Lorenzo Giustiniani: differenze tra le versioni

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'''Lorenzo Giustiniani''' (1761 – 1824), erudito e viaggiatore italiano.
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* [[Canolo]] casale di Geraci in "Calabria ulteriore", situato tra gli "Appennini", distante dalla detta città di "Geraci" miglia 5. Egli è abitato da circa 1570 individui, i quali oltre dell'agricoltura fan pure industria de' bachi da seta. Nel 1783 non andò esente dalle rovine, che recò il terremoto a tutta la "Calabria ulteriore". Vedi "Geraci". (1797; tomo III, p. 86)
* I [[Viggiano|Viggianesi]] sono per lo più sonatori di arpa e taluni avrebbero delle molte abilità a ben riuscire in si fatto istrumento se fossero istruiti nella scienza della musica e loro si presentasse perfetto finanche il suddivisato instrumento. (tomo X, p. 61)
*[[Massalubrense]] città Regia, e vescovile suffraganea di ''Sorrento''. Ella è tra i gradi 40 40 di latitudine e 32 di longitudine. Da Napoli dista miglia 24 in circa per mare, ed altri dicono 30 per terra. Questa città nella provincia in oggi Terra di Lavoro denominata dagli scrittori Massa di Sorrento, ne' vecchi tempi fu detta ''Oppidum Minervium'', per un tempio dedicato a Minerva, e qualche volta P''romontorium Minervae''.
*'''Massalubrense''' città Regia, e vescovile suffraganea di ''Sorrento''. Ella è tra i gradi 40 40 di latitudine e 32 di longitudine. Da Napoli dista miglia 24 in circa per mare, ed altri dicono 30 per terra. Questa città nella provincia in oggi Terra di Lavoro denominata dagli scrittori Massa di Sorrento, ne' vecchi tempi fu detta ''Oppidum Minervium'', per un tempio dedicato a Minerva, e qualche volta P''romontorium Minervae''. I naviganti passando per colà faceano delle offerte per essere già in salvo della loro navigazione; quindi Stazio Papinio. ''Prima salutavit Capreas, et margino dextro Spargit Tyrrhenae Maretica vina Minervae''. Di questo tempio anche addì nostri vedesene qualche vestigio. Strabone avvisa che quel monte, ov'era edificato il tempio di Minerva veniva chiamato Praenussum, cioè un monte innanzi all'Isola di Capri. Io non saprei quando si fosse chiamata Massa Lubrense. Il Pontano descrivendo la guerra di Ferrante I d'Aragona con Giovanni Angioino nel 1459 dice: Vicani Massensesque ad Joannem defecere. Presso Giulio Cesare Capaccio si leggono questi versi: ''Maiores Massam dixerunt nomine, namque Affluit omnigena commoditate solum Cunctorum hic etiam collecta est massa bonorum, Ut merito hoc Massae nomen habere putes''. L'aggiunto di Lubrense senza niun dubbio l'ebbe ad avere dal tempio di sopra rammentato. È facile credere, che Massa fosse stata dapprima una villa, o casale di Sorrento, non altro indicando la stesa sua denominazione di Massa, o Masa, che pur trovasi, e Massum, e Massada. Nel 1150 fu distrutta, e riedificata in altro luogo; essendosi poi ribellata da Ferdinando del 1465 la del tutto demolire e citasi un istromento del Caracciolo del 1470, dal quale appare, che il Re incumbenzò il Dottor Ranieri d'Apuzzo affinché avesse distaccato il tenimento di Massa da quello di Sorrento, e dato in feudo al Consigliere Giovanni Sancez. Nel dì 13 giugno