Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni

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==''LStoria d'Italia del miracolo''==
===''L'Italia del miracolo''===
*Dopo il politico che era anche statista vennero i politici che, nei casi migliori, erano soltanto politici. Se ne ebbe il primo segno l'anno dopo quando, alle elezioni per la Presidenza della Repubblica, il posto di [[Luigi Einaudi]] fu preso da [[Giovanni Gronchi]].
 
===''L'Italia dei due Giovanni''===
*L'Italia dei due Giovanni fu insieme l'erede – non sempre degna – di De Gasperi, e l'incubatrice degli anni di violenza e di piombo. Fu l'una e l'altra cosa in maniera stagnante, opaca, confusa e in larga misura inconsapevole. Gli uomini che si avvicendarono sulla scena politica, anche i migliori, ebbero intuizioni di largo respiro, come il passaggio dei socialisti dall'opposizione al Governo, ma non videro né capirono i veri fermenti e le peggiori insidie che covavano nel corpo del Paese. Attento alle grandi o piccole manovre d'anticamera e di corridoio, il Palazzo aveva, o così parve, le finestre chiuse. Quando le aprì, allarmato dal clamore, era già '68.
 
===''L'Italia degli anni di piombo''===
====[[Incipit]]====
*Per tutti gli anni Settanta, e per i primi Ottanta, noi fummo indicati alla pubblica esecrazione come i fascisti, i golpisti, in una parola i lebbrosi. E forse saremmo ancora nel ghetto in cui ci avevano relegato, se a trarcene fuori dandoci completa ragione non fossero sopravvenuti i fatti. Spogliarci di questo passato e parlarne come se non ci avessimo partecipato è stato, per [[Mario Cervi|Cervi]] e per me, lo sforzo più grosso. Speriamo di esservi riusciti: nei limiti, si capisce, di quell'angolatura da cui nemmeno lo storico più obbiettivo e imparziale può prescindere. Per noi gli anni che vanno dalla strage di piazza Fontana all'assassinio di [[Aldo Moro|Moro]] non sono affatto «formidabili» come li dipingono certi commentatori e memorialisti di sinistra per giustificare i propri trascorsi di fiancheggiatori del terrorismo. Per noi quei «formidabili» anni furono quelli del sopruso di una minoranza ubriaca di mode e di modelli d'importazione ([[Herbert Marcuse|Marcuse]], [[Mao Tse-tung|Mao]], [[Che Guevara]]) su una maggioranza succuba anche perché priva di una voce che la rappresentasse. Noi fummo questa voce. E non possiamo prescinderne anche se abbiamo fatto di tutto per dimenticarcene. Secondo noi, il bilancio di quei «formidabili» anni è tutto in passivo. Essi non si sono lasciati dietro che lutti, galere, e quella cosiddetta «cultura del sospetto» che seguita ad inquinare la nostra vita pubblica, continuamente scossa da scandali più o meno pretestuosi che proprio in quei «formidabili» anni hanno la loro origine e radice.
 
====Citazioni====
*La primavera del 1975 era stata a Milano, capitale dell'eversione, tremenda. Il 13 marzo 1975 un ''commando'' di Avanguardia operaia aveva massacrato a colpi di chiave inglese lo studente diciassettenne Sergio Ramelli, aggredito sotto casa sua all'Ortica (un quartiere periferico milanese) mentre parcheggiava il ciclomotore. Ramelli era un simpatizzante dell'estrema destra: per questo nell'istituto tecnico industriale Molinari, dove studiava, l'avevano sottoposto a un «processo» assembleare, e costretto a cambiare scuola. I fanatici che lo perseguitavano non ne furono appagati. Radunatisi nei locali della facoltà di Medicina dell'Università Statale – dove la facevano da padroni – decisero di «dare una lezione» al ragazzo. La «lezione» gli costò la vita, Ramelli morì dopo oltre un mese di agonia (elementi della stessa Avanguardia operaia assalirono con bottiglie Molotov, biglie, spranghe un bar milanese frequentato dai «neri», e di «neri» o presunti tali ne ferirono seriamente sette). Nei covi dell'eversione si auspicò che la marcia rivoluzionaria annoverasse «cento, mille, centomila Ramelli». Morti, ovviamente. Dieci anni dopo l'agguato a Ramelli i suoi uccisori furono individuati e arrestati: alcuni resero piena confessione. Erano quasi tutti ex-studenti di Medicina che, approdati alla laurea, avevano per lo più trovato posto in strutture sanitarie pubbliche. Professionisti rispettati, con famiglia, anche se uno di loro era rimasto in politica, come dirigente di Democrazia proletaria. Le condanne furono abbastanza severe: dagli undici anni per i «capi» della squadracela a sei anni per i gregari. Così come per l'omicidio di Calabresi, anche per questo di Ramelli apparve scioccante, negli imputati, l'apparente estraneità psicologica e anche ideologica alla cieca e sanguinaria furia del tempo in cui imperava la legge della chiave inglese.
*Il 16 aprile successivo (1975) un neofascista noto, Antonio Braggion, uccise con un colpo di pistola uno studente – anche lui, come Ramelli, diciassettenne – Claudio Varalli. Quasi tutta la stampa invocò una pena durissima, e quando fu pronunciata la sentenza la sinistra protestò rumorosamente perché era stata – sostenne – troppo mite. I fatti furono così ricostruiti: un gruppo di studenti reduci da una manifestazione contestataria aveva avvistato, in piazza Cavour a Milano, tre neofascisti: due erano scappati, il terzo, appunto il Braggion, oltretutto impedito nei movimenti perché zoppicava, s'era rifugiato nella sua auto, parcheggiata lì vicino. Il gruppo gli era piombato addosso, ed aveva cominciato a tempestare con le aste delle bandiere o con altro la vettura, infrangendone il lunotto posteriore. Allora il terrorizzato Braggion, che teneva una pistola nell'auto, l'aveva impugnata e aveva sparato centrando uno degli assalitori, appunto Claudio Varalli. Questo era tanto vero che la Corte d'Assise inflisse in primo grado al Braggion cinque anni per eccesso colposo di legittima difesa e cinque per possesso abusivo d'arma: in secondo grado la condanna fu di tre anni e tre mesi, per gli stessi reati. I giudici seppero resistere ad una pressione politica, di stampa e di piazza, che avrebbe voluto fosse disconosciuto il fatto, evidente, che l'omicida non aveva aggredito, ma era stato aggredito.
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*Di [[Sandro Pertini|lui]], scrivemmo «a caldo» che «rappresentava al meglio il peggio degli italiani». A cadavere raffreddato, lo confermiamo. Gli italiani si riconobbero in Pertini, nel quale la classe politica non s'era mai riconosciuta. Fu la sua forza.
 
