Abhinavagupta: differenze tra le versioni

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*Se si giunge a fare un tutt'uno con l'efficienza della propria [[energia]], in quel preciso momento Bhairava si rivela nella sede immutabile, a condizione che tutti i soffi dei canali sensoriali raggiungano la loro pienezza; ci si assorbe allora nella grande sede del Centro, la ''suṣumnā'', mentre la dualità si dissolve. Penetrare nella ''suṣumnā'' significa quindi penetrare in ''rudrāyamala'', significa sperimentare il rapimento della suprema interiorità e prendere piena coscienza della propria energia nella sua sovrabbondanza.<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, p. 219.</ref><ref>Traduzione di Raniero Gnoli in ''Il commento di Abhinavagupta alla Parātriṃśikā'', IsMEO, Roma, 1985, pp. 49-50.</ref>
*Si scopra la felicità attraverso la [[Rapporto sessuale|frizione che unifica i sessi]] durante il godimento reciproco e, grazie a essa, si riconosca l'essenza incomparabile, sempre presente. Infatti, tutto ciò che entra da un organo interno o esterno risiede sotto forma di coscienza o di soffio nel regno della via mediana<ref>La via mediana è la ''suṣumnā'', componente del corpo yogico.</ref> che, collegata essenzialmente al soffio universale (''anuprāṇanā''), anima ogni parte del corpo. E ciò che viene chiamato ''ojas'', vitalità, e che vivifica tutto il corpo.<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, p. 217.</ref><ref>Traduzione di Raniero Gnoli in ''Il commento di Abhinavagupta alla Parātriṃśikā'', IsMEO, Roma, 1985, pp. 45-46.</ref>
*Tutto quello che esiste risiede nell’internonell'interno del beato [[Bhairava]], che mai si diparte dal nostro cuore o dalla punta della nostra lingua, risiede, dico, in Parameśvara, il quale non è, appunto, misurato dal tempo, è uno colla coscienza, ed è perpetuamente in unione con tutte le potenze, costituito da un’unitàun'unità coesistente, senza contraddizione, colle centinaia di creazioni e dissoluzioni manifestate dal contrarsi e l’espandersil'espandersi, attraverso i quali si esprime la sua autonomia. Questa realtà, Śiva, perciò, non ha né fine né principio, è luminosa di luce propria e la sua essenza è un’autonomiaun'autonomia che consiste in una perfetta indipendenza, determinata dalla pienezza di tutte le cose.<ref>Dall'appendice V, in Abhinavagupta, ''Luce delle scritture (Tantraloka)'', a cura di Raniero Gnoli, UTET, edizione elettronica De Agostini, 2013, p. 769.</ref>
*Una completa essenza di meravigliarsi è, in effetto, mancanza di vita. Inversamente, la ricettività estetica, l'essere dotato di cuore non è altro se non l’esserel'essere immerso in un intenso meravigliarsi, il quale consiste in una scossa della forza. Solo chi ha il cuore tutto alimentato da quest’infinitaquest'infinita forza aumentativa, solo chi è consueto alla pratica costante di tali fruizioni, solo egli e non altri è dotato, per eccellenza, di questa capacità di meravigliarsi. E questo meravigliarsi c’èc'è anche nel dolore. L’essenzaL'essenza del dolore non è, in effetto, se non un meravigliarsi particolare, cagionato dall’assenzadall'assenza di ogni speranza.<ref>Dall'appendice IV, in Abhinavagupta, ''Luce delle scritture (Tantraloka)'', a cura di Raniero Gnoli, UTET, edizione elettronica De Agostini, 2013, p. 761.</ref>
 
