Indro Montanelli e Mario Cervi: differenze tra le versioni

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==''L'Italia dei due Giovanni''==
*L'Italia dei due Giovanni fu insieme l'erede - non sempre degna - di De Gasperi, e l'incubatrice degli anni di violenza e di piombo. Fu l'una e l'altra cosa in maniera stagnante, opaca, confusa e in larga misura inconsapevole. Gli uomini che si avvicendarono sulla scena politica, anche i migliori, ebbero intuizioni di largo respiro, come il passaggio dei socialisti dall'opposizione al Governo, ma non videro né capirono i veri fermenti e le peggiori insidie che covavano nel corpo del Paese. Attento alle grandi o piccole manovre d'anticamera e di corridoio, il Palazzo aveva, o così parve, le finestre chiuse. Quando le aprì, allarmato dal clamore, era già '68.
 
==''L'Italia degli anni di piombo''==
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===Citazioni===
*La primavera del 1975 era stata a Milano, capitale dell'eversione, tremenda. Il 13 marzo 1975 un ''commando'' di Avanguardia operaia aveva massacrato a colpi di chiave inglese lo studente diciassettenne Sergio Ramelli, aggredito sotto casa sua all'Ortica (un quartiere periferico milanese) mentre parcheggiava il ciclomotore. Ramelli era un simpatizzante dell'estrema destra: per questo nell'istituto tecnico industriale Molinari, dove studiava, l'avevano sottoposto a un «processo» assembleare, e costretto a cambiare scuola. I fanatici che lo perseguitavano non ne furono appagati. Radunatisi nei locali della facoltà di Medicina dell'Università Statale - dove la facevano da padroni - decisero di «dare una lezione» al ragazzo. La «lezione» gli costò la vita, Ramelli morì dopo oltre un mese di agonia (elementi della stessa Avanguardia operaia assalirono con bottiglie Molotov, biglie, spranghe un bar milanese frequentato dai «neri», e di «neri» o presunti tali ne ferirono seriamente sette). Nei covi dell'eversione si auspicò che la marcia rivoluzionaria annoverasse «cento, mille, centomila Ramelli». Morti, ovviamente. Dieci anni dopo l'agguato a Ramelli i suoi uccisori furono individuati e arrestati: alcuni resero piena confessione. Erano quasi tutti ex-studenti di Medicina che, approdati alla laurea, avevano per lo più trovato posto in strutture sanitarie pubbliche. Professionisti rispettati, con famiglia, anche se uno di loro era rimasto in politica, come dirigente di Democrazia proletaria. Le condanne furono abbastanza severe: dagli undici anni per i «capi» della squadracela a sei anni per i gregari. Così come per l'omicidio di Calabresi, anche per questo di Ramelli apparve scioccante, negli imputati, l'apparente estraneità psicologica e anche ideologica alla cieca e sanguinaria furia del tempo in cui imperava la legge della chiave inglese.
*Il 16 aprile successivo (1975) un neofascista noto, Antonio Braggion, uccise con un colpo di pistola uno studente – anche lui, come Ramelli, diciassettenne – Claudio Varalli. Quasi tutta la stampa invocò una pena durissima, e quando fu pronunciata la sentenza la sinistra protestò rumorosamente perché era stata - sostenne - troppo mite. I fatti furono così ricostruiti: un gruppo di studenti reduci da una manifestazione contestataria aveva avvistato, in piazza Cavour a Milano, tre neofascisti: due erano scappati, il terzo, appunto il Braggion, oltretutto impedito nei movimenti perché zoppicava, s'era rifugiato nella sua auto, parcheggiata lì vicino. Il gruppo gli era piombato addosso, ed aveva cominciato a tempestare con le aste delle bandiere o con altro la vettura, infrangendone il lunotto posteriore. Allora il terrorizzato Braggion, che teneva una pistola nell'auto, l'aveva impugnata e aveva sparato centrando uno degli assalitori, appunto Claudio Varalli. Questo era tanto vero che la Corte d'Assise inflisse in primo grado al Braggion cinque anni per eccesso colposo di legittima difesa e cinque per possesso abusivo d'arma: in secondo grado la condanna fu di tre anni e tre mesi, per gli stessi reati. I giudici seppero resistere ad una pressione politica, di stampa e di piazza, che avrebbe voluto fosse disconosciuto il fatto, evidente, che l'omicida non aveva aggredito, ma era stato aggredito.
*Fu invece inequivocabilmente volontario e «nero» l'assassinio di Alberto Brasili, il 25 maggio 1975, in piazza San Babila, che era a Milano l'area privilegiata del peggior neofascismo. Brasili, uno studente che militava alla sinistra estrema, fu circondato da una pattuglia di forsennati ultras di destra. Uno di loro l'accoltellò, a morte. L'episodio era esecrabile. Ma non per questo diventano credibili i commenti, come quello del ''Corriere'', secondo i quali «chi ammazza deliberatamente, chi disprezza la vita altrui, chi è pronto a usare la pistola e il coltello, sono i fascisti». Anche i fascisti. Ma non solo loro.
*La storia non si fa – e nemmeno la cronaca – con i se. Ma è legittimo ipotizzare ciò che sarebbe potuto accadere se i brigatisti rossi, anziché obbedire alla voluttà di distruzione e di morte – quella che induceva un militante a sognare l'avvento d'un regime alla [[Pol Pot]], con una immane e salvifica carneficina – avessero liberato Moro: quel Moro che aveva coperto d'accuse e recriminazioni i suoi amici di partito, che aveva rinnegato la DC, che sarebbe riemerso dalla segregazione catacombale di via Montalcini gonfio di rancori, e ansioso di vendette da assaporare a freddo. Per la DC la sua presenza sarebbe stata dirompente, se non devastatrice. Il martire sfuggito alla morte poteva diventare – lo diventeranno del resto la moglie e i figli – il peggior nemico della ''Nomenklatura'' democristiana. Altro che [[Francesco Cossiga|Cossiga]] (il Cossiga del 1991, per intenderci).