===''L'Italia degli anni di fango''===
*Al PSI non mancava in un momento cruciale – o almeno così parve – il vigore del suo leader. Gli venne invece meno, il 24 febbraio 1990, uno dei suoi personaggi simbolici, il vegliardo [[Sandro Pertini]]: che si spense quietamente, dopo le tante tempeste d'una lunga, coraggiosa e onesta vita, e dopo tante impennate generose. Era stato, nei suoi anni al Quirinale, più il nonno che il padre della Patria: del nonno aveva il piglio, con la sua pipa, le sue sgridate, le sue lodi, i suoi baci: anche con qualche sua intemperanza bizzosa, mai cattiva. Gli italiani lo rimpiansero con affetto fervido e spontaneo. All'estremo saluto – solenne e commosso – che l'Italia diede al socialista cristallino e al Presidente indimenticabile, mancò, per renderlo più toccante, solo una presenza: quella di Sandro Pertini, se avesse potuto seguire il suo funerale.
*Tra tante celebrità, nessuno fece caso ad un senatore, anzi ad un ''senatur'', che la Lega lombarda era riuscita a portare a Palazzo Madama (insieme a un deputato, l'architetto Giuseppe Leoni, a Montecitorio). Si chiamava [[Umberto Bossi]] e pareva destinato, con la sua pronuncia brianzola e le sue cravatte da bar dello sport, a far magra figura tra gli incalliti marpioni.
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*Libero com'è da ossessioni elettoralistiche, [[Carlo Azeglio Ciampi|Ciampi]] fronteggia come meglio può le scadenze politiche e le emergenze economiche, prima tra tutte la disoccupazione. Ha conseguito risultati notevoli nella difesa della lira e nella lotta all'inflazione giovandosi peraltro d'una congiuntura internazionale che è contrassegnata sia dalla recessione, sia da una relativa stasi dei prezzi. I banchieri e finanzieri del governo traghettatore sanno il loro mestiere, e sembrano sulla buona strada per domare l'inflazione italiana. Sta a vedere come riusciranno a domare la rivoluzione italiana, e le tante controrivoluzioni che sotterraneamente le si stanno opponendo. Il futuro è già cominciato, ma nessuno sa come proseguirà.
 
===''L'Italia dell'Ulivo''===
*Credemmo che l'Italia avesse liquidato [...] un regime {{NDR|quello [[fascismo|fascista]]}} che le aveva impedito di essere se stessa. Ed invece gli eventi [...] ci dimostravano che non era affatto cambiata con il cambio del regime. Erano cambiate le forme, ma non la sostanza. Era cambiata la retorica, ma era rimasta retorica. Erano cambiate le menzogne, ma erano rimaste menzogne. Erano soprattutto cambiate le mafie del potere e della cultura, ma erano rimaste mafie.
*Entrambi assistemmo e fummo i cronisti della rapida degenerazione della democrazia in partitocrazia, cioè in un oligopolio di camarille e di gruppi che esercitavano il potere in nome della cosiddetta "sovranità popolare"; in realtà nel solo interesse di quei gruppi e camarille, che di interesse ne avevano uno solo: che il potere restasse "cosa nostra", come infatti per quasi cinquant'anni è stato, e come seguita ad essere anche ora che ha cambiato titolari, ma sempre restando "cosa nostra".
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*Ho smesso di credere all'utilità di una Storia scritta al di fuori di tutti i circuiti della politica e della cultura tradizionali. Anzi, ad essere sincero sino in fondo, ho smesso di credere all'[[Italia]].
 
====[[Explicit]]====
*Sangue non ce ne sarà: l'Italia è allergica al dramma, e per essa nessuno è più disposto ad uccidere e tanto meno a morire. Dolcemente, in stato di anestesia, torneremo ad essere quella "terra di morti, abitata da un pulviscolo umano", che Montaigne aveva descritto tre secoli orsono. O forse no, rimarremo quello che siamo: un conglomerato impegnato a discutere, con grandi parole, di grandi riforme a copertura di piccoli giuochi di potere e d'interesse. L'Italia è finita. O forse, nata su dei plebisciti-burletta come quelli del 1860-'61, non è mai esistita che nella fantasia di pochi sognatori, ai quali abbiamo avuto la disgrazia di appartenere. Per me non è più la Patria. È solo il rimpianto di una Patria.