==''Tantrāloka''==
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====Capitolo I====
*Il ''[[trika]]'' è l'essenza della tradizione ''śaiva'', e il ''Mālinī'' è l'essenza del ''trika''.<ref>Citato in Kamalakar Mishra 2012, p. 64.</ref> (17)
*Qui, secondo tutte le sacre scritture, la cagione della [[saṃsāra|trasmigrazione]] è la nescienza (''ajñāna'') e l’unical'unica causa della liberazione la conoscenza. (2013, 22)
*Egli è libero affatto, [[Shiva|Śiva]], indipendente e signore di tutto, trascende ogni necessità di spazio, di tempo e di forma, e, in quanto tale, è ubiquo, eterno, onniforme». (2013, 61a)
*Anche Śiva, senza che per questo il suo potere ne sia offeso, si manifesta similmente in modo creato nello specchio del soggetto pensante, cioè nella nostra propria coscienza, durante la meditazione, ecc., sempre in forza, beninteso, della sua libertà. Perciò, ogni mezzo attraverso cui Śiva, sebbene privo di parti, così si manifesta, è una potenza. Questa divisione fra potenza e possessore di potenza è quindi chiaramente una realtà.<ref>Citato in ''Vijñānabhairava'' 2002, p. 52</ref><ref name=TrGn>Traduzione di Raniero Gnoli, 1980.</ref> (73-74)
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====Capitolo V====
*Chi ad ogni istante dissolve in tal modo il tutto nella sua propria coscienza e di nuovo poi lo emette, s’identificas'identifica perennemente con [[Bhairava]]. (2013, 36)
*Lo yoghin, applicato al respiro il metodo del bastone e pareggiato il precedente e il susseguente<ref>I soffi inspirati e espirati.</ref>, deve innanzitutto raggiungere la sede nettarea (che sta sopra) la lingua, appoggiata al loto ed al quadrato. Raggiunto quindi il piano del tridente, dove si congiungono i tre canali, deve penetrare nel piano dove risiedono in eguaglianza la volontà la conoscenza e l’azionel'azione. Per raggiungere la sede più alta lo yoghin deve (naturalmente) salire attraverso i gradini del punto sopracciliare, della «fine del suono» e della potenza, scala unica, in espansione (e contratta), eppoi nuovamente non contratta, espansa. Quivi, nel piano della serpentina (''[[kuṇḍalinī]]'') superiore, è l’emissionel'emissione, dove si contiene il movimento, bella di esso.<ref>Nel testo: «''tatrordhvakuṇḍalībhūmau spandanodarasundaraḥ''», V.57.</ref> Quivi lo yoghin deve riposare, nel piano del ventre del pesce.<ref>Che si contrae e si espande senza sosta: è una metafora per indicare l'emissione e il riassorbimento, due delle operazioni cosmiche che lo yogin riesce a compiere quando conduce ''kuṇḍalinī'' a unirsi con Śiva. In tale piano egli si fa divino, forte delle potenze di volontà, conoscenza e azione.</ref> (2013, 54b-58a)
*Nel cuore supremo, dove la grande radice S, il tridente AU e l’emissionel'emissione Ḥ son stati unificati, lo yoghin trova riposo. (2013, 60b)
*In chi, attraverso l’eserciziol'esercizio anzidetto, si accinge a penetrare, con mezzi corporei, in tale supremo cammino, nasce, innanzi tutto, un senso di beatitudine, dovuto ad un contatto colla pienezza. Segue poi il salto, cioè a dire un evidente sobbalzo, provocato dalla penetrazione, per un istante, in una realtà incorporea, simile ad un lampo improvviso; successivamente si ha un tremor di spavento, dovuto a questo, che l’improvvisal'improvvisa presa di possesso della propria forza susseguente all’abbandonoall'abbandono dell’unitàdell'unità fra il corpo e la coscienza, cui siamo assuefatti da un numero infinito di nascite, indebolisce il corpo. Venuta verso l’internol'interno, lo yoghin è preso quindi come da sonno: il quale dura fintantoché egli non si sia saldamente affermato nella coscienza. Immersosi quindi nel piano realissimo e fattosi chiaramente cosciente di come la coscienza sia naturata di tutte le cose, eccolo tutto vibrare. La vibrazione è infatti identica alla «grande pervasione». (2013, 100b-104)
 
====Capitolo VI====
*Lo stato proprio del soggetto conoscente è la veglia, il primo stato proprio del soggetto pensante, il sogno, il secondo il sonno profondo. La dissoluzione del giorno e della notte coincide col quarto stato, di là dalla dualità. (2013, 83b-84a)
*La durata limite di ''[[māyā]]'', moltiplicata per diecimila trilioni, equivale ad un giorno dal principio Īśvara, durante il quale il suono (''nāda''), materiato di soffio vitale, emette l’universol'universo; e tant’ètant'è la sua notte. (2013, 157)
 
====Capitolo VII====
*Tutti i vari [[mantra]], costituiti da semi e gruppi sillabici fan sì che la coscienza si materii di movimento (''spandana''), e come tali, si dice giustamente che sono un mezzo (atto all’ottenimentoall'ottenimento della) suprema coscienza. (2013, 2b-3a)
 
====Capitolo VIII====
*Conosciuto che abbia (tale) cammino nella sua interezza, lo yoghin deve quindi dissolverlo nelle divinità che lo reggono, queste, via via, nel corpo, nel soffio, nella mente (e nel vuoto), come prima, e questi tutti nella sua propria coscienza. (2013, 7)
*Negli altri continenti si hanno semplicemente fruizioni<ref name=fru>Con tale termine, "fruizione", ci si riferisce al godimento delle cose mondane.</ref>, per cui, come animali, si gode del karma passato. Quanto invece può ottenere chi nasce nel Bhārata<ref>L'[[India]].</ref> sorpassa ogni immaginazione. (2013, 40)
*Il diametro della [[terra]] – la quale è aurea, rotonda, e si estende fino ai cento Rudra – è così d’und'un miliardo di leghe. (2013, 166b)
*Tutto l’l'[[universo]] dalla terra fino a SadāŚiva, è, secondo ch’èch'è detto nella scrittura, sottomesso alla natura, dotato di nascita e dissoluzione. (2013, 405b-406a)
 
