che siano giovani e le giovani sono più facilmente magre. Non è una strategia...» (Michela Tamburrino).
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• Dice che la sua magrezza leggendaria è di famiglia. La sorella Carla è in effetti altrettanto magra.
 
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[[Categoria:Editori italiani|Sozzani, Franca]]
[[Categoria:Giornalisti italiani|Sozzani, Franca]]