del 1558 fu saccheggiata da' Turchi approdandovi 120 galee comandate da Piolì Bassà, e ne portò prigionieri 1493 cittadini. Questo avvenimento memorando per Massa diede occasione di edificarvi delle spesse torri per sua difesa; quindi il P. Costanzo Pulcarelli. Massica turrrita Pallas defenditur ora Et sua de summo fulmina collo, jacit. Anticamente aveva anche un bel porto, che rimase distrutto a cagione delle sue frequenti sciagure e veggonse fin oggi i suoi vestigi. La città di Massa è una penisola circondata dal mare Tirreno, attaccando solo da levante con Sorrento. L'aria che vi si respira è perfettissima, e dappertutto godesi amenità. Il territorio è fertile in vino, ed olio, le quali produzioni vi riescono di una qualità veramente eccellente. Vi si veggono molti vestigj di anticaglie, e che attestano essere stato soggiorno di delizie, e di divertimento di ragguardevoli e ricchi personaggi. Pollione vi fece una superba villa sopra la marina di Polo, di cui Stazio. Vi sono eccellenti pascoli, e per conseguenza i formaggi vi riescono di buon sapore, qualora non sono alterati dalla malizia dell'uomo. Il suo vescovado è antico, ma è scarso di rendite. Tutta la diocesi comprende X parrocchie, avendo ciascuna sotto di se gli abitanti di diversi casali. La maggiore, o sia quella della Cattedrale tiene i casali: Campo, Serignano, Quarazzano, o Corazzano, Morta, Rorella, o Arolella, Villazzano, Santamaria, ed Annunziata. Quella di Santandrea tiene i casali: Marciano, ed Ospedale. La terza di Santacroce, Termini e Casa. La quarta del SS. Salvatore il solo di Sverano (sic). La quinta è detta del SS. Salvatore di Schiazzano. La sesta di Sanpietro comprende i casali di Monticchio, Metrano, Titigliano e Turri. La settima sotto il titolo di Sanvito Martire tiene il casale di Acquara. L'ottava detta di Sanpaolo ha il casale di Pastena. La nona sotto il titolo di Santamaria delle Grazie, ha i casali di Santagata, e di Pedara. La decima finalmente intitolata di Santommaso Apostolo comprende i casali di Torca, Nuvola, e Monticello. La città co' suoi casali comprendono una popolazione di circa 2700 individui. La tassa del 1532 fu di fuochi 575, del 1545 di 578, del 1561 di 344, del 1595 di 605, del 1648 dello stesso numero, e del 1669 di 554. Il Re Alfonso nel 1458 ne fece duca Gabriele Coriale, il quale essendo morto indi a poco tempo, gli succedè il fratello, che pure morì senza maschi. Nel 1471 il Re Ferdinando la concedé poi al consigliere Sancez come fu detto sopra, e nel 1521 nel dì 19 settembre l'imperatore Carlo V la vendé per ducati 15000 a Giovanni Carafa conte di Policastro. Vi nacque dunque il Pulcarelli, che fu un gran poeta.
*[[Scalea]] città in Calabria Citra, in diocesi di ''Cassano'' lontana da ''Cosenza'' circa miglia 60. È situata su un sasso di figura triangolare pochi passi distante dal mare e gli edifizi si innalzano l'un dopo l'altro a segno che si vuole detto Scalea per la forma quasi di una scala, che deesi ascendere dal basso all'alto d'essa città. Si vuole di fondazione antica, ma niuno monumento l'è rimasto da cui potersi avere l'epoca certa della sua fondazione, anche perché tutte le scritture si smarrirono in tempo che soffrì una pestilenza.