====Capitolo IX====
*Per principio s’intendes'intende la forma comune che si estende ad un determinato gruppo di prodotti, ad un insieme di qualità, ad una schiera di soggetti dotati di proprietà similari – così chiamato appunto perché si estende, pervade. Tale termine non si applica perciò né ai corpi né ai mondi. (2013, 4b-6)
*Śiva, il quale è essenziato da un libero conoscere ed è ricolmo di cinque potenze, manifestando, in forza della sua libertà, (il dominio della) differenziazione, comincia col differenziarsi in cinque princìpi. (2013, 49b-50a)
*Questa così detta ''[[māyā]]'' è la stessa potenza del Dio, da Lui inseparata, la Sua stessa libertà, (la quale si esprime nell’nell')apparire della differenziazione, la quale, infatti, è creata da essa. (2013, 149b-150a)
 
====Capitolo X====
*La cosiddetta [[percezione|percepibilità]] è infatti parte integrante della cosa stessa. (2013, 19a)
*La verità è dunque questa, che, a quel modo e nella misura che l’anzidettol'anzidetto Śiva Supremo, il quale è luce soltanto, s’illuminas'illumina, a questo modo ed in questa misura s’illuminas'illumina la natura delle cose. (2013, 55b-56a)
*Il Signore è autoluminoso. Qualora (infatti) non si ammetta l’esistenzal'esistenza di un principio autoluminoso, si va incontro a questa conseguenza, che le varie cose che appariscono deriveranno via via da altre cose che non sono in se stesse luce, sicché si cade in un regresso all’infinitoall'infinito, a causa del quale il tutto risulterebbe (cieco e) addormentato. (2013, 115-116)
*Secondo questa nostra dottrina (io rispondo) che sostiene come tutto sia coscienza, la coscienza è presente anche nella realtà insenziente e quindi, a maggior ragione, nelle entità che, ora addormentate, più tardi si risveglieranno. (2013, 133b-134)
*La coscienza assoluta (''saṃvittattva'') si manifesta qui in ogni circostanza [della vita quotidiana perché] è piena e perfetta ovunque. È chiamata la causa di tutte le cose perché sorge dappertutto.<ref>Citato in Mark Dyczkowski 2013, pp. 115-116.</ref> (221-222)
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====Capitolo XI====
*Gli organi della vista, dell'udito, del gusto e dell'olfatto risiedono in modo sottile nella terra e negli altri elementi che appartengono a livelli di realtà inferiori, e il più elevato non va al di là dello stadio dell'illusione (''māyātattva''), mentre il [[tatto]] risiede al livello superiore dell'energia, in quanto sensazione sottile ineffabile a cui lo ''yogin'' aspira senza sosta; questo contatto sfocia infatti in una coscienza identica al puro firmamento, che brilla di luce propria.<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, p. 192.</ref> (29-33)
*Tutto quello che [[esistenza|esiste]] si manifesta in realtà come un’immagineun'immagine riflessa nell’internonell'interno del Supremo Signore, stabile, non come qualcosa a lui esterna. (2013, 93)
*La percezione (''pratīti'') soltanto è perciò così creatrice e sostenitrice, la quale si identifica a sua volta con Śiva. Da essa provengono gli esseri, in essa sono fondati. Essa è perciò la potenza sostenitrice di tutto. (2013, 107)
 
====Capitolo XII====
*Così il corpo giova vederlo pieno di tutti i cammini, variegato dal vario operare del tempo, sede di tutti i moti del tempo e dello spazio. Il corpo, così veduto, e dentro di sé naturato (di conseguenza) di tutte le divinità, dev’esseredev'essere quindi oggetto di contemplazione, di adorazione e di riti di soddisfazione. Chi penetra in esso, trova la liberazione. (2013, 6-7)
*L'offerta di tutte le cose alla [[coscienza]], in identità con essa, tale, dicono le scritture, la vera [[adorazione]]; il cogitare che essa è così piena di tutte le cose, tale la contemplazione; colui che tale cogitazione riesce a renderla incrollabile, e così pensa, in unione con un discorso interiore, costui conosce la vera recitazione; colui che delle cose offerte alla coscienza dissolve ogni differenziazione e gliele presenta fatte tutte di fiamma, ecco chi celebra la vera oblazione; colui che così facendo vede come tutte le cose sono uguali l'una all'altra, ed acquista di tale uguaglianza un'incrollabile certezza, costui osserva il vero voto.<ref>Citato in ''Vijñānabhairava'' 2002, p. 118.</ref><ref name=TrGn/> (9-12)
 
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====Capitolo XV====
*(I discepoli son di due specie, «adepti» (''sādhaka''), desiderosi di fruizioni<ref name=fru/>, e figli spirituali (''putraka'') aspiranti alla liberazione). Di «adepti» ve ne sono due tipi, «straordinari» (''Śivadharmin''), cioè alieni dalle attività ordinarie del mondo, e «ordinari» (''lokadharmin''), ossia desiderosi di frutti, dediti ad accumular buone azioni ed alieni dalle cattive. (I figli spirituali) aspiranti alla liberazione sono anch’essi di due specie, cioè privi di semenza<ref>La "semenza" è la capacità di osservare regole fisiche e spirituali: non tutti la possiedono, dunque differenziata deve essere la cerimonia di iniziazione.</ref> (''nirbīja'') o dotati di semenza (''sabīja''). (2013, 23-26)
*Il buon successo del [[sacrificio]] (''yāgaśrī'') risiede in qualsiasi luogo, esteriore o interiore, il loto del cuore si schiuda. La [[mokṣa|liberazione]] non si verifica in altro modo se non troncando i nodi della nescienza e ciò, secondo ch’èch'è detto nel ''Vīrāvalīpadam'', non può avvenire se non attraverso uno schiudersi della coscienza. (2013, 107b-109a)
*Le sedici vocali fino all’emissioneall'emissione debbono essere proiettate sulla fronte, A; sul volto, Ā; sugli occhi, I Ī [...]. (2013, 117b)
*Questa distruzione del corpo grosso e di quello sottile da parte del fuoco mantrico, è provocata dalla distruzione, rispetto al detto corpo grosso e sottile, del sentimento dell'io. (2013, 235)
*Notte e giorno vedendo e adorando così il corpo, come pieno del succo della beatitudine di Śiva e colmo di tutti e i trentasei princìpi, il celebrante si identifica senz’altrosenz'altro con Śiva, e, sazio e contento di questo suo riposo in detto corpo, costituito dal tutto, egli ha, in esso, il suo ''[[liṅga]]'' né aspira a ''liṅga'', voti, luoghi santi o discipline esteriori. (2013, 286-287a)
*Per chi infine aspira alla liberazione non v’èv'è nulla di proibito o di prescritto, nel senso che tutto quello che è piacevole è congiungimento colla coscienza. (2013, 291b-292a)
*L’officianteL'officiante deve a questo punto meditare come dall’ombelicodall'ombelico dal detto SadāŚiva nascano tre raggi, i quali, naturati di ''nadānta'' e costituiti dalla Potenza, dalla Pervadente e dall’Egualedall'Eguale, tutti splendenti di esse, escono dai tre fori del capo, sin a raggiungere lo ''dvādaśānta''. Sopra di essi si hanno tre candidi loti, naturati da Unmanā<ref>Il Vuoto trascendente.</ref>. Tale il seggio, costituito da trentasette princìpi. (2013, 313-14)
*Di buon mattino, dopo compiuto tutti i riti «perpetui» ed adorato Śiva, il Maestro deve esaminare quanto è stato visto in [[sogno]] da sé e dal discepolo commisurandone la forza. (2013, 483)
*Occorre guardarsi dal considerare, nominare e trattare i nostri compagni di dottrina in modo diverso, secondo la casta cui appartengono, bensì considerarli come uguali a Śiva. (2013, 576)
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====Capitolo XVI====
[[Immagine:Triśūlābjmaṇḍala.jpg|thumb|Una riproduzione schematica del ''triśūlābjmaṇḍala'', il mandala del tridente e dei loti, adoperato in uno dei culti visionari della scuola del Trika e descritto nel capitolo XVI]]
*Il cosiddetto [[animale]] «eroico» è quello che, dopo introdotto nel terreno sacrificale, è quivi ucciso, messo a punto e mangiato dalla ruota. Quando invece l’animalel'animale che si offre al Dio, tutto intero o in parte, è stato ucciso altrove, esso vien chiamato «animale esteriore». (2013, 52b-54a)
*Esponiamo dunque la proiezione concernente i princìpi. Sin alla caviglia v’èv'è la terra, che occupa quattro dita. I (ventitré) princìpi dalla terra alla materia occupano due dita ciascuno, coi quali si è arrivati sei dita sopra l’ombelicol'ombelico, per complessive quarantasei dita. I sei princìpi dall’animadall'anima alla «forza» occupano ciascuno tre dita e si giunge, con essi, fino alla gola, per un totale di diciotto dita. I quattro princìpi da māyā a SadāŚiva occupano quattro dita ciascuno; con essi si giunge fino alla fronte per un insieme di sedici dita. (2013, 101-105)
*Il pensiero differenziato (''vikalpa'') è costituito infatti di discorso ed è quindi essenziato di pensiero (''vimarśa''). Ora il pensiero, nella sua forma di mantra, è puro, immune dai vincoli dell’esistenzadell'esistenza fenomenica, permanente, formato da Śiva – il senza principio, il dispensatore dei doni – in identità con se stesso. (2013, 250-251a)
 
