Mario Rigoni Stern: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Sul [[K2 (caso)|caso K2]]}} Come la gran parte degli italiani non avevo ancora la televisione e fu dalla radio, la mia prima fonte di informazioni, che seppi di Compagnoni e Lacedelli. Fui felicissimo, anche se dopo aver girato l'Europa scossa dalla guerra come soldato e come prigioniero il mio nazionalismo poteva dirsi affievolito. Era una bella impresa e tanto mi bastava. Tuttavia, ripensandoci, una punta di orgoglio nazionalista era emersa in me. Finalmente gli italiani tornavano a farsi sentire! Poi ho seguito sui giornali l'altalena delle polemiche fino al recente documento dei tre saggi voluto dal CAI, e sono sinceramente contento che Bonatti abbia ottenuto quanto da tempo andava chiedendo. (dall<ref>Dall'edizione speciale supplemento a ''[http://www.passionemontagna.it/Edicola/LoScarpone/062004.htm Lo scarpone]'' n. 6 giugno 2004)</ref>
*Non ho mai ucciso per uccidere. Ho ucciso per tornare a casa, e per salvare i miei compagni. (dall<ref>Dall'intervista al programma di Rai Tre ''Che tempo che fa'', 2006)</ref>
*Un giorno ricevetti una lettera da San Pietroburgo (allora si chiamava Leningrado): di un uomo che, avendo letto il mio libro tradotto in russo, mi scriveva: "so chi mi ha sparato la notte del 26 gennaio. Quando gli Alpini ruppero l'accerchiamento a Nikolajewka. In quella notte ci siamo sparati, ma per fortuna siamo tutti e due vivi". (dall<ref>Dall'intervista al programma di Rai Tre ''Che tempo che fa'', 2006)</ref>
*[[Sergej Aleksandrovič Esenin|Sergej Esenin]], il poeta arcangelo-contadino che passò attraverso il bene e il male dell'esistenza per lasciarci un dolce messaggio.<ref name=Esenin>Da ''Arboreto Salvatico'', Einaudi, 2006, p. 50.</ref>
*Ma ci saranno ancora degli innamorati che in una notte d'inverno si faranno trasportare su una slitta trainata da un generoso cavallo per la piana di Marcesina imbevuta di luce lunare? Se non ci fossero, come sarebbe triste il mondo...<ref>Targa apposta sull'Albergo Marcesina</ref>
 
== ''Il sergente nella neve'' ==
===[[Incipit]]===
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* Una [[mela]] guasta può far marcire una mela sana, ma una mela sana non può sanare una mela guasta.
* Qualcuno mi mette in mano un rasoio di sicurezza e un piccolo specchio. Guardo queste cose nelle mie mani e poi mi guardo nello specchio. E questo sarei io: Rigoni Mario di GioBatta, [...]. Una crosta di terra sul viso, la barba come fili di paglia, i baffi sporchi di muco, gli occhi gialli, i capelli incollati sulla testa dal passamontagna, un pidocchio che cammina sul collo. Mi sorrido.
 
==''Il bosco degli urogalli''==
===[[Incipit]]===
Sono passati vent'anni e ancora gli sembra ieri. Anche perché il tempo, nella vita di un uomo, non si misura con il calendario ma con i fatti che accadono; come la strada che si percorre non è segnata dal contachilometri ma dalla difficoltà del percorso. La Nord del [[Cervino]] è molto più lunga dell'autostrada del Sole.
 
===Citazioni===
* Una mattina ne alzammo uno {{NDR|[[gallo cedrone|urogallo]]}} che dal rumore del volo doveva essere maestoso come un'aquila. Pareva che al suo passaggio gli alberi dovessero schiantare come tagliati da una scure magica. (p. 33)
* Tutto era calmo nella notte calda e profonda e la terra era tiepida e madre anche se nelle buche stagnava l'odore delle granate e gli occhi bruciavano. Le quaglie cantavano da distanze senza misura: da su verso [[Leningrado]] fin giù al mar d'Azov. Come le stelle. E la campagna era tutta piana: erba verde, campi di frumento e girasoli che da mesi aspettavano di essere raccolti. Gli uomini, al posto di flci e trattori, usavano mitragliatrici e carri armati e chi raccoglieva era la [[Morte]].<br />Nelle sere di gelo le lepri uscivano a mangiare sulla riva del fiume; qualcuno al rumore sparava perchè aveva paura e credeva fossero le pattuglie. (p. 50)
* Lavorare bisogna. Lavorare se si vuole essere contenti nella vita. (p. 102)
* Abeti, betulle, paesi, città, betulle, paesi, corsi d'acqua gelati, ragazzi sui pattini, una slitta nella pianura, una casupola, abeti. Allegria portava la vista di una grossa lepre che sbucava spaurita dalle siepi paraneve che fiancheggiavano la ferrovia; stupore e poesia i piccoli branchi di caprioli che dall'orlo dei boschi guardavano passare il nostro treno coperto di ghiaccioli e pareva impossibile che nel mondo ci fosse la guerra e noi armati. (p. 131)
* Quando venne sera accendemmo i lumi a nafta e il treno penetrò nella notte del Nord passando foreste d'abeti curvati dalla neve per lande battute dal libero vento, sfiorando villaggi addormentati, portando nel suo ventre uomini giovani e stranieri che andavano alla guerra.<br>Intanto, sdraiati nella paglia uno a fianco all'altro, dormivano sognando montagne e ragazze. Ma uno quella notte non dormì. In un angolo del vagone, accompagnato dal ritmo delle ruote sulle rotaie, pensava, per la prima volta in vita sua, al destino della povera gente, alla guerra che pretende che la povera gente s'ammazzi a vicenda e si chiedeva:<br>Chi ritornerà di quanti siamo su questo treno? Quanti compaesani uccideremo? E perché?<br>Giacché al mondo siamo tutti paesani. (p. 135)
 
===[[Explicit]]===
La sera ci colse di sorpresa seduti sotto un abete dove avevamo finito la borraccia della grappa. Lontano, giù in fondo, si vedeva il paese illuminato. Dalla linea delle luci indovinavo le strade e le contrade. Sopra le case si stendeva il fumo dei camini. I camini che fumano: case calde, latte fumante, patate e zuppa bollente, bambini assonnati. Finita la caccia.
 
==''L'ultima partita a carte''==