*'''Scalea''' città in Calabria Citra, in diocesi di ''Cassano'' lontana da ''Cosenza'' circa miglia 60. È situata su un sasso di figura triangolare pochi passi distante dal mare e gli edifizi si innalzano l'un dopo l'altro a segno che si vuole detto Scalea per la forma quasi di una scala, che deesi ascendere dal basso all'alto d'essa città. Si vuole di fondazione antica, ma niuno monumento l'è rimasto da cui potersi avere l'epoca certa della sua fondazione, anche perché tutte le scritture si smarrirono in tempo che soffrì una pestilenza. Nulladimeno se ne congettura l'antichità dalle sue mura, dagli acquedotti, da piccioli edifizi a volte trovati poco lungi dalle sue suddivisate sue mura, da vari sepolcri e da un tempietto con un idolo di marmo, il quale scioccamente 50 anni fa fu fatto disfare dall'arciprete Lombardi. Alcuni si avvisano che fusse sorta nel territorio di tarlano, del cui seno parla Strabone (1) e propriamente dove oggi si vede la detta città vi fosse stato il tempietto del personificato Dracon. Leggendosi poi presso il Malaterra (2) che Ruggieri Scaleam reversus est, statimque in eodemvespere apud castrum, quod Narencium dicitur, milites suos castra Guiscardi praedatum mittens, provinciam spoliavit, corregens alcuni Narencium in Narancium come l'Aceti al Barrio, ma non mi dispiace che la vera lezione fosse Tanlanium o Tanlanum e corrottamente, nei tempi di mezzo, Tanlacium. E infatti l'eruditissimo Ciro Saverio Minervino coll'altro suo sapere delle morti lingue, si avvisò che in una moneta fattagli vedere e delineare dal Signor Birunste del peso di grana 268, e che ora può vedersi incisa nella tav. II in fondo della sua faticatissima lettera sull'etimologia del monte Volture vi si legge Tarlano, che crede essere la presente Scalea o che fosse stata edificata nel suo territorio, la quale distrutta poi diede origine alla Scalea presente; poiché i sibariti dopo la distruzione ch'ebbero dai Crotoniati andarono ad abitare in diversi luoghi ; e sebbene Erodoto facesse menzione di due luoghi soltanto come principali, cioè uno detto Laos e l'altro Scidros, la cui situazione non è stata al certo così nota come quella del primo, che corrisponde al presente Laino, pur tuttavolta Sidros e Tarlano ebbero ad essere in un sol luogo, e di essi furono o dove e propriamente Scalea o nel suo territorio, dimostrandolo assai bene con una maschia e singolare erudizione. L'aria che gode è molto temperata e sono assicurato che i cittadini sono accorti a non far stagnare le acque nel loro territorio che lasciano i fiumi che ci corrono quando si gonfiano a cagione delle piogge. Il suo orizzonte è vasto e delizioso. Questa città tiene 4 porte, una è detta porta di mare, la seconda è detta porta del ponte, da un antico ponte, in cui vi si vede un pezzo di artiglieria; la terza porta di Cimalonga, in cui vi è una torre che serve oggi da carcere e la quarta porta del forte. Nella sommità si vede il suo antico castello quasi diruto coi suoi baluardi e fossi e vi è un pezzo di artiglieria che i vecchi del paese si ricordano di esservene stati molti. Pochi passi lungi dalla porta di mare, verso settentrione, alla sommità di una deliziosa collina, si vede un'antichissima torre detta di giuda, che dovea servire di specola al suddetto castello. Tiene un comodo e sicuro porto per le barche da carico e sul fianco sinistro evvi una torre edificata in una penisoletta ai tempi di Carlo V con tre pezzi di cannoni, alla cui custodia son alcuni soldati invalidi con il loro alfiere. Al lato destro di esso porto vi sono poi molti scogli che si estendono per più di tre miglia e sono vi delle grotte da passo in passo, e tra queste una è chiamata la grotta della pecora nella quale sono annidati molti colombi selvaggi. Il suo territorio confina verso