====Capitolo XVII====
*Il cordone per il nodo (com’ècom'è detto nelle Scritture) dev’esseredev'essere fatto tre volte triplice (''tristriguṇam''), per significare le varie forme che assume la triade Uomo-Potenza-Śiva. (2013, 5b-6a)
*Dopo di ciò il maestro, fermo e concentrato, richiamandosi alla mente tutto quello che è stato fin qui detto, dopo unito fra di loro il corpo, etc., del discepolo ed il suo proprio corpo, soffio vitale e via dicendo, deve meditare come il tutto risieda dentro il suo proprio corpo, soffio vitale, etc. Basandosi quindi sulle concezioni anzidette, ben fermo e concentrato di mente, egli deve meditare come il cammino del tempo ed il cammino dello spazio riposino sul soffio vitale, come questo riposi sulla potenza, come questa riposi sulla coscienza e come la coscienza pura sia identica a Śiva, inseparata dalla coscienza del discepolo ed inseparata pure dal fuoco mantrico, etc.; (e così meditando), secondo il metodo già esposto, su Śiva, dispogliato o avviluppato o ambedue insieme, versare l’oblazionel'oblazione completa – (e tutto ciò) «coi sensi ben pacificati». (2013, 78b-82)
 
====Capitolo XVIII====
*L’iniziazioneL'iniziazione abbreviata può essere celebrata soltanto se il maestro è dotato di una conoscenza ben esercitata, concentrato ed immedesimato (in Śiva), e mai altrimenti. (2013, 8)
 
====Capitolo XIX====
*Se essendo ormai imminente la fine del corpo, uno ottiene, grazie ad un’evidenteun'evidente caduta di potenza, l’iniziazionel'iniziazione di Śiva (''śaṇkarī''), subito dopo quest’iniziazionequest'iniziazione entra in Śiva. (2013, 2-3)
*Il Maestro deve ben guardarsi dall’impartirladall'impartirla sia a colui la cui maculazione non è maturata, sia a chi non sia giunto all’esaurimentoall'esaurimento del suo karma. (2013, 7-8)
 
====Capitolo XX====
*Diremo adesso dell’iniziazionedell'iniziazione che dà confidenza ad individui offuscati. (2013, 2-4)
*Il [[corpo]] è essenzialmente costituito dall’elementodall'elemento terra. Esso, quando il maestro, grazie al mantra della leggerezza, che sarà esposto più in là, medita come il discepolo ascenda in aria, perde questa sua terrestrità. (2013, 14b)
 
====Capitolo XXI====
*Coloro che si son consumati a servire i maestri, che son morti prima di essere stati iniziati, che, in punto di morte, hanno spontaneamente manifestato il desiderio di essere iniziati, che sono stati iniziati a dottrine inferiori, etc., [...] Il Maestro può, a tutti costoro, impartire l’iniziazionel'iniziazione attrattrice dei morti. (2013, 6 e 9)
*Dopo costruito il ''maṇḍala'' ed ivi adorato la divinità, il maestro deve foggiare con erba ''kusa'' e sterco di vacca un’immagineun'immagine del discepolo che vuole iniziare e quindi porsela davanti. (2013, 22b-23a)
 
====Capitolo XXII====
*Chi appartiene a dottrine inferiori può essere così da esse estratto, se beninteso sospinto dalla potenza di Śiva. (2013, 12a)
*Fatto dunque digiunare il discepolo, il maestro, sulla superficie sacrificale, deve adorare l’indomanil'indomani il Signore mediante i mantra generici e raccontargli la storia di costui. (2013, 14b)
 
====Capitolo XXIII====
*Il maestro, (secondo numerose scritture, deve essere, in breve) pieno di compassione, buon intendente della grammatica (''pada''), della speculazione ortodossa (''vākya'') e della logica (''pramāṇa''), tutto preso dalla devozione a Śiva e null’altronull'altro, conoscitore (profondo) del senso di tutte le scritture promulgate da Śiva, non un «autogenito» (''svayaṃbhūḥ''). (2013, 7-8)
*Il nuovo maestro, dopo ottenuto la consacrazione deve meditare e recitare per sei mesi, l’interol'intero complesso dei mantra esposto nelle scritture, sino a concentrarsi ed immedesimarsi con esso. (2013, 31)
 
====Capitolo XXIV====
*Il maestro, precisamente, deve prima fissarne l’essenzal'essenza col punto, trapassarlo col seme della potenza, scuoterlo nel luogo del suono, percuoterlo col tridente ed infine percueterne ad una ad una, ripetutamente, tutte le «forze», mediante l’emissionel'emissione, la quale risiede dentro la ''suśumnā''. L’animaL'anima vincolata grazie a questi procedimenti, si muove e può anche alzare la mano sinistra. (2013, 13-14)
*Quest’iniziazioneQuest'iniziazione funebre ha, come effetto, quello di purificare il ''puryaśṱaka''<ref>Lett.: "il corpo ottuplice": è il corpo trasmigrante, costituito, secondo la maggior parte delle scuole dello [[shivaismo]] dai tre sensi interni (''manas'', ''ahaṃkāra'', ''buddhi'') e dai cinque elementi sottili (''tanmātra'').</ref>. Se infatti il ''puryaśṱaka'' non esiste, non vi son più neppure i cieli, le resistenze infernali, etc. (2013, 20b-21a)
 
====Capitolo XXV====
*Questo rito {{NDR|in favore degli antenati}} dev’esseredev'essere celebrato dal maestro, insieme coi suoi intrinseci, nel terzo, quarto e decimo giorno (a partire dalla morte), ogni mese, nel primo anno, ogni anno, sempre, e concerne sia coloro che sono stati purificati dall’ultimodall'ultimo sacramento sia quelli che non hanno ricevuto questa purificazione. (2013, 2b-3b)
 
====Capitolo XXVI====
*A questo punto, egli deve immaginare come la superficie sacrificale sia essenziata di coscienza, immacolata come un cristallo, come un etere senza macchia e contemplare come quivi le divinità, cui desidera compiacere, si mostrino in guisa d’immaginid'immagini riflesse e che la coscienza sia l’immaginel'immagine riflettente. (2013, 41-42)
*Una volta evocati i mantra, occorre quindi soddisfarli e propiziarli con fiori, liquori, offerte d’alimentid'alimenti ed incensi, proporzionatamente alla fiducia, alla devozione e dalle possibilità (del celebrante). (2013, 51b-52a)
*O [[kundalini|visione d'ambrosia immortale e suprema]] che splendi di luce cosciente scorrendo dalla Realtà assoluta, sii il mio rifugio. Grazie a essa ti adorano coloro che conoscono il mistico arcano (''rahasya''). (63)<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, p. 277.</ref>
*''Nella casa divina del corpo, v’adorov'adoro, mio Dio e mia Dea, giorno e notte! V’adoroV'adoro lavando di continuo il fondamento terrestre cogli spruzzi dell’essenzadell'essenza del mio stupirsi! V’adoroV'adoro cogli spontanei fiori spirituali che esalano innato profumo! V’adoroV'adoro colla preziosa urna del cuore, colma d’ambrosiad'ambrosia, beatifica, giorno e notte!'' (2013, 64)
 
====Capitolo XXVII====
[[Immagine:Lord Amarnath.jpg|thumb|Il ''liṅga'' di ghiaccio in una delle grotte presso il tempio di Amarnath, Jammu and Kashmir, India]]
*Fra tutti i ''[[liṅga]]'' immanifesti i più eccellenti son quelli non fatti da mano d’uomod'uomo. (2013, 17a)
*Il cranio più eccellente di tutti, secondo il ''Siddhāyogeśvarīmatam'', è quello di una, due, tre, quattro porzioni (''khaṇḍa'') fatto a forma di «testa di bove» (''gomukha'') o di luna piena, del colore dei loti, dell’orpimentodell'orpimento (''gorocana''), delle perle, dell’acquadell'acqua o del cristallo, provvisto d’unod'uno, due, tre, quattro o cinque bei fori e di quattordici linee, auspicioso. (2013, 25-26)
*Un’altraUn'altra cosa da provvedere e successivamente adorare è il rosario, il quale dev’esserdev'esser di madreperla, di semi di ''padmākśa''<ref>''Nelumbium Speciosum'', cioè il comune loto: così Raniero Gnoli.</ref>, di perle, di gemme, d’orod'oro. Essi son via via d’ordined'ordine sempre più elevato. Specialmente stimato, infine, quello fatto di semi di ''rudrākṣa''<ref>''Elaeocarpus ganitrus'': così Raniero Gnoli.</ref>. I grani debbono essere centoquindici, cento otto, la metà o la metà della metà di questi o anche cinquanta. (2013, 30-32a)
 
