Nikolaj Vasil'evič Gogol': differenze tra le versioni

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*Noialtri, vedete, ci siamo civilizzati, abbiam frequentato l'università: eppure, a che siamo buoni? Dite, che cosa ho imparato io? A vivere regolatamente non solo non ho imparato, ma peggio ancora, ho imparato l'arte di buttar via il piú denaro possibile in ogni sorta di nuove raffinatezze e ''comforts'', e ho fatto l'abitudine a oggetti d'un certo genere, che per averli ci vuol del denaro. Forse perché io non ho studiato con profitto? No, giacché lo stesso è accaduto anche agli altri compagni. Due, tre fra tutti ne han ricavato un'utilità reale, ma anche questo, forse, perché erano di per sé intelligenti: tutti gli altri, vedete, non fanno che affaticarsi a imparare ciò che rovina la salute e scrocca il denaro. Verità di Dio! E sapete che mi viene in mente? Certe volte, credete, mi fa l'impressione che l'uomo russo sia in certo modo un uomo perduto. Vorremmo far tutto, e non riusciamo a far nulla. Sempre ti dici che da domani comincerai una nuova vita, da domani ti metterai a regime; e nulla ne vien fuori: quella sera stessa farai una scorpacciata tale, che sarai buono soltanto a sbattere gli occhi, e non potrai neppure rigirar la lingua: starai lí come un allocco, guardandoti intorno: questo è garantito! E tutti cosí. (II, 4; 1977, p. 328)
*Ah, Pavel Ivànovič, Pavel Ivànovič! che uomo sarebbe potuto uscir da voi, se appunto cosí, colla forza e la pazienza, aveste lottato sulla buona strada, mirando a uno scopo migliore! Dio mio, quanto bene avreste potuto fare! Oh se qualcuno soltanto di coloro che amano il bene compissero altrettanti sforzi per esso, quanti se ne compiono per procacciarsi il centesimo, e sapessero sacrificare al bene ogni amor proprio, ogni ambizione, senza pietà di se stessi, come voi non avete avuto pietà di voi stesso nel procacciarvi il vostro centesimo: Dio mio, come fiorirebbe la nostra terra!... Pavel Ivànovič, Pavel Ivànovič! Il peggio non è che vi siate reso colpevole di fronte agli altri: il peggio è che di fronte a voi stesso vi siete reso colpevole, di fronte alla ricchezza di forze e di doni, che vi erano toccati in sorte. Il destino vostro era d'essere un grand'uomo; e voi invece vi siete degradato e perduto. (II, [...]; 1977, p. 356)
====Parte prima====
*Le marsine nere si precipitavano qua e là, separatamente e a gruppi vagolavano come fanno le mosche sopra un candido e splendente pan di zucchero, di luglio, nella calda stagione estiva, quando la vecchia dispensiera lo rompe e lo divide in blocchetti scintillanti dinanzi alla finestra aperta: i bimbi, tutti raccolti intorno, guardano seguendo curiosamente il moto delle mani dure di lei che alzano il martello, e gli squadroni aerei delle mosche, sollevate dall'aria lieve, entrano arditamente a volo, come padrone assolute e, approfittando della vista corta della vecchia e del sole che le disturba gli occhi, si spargono sui ghiotti pezzi, dove ad una ad una e dove in gruppo. Fatte sazie della ricca estate che già di per sé offre loro ad ogni tratto cibi succulenti, esse non sono entrate a volo unicamente per cibarsi, ma per farsi vedere, per passeggiare avanti e indietro sul mucchio di zucchero, per sfregarsi ora l'una sull'altra le zampette davanti e di dietro, per grattarsi con esse sotto le alucce, oppure, protese le due zampette anteriori, strofinarsele sulla testa, per voltarsi e volar via e tornare poi di nuovo, a noiosi squadroni. (I; 2003, pp. 17-18)
 
===[[Explicit]]===