oriente con quello di Papasidero, dal nord con quello di Aieta e da sud con quello di Abatemarco ed Ursomarzo. Al lato destro della città vi passa un ruscelletto che quasi lambisce la porta di mare. Tiene un lago detto il Pantano, di quasi un miglio di circuito e finalmente nei confini a distanza di tre miglia tiene un altro fiume chiamato della Scalea, che ha la sua origine da Laino, il quale raccoglie molte acque in tempo di pioggia, e sebbene ricorre molto profitto per la coltura di esso territorio, irrigandone dei cittadini i loro fondi, pure alle volte vi cagiona del danno colle sue inondazioni. Produce in abbondanza grano, grano d'india, legumi ed ogni sorta di frutti ed ottimi vini. I melloni di pane e di acqua vi riescono assai buoni ed anche le cipolle che è in gran capo di commercio con i paesi vicini. I fichi e le uve zibibi sono pure eccellenti che poi secche ne fanno un gran smaltimento con i Genovesi, Livornesi ed anche cogli inglesi, venendoli a caricare o nel porto di S. Nicola, territorio di essa città o sull'isola Dino di Aieta. Il suddetto Pantano e il fiume, detto di Scalea, danno delle anguille e dei cefali agli abitatori; ma il mare è quello che somministra loro gran quantità di pesci e frutti di mare che raccogliono dalla suddivisata scogliera. Non vi sono boschi, essendo stati resi tutti a coltura e soltanto vicino al fiume vi è una selva detta "I salici" che gli fa fronte, trattenendo le acque che non sboccassero nei territori in tempo di abbondanti piogge. Vi è caccia di lepri, volpi e lupi, specialmente in luogo che chiamano Vannefora, e non vi mancano gli uccelli soprattutto nel suddivisato lago in tempo d'inverno e per le campagne delle beccacce, starne, ecc… Vi è una regia dogana col suo cassiere, libro all'incontro, credenziere e vice-segretario. Tiene un casale detto San Nicola Arcella, La cui popolazione unita a quella della nostra Scalea ascende a tremila individui. Un tempo aveva anche per suo casale la terra di S. Domenica, che trovasene ora separata da circa un secolo. La tassa dei fuochi del 1532 fu di 167, del 1545 di 181, del 1561 di 165, del1535 di 196 del 1648 di 160, del 1669 di 56. Il possessore è D. Vincenzo Maria Spinelli col titolo di principe. È in cuore dei giornalisti di Venezia volere quella terra, patria del celebre Gian Vincenzo Gravina e come crede il Giannelli natio di Catanzaro, essendo egli nato a Roggiano.
* [[Terranova Sappo Minulio|Terranova]], in "Calabria ulteriore", in diocesi di "Oppido" distante da detta città miglia 4, e … da "Catanzaro". Se le dà il nome di città, ma in oggi è nello stato di picciolezza, essendo del tutto rovinata fin dal 1783, insieme co' suoi casali "Galatone", e "Scrofario". Nella situazione trovasi tassata nel 1532 per fuochi 1214, nel 1545 per 1814, nel 1561 per 2419, nel 1595 per 1785, nel 1648 per 1529, e nel 1669 per 1250. In oggi è abitata da circa 460 individui. In "Galatone" ve ne sono altre 50, e nello "Scrofario" 120 in circa. In tutti i Regj quinternoni è denominata terra quindi non saprei per quale privilegio se le desse oggi il nome di città.<br>Le produzioni del suolo consistono in grano, granone, legumi, vino, olio, e vi è l'industria del nutricare i bachi da seta da' suddivisati suoi cittadini. <br>Nel 1458 "Alfonso di Aragona" ne investì "Marino Curiali", togliendola a "Tommaso Carocciolo" suo ribelle con tutto il suo contado(1). Nel 1502 fu donata al Gran Capitano(2). Passò alla famiglia "de Marinis", e nel 1574 ad istanza de' creditori di "Tommaso de Marinis", fu "su hasta" S.R.C. venduta al magnifico "Batista Grimaldi" ultimo licitore per ducati 28.000(3). La famiglia Grimaldi l'ha in oggi con titolo di "Ducato".<br/>(1) Quint. 5. fol. 192.<br/>(2) Quint. diversor. fol. 223<br/>(3) Quint. 85. fol. 54.<br/>(tomo IX, p. 172)