====Capitolo XXVIII====
*A quel modo che anche l’ultimol'ultimo venuto, entrando in uno spettacolo, può ottenere immediatamente lo stato di coscienza indifferenziato in cui si trovano gli altri spettatori, da loro gradatamente raggiunto, così uno, entrando in uno di questi gruppi, caratterizzati da un’unicaun'unica coscienza, può ottenere, immediatamente, quella stessa pienezza di coscienza che gli altri hanno gradatamente raggiunto attraverso lo yoga e l’eserciziol'esercizio. (2013, 20b-22)
*Le donne da adorare nel [sacrificio della] ruota, chiamato Sacrificio Posteriore (''anuyāga'') sono via via vergini, donne di bassa casta, cortigiane, donne piene di ardore, conoscitrici delle regole, coadiuvanti, ciascuna per sé e tutte insieme. (2013, 39b-40a)
*Gli eroi e le potenze<ref>Gli uomini e le donne che partecipano al rito.</ref> debbono riunirsi di notte in una casa appartata, dandosi la voce l'un l’altrol'altro per mezzo di un linguaggio segreto – il cosiddetto linguaggio delle dee –, chiamarsi con nomi indipendenti dai (nomi e dalle) convenzioni ordinarie. Nel caso che non si sia riusciti a mettere insieme la ruota dei «corpi», si può limitare l’adorazionel'adorazione alle sole fanciulle, con l’avvertenzal'avvertenza che, in un rito opzionale, esse non debbono essere deformi, né avere il seno già sviluppato, né essere già mestruate. (2013, 104b-106a)
*Ma che cos'è assumere questo un corpo? Esso non è altro, io rispondo, se non il primo sorgere del respiro (''prāṇana'') – respiro della coscienza, prima in stato di vuoto – nel corpo racchiuso nella matrice. La sovrana facoltà di creare un corpo nella matrice appartiene soltanto a questo primo sorgere di respiro, non contratto (o limitato). E per questo si dice che il Signore è il fattore dei corpi, etc. (2013, 218b-220a)
*Disgregatasi questa macchina, la coscienza riprende la forma di un respirare ed entra in un altro corpo – nato o no da matrice – determinato da un dato karma. Ed ecco che questo corpo si risveglia, come chi si scuote da sonno profondo, e, a simiglianza del precedente, ha o meno varie esperienze e infine [[morte|muore]]. (2013, 230b-232a)
*Perciò, colui il cui stato di contrazione è bruciato dall’iniziazionedall'iniziazione e dalla conoscenza di Śiva, diventa, disgregatosi il corpo, Śiva, né s’incarnas'incarna più in altri corpi. (2013, 236b-237a)
 
====Capitolo XXIX====
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*La caratteristica che deve avere la potenza<ref>Cioè la donna che partecipa al rito, identificata con [[śakti]], potenza dinina.</ref> è questa soltanto, cioè uno stato di identità perfetta con chi la possiede. Tale dunque occorre eleggere la propria potenza. Tutte le altre caratteristiche – casta (bellezza, età) – sono da tenere in non cale<ref>Non sono cioè importanti.</ref>. (2013, 100b-101a)
*Tale è la ruota principale; le ruote secondarie le sono inferiori. Il termine ''cakra'', ruota, è associato alle radici verbali che significano «espandere» [l'essenza] (''kas-''), «essere appagato» [da questa essenza] (''cak-''); «spezzare i legami» (''kRt-'') e «agire efficacemente» (''kR-'')<ref>È questo un tipico esempio di etimologia secondo i grammatici hindu ("alla maniera indiana", secondo l'espressione di Silburn): ricercare nel termine le possibili radici ed elencarne i significati per spiegare il termine stesso.</ref>. Così la ruota dispiega, è appagata, rompe e ha la potenza di agire. (106-107ab)<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, pp. 249-250.</ref>
*In tal guisa, questa coppia dove via via è sparito ogni differenziato sapere – questa coppia è la coscienza stessa, l’emissionel'emissione unitiva, la dimora stabile, senza superiore, naturata di nobile, cosmica beatitudine da ambedue essenziata, il supremo segreto del Kula, non quiescente, non emergente, causa fondata d’emergenzad'emergenza e quiescenza. (2013, 115b-117a)
*Coloro il cui corpo, nel grembo materno, fu procreato durante una tale unione, sono chiamati col nome di «figli delle ''yoghinī''». Costoro sono spontaneamente, ricetto di conoscenza, (identici a) [[Rudra]]. Secondo il ''Vīrāvalitantra'', chi è tale è già uguale a Śiva, fin da quando sta ancora nel grembo materno. (2013, 162b-163)
*Il [[corpo]] stesso è la ruota suprema, il ''[[liṅga]]'' eminente, benefico, [luogo] prediletto delle energie divinizzate e regno del culto supremo. Infatti è il ''[[maṇḍala]]'' principale costituito dal triplice tridente, dai loto, dai centri e dal vuoto etereo (''kha'').<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, p. 276.</ref> (171-173)
*Il Maestro, su tutto il corpo, deve proiettare il cosiddetto seme della potenza.<ref>La citazione fa riferimento al rito di iniziazione di un discepolo.</ref> Nella ruota del cuore dev’esseredev'essere poi proiettato il mantra H, ornato dalle dodici vocali, e in mezzo ad esso, la coscienza, simile ad una rosa. Il Maestro deve quindi meditare come questa ruota sia spinta dal vento Y e tutta fiammeggiante del fuoco R, e recitare il mantra, intramezzandolo col nome dell’iniziandodell'iniziando. Il discepolo, con questo metodo, è, sull’istantesull'istante, colpito da paralisi. (2013, 214-216)
*Il discepolo deve stare accanto al Maestro.<ref>La citazione fa riferimento al rito di iniziazione detto "per trafissione", destinato a chi aspira a "fruizioni". Con tale termine si intende la possibilità, per l'adepto, di fruire dei piaceri mondani della vita e di ottenere la liberazione soltanto in punto di morte. Rinunciando invece alle fruizioni si può aspirare alla liberazione in vita.</ref> Questi deve applicare, per la trafissione, bocca a bocca, forma a forma, sino a non fondersi perfettamente cogli oggetti (di tali sue operazioni). Fusosi perfettamente il mentale, discepolo e maestro vengono a trovarsi nel cosiddetto stato transmentale, grazie a cui il discepolo è immediatamente iniziato. Unitosi sole e luna, il vivente si identifica (con lo stato unitivo venuto a verificarsi). (2013, 273-275)
 
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====Capitolo XXXI====
*Tracciato poi il ''maṇḍala'', conviene darvi le polveri colorate, per abbellirlo. I colori migliori, conveniente ciascuno ad una dea, son qui dati dal minio, dal ''rājavarta''<ref>Il blu dei lapislazzuli, ma in questo caso sembra indicare il colore nero.</ref> e dal gesso, bianchissimo. La Dea Parā, in questo proposito, è bianca come la luna, la Dea Parāparā, rossa, e l’ultimal'ultima, Aparā, nera, terrifica, infuriata. (2013, 39-41a)
*Nei tre tridenti conviene poi adorare via via anche la creazione, la mansione e la dissoluzione: nel centro invece il quarto stato, che tutto perfeziona ed adempie. (2013, 52)
 
====Capitolo XXXII====
*La ''[[mudrā]]'', secondo ch’èch'è detto nel ''Devyāyāmalatantra'' è una contro-immagine. In base ai due significati che può avere l’espressionel'espressione «''bimbodaya''», la ''mudrā'' è detta contro-immagine, nel senso che nasce dall’immaginedall'immagine o nel senso che l’immaginel'immagine nasce da essa, che diventa cosi uno strumento della sua nascita, ciò che dà (''rā''), somministra, piacere (''mud''), cioè l’ottenimentol'ottenimento della natura propria, e, attraverso il corpo, il sé. Tale la ragione per cui nelle scritture essa è così chiamata. (2013, 1-3)
*Le ''mudrā'' sono quadruplici, secondo cioè concernano il corpo, le mani, la parola e la mente. (2013, 9b)
*Il momento opportuno in cui applicare le ''mudrā'' cade nell’inizionell'inizio del sacrificio, nel suo mezzo, nella sua fine, nell’intrisecazionenell'intrisecazione col conoscere e collo yoga, nella pacificazione degli ostacoli, nella recisione dei legami. (2013, 66)
 
====Capitolo XXXIII====
*In base a quanto è stato detto, che cioè la principale caratteristica del Trika è questa, che per celebrare l’adorazionel'adorazione, non si può fare a meno di varie ruote<ref>Le ruote sono supporti immaginativi di forma circolare nei quali si considerano risiedere le divinità femminili.</ref>, noi esponiamo qui riunite quali sono queste diverse ruote. (2013, 1)
*Parāparā, Parā ed Aparā sono l’emissionel'emissione, la mansione ed il riassorbimento; ma la quarta, consistente nell’nell'«Essenza dei soggetti conoscenti» (o delle «madri») è considerata come il riposo. (2013, 30)
 
====Capitolo XXXIV====
*Chi penetra sempre più addentro nella conoscenza «particoliforme», da noi in più modi esposta, diretta all’ottenimentoall'ottenimento di Śiva, riposa, alla fine, vicino (al suo intimo essere), dopo di che, abbandonato il piano «particoliforme» va in quello «potenziato», dopo di che ancora, «divino». In tal guisa, chi così partecipa della natura di Bhairava. (2013, 1b-2)
 
====Capitolo XXXV====
*Naturalmente, fin tanto che uno non si sia identificato con Śiva, deve accettare senza diffidenza la certezza a priori conveniente alla sua propria natura, essa soltanto, ed essere di converso diffidente verso le altre. Egli deve stimarla più d’ognid'ogni altra. Chi sta per identificarsi con Śiva deve così essere dedito alla relativa certezza. (2013, 21-22)
*Il fine supremo di essa tutta {{NDR|la Tradizione}} è la realtà chiamata col nome di Trika, la quale, perché in tutto presente, indivisa ed ininterrotta, è chiamata (anche) col nome di Kula. (2013, 31)
*Il [[Sāṃkhya]], lo [[Yoga]], il [[Pañcarātra]], ed il [[Veda]], così com’ècom'è detto nello ''[[Svacchandatantra]]'', non debbono essere vilipesi, in quanto che sono originati tutti da Śiva. Queste varie tradizioni, correnti nel mondo, non sono che frammenti isolati, estratti da una tradizione unica. Esse offuscano e traggono in inganno i loro devoti. (2013, 36-37)
 
====Capitolo XXXVI====
*[[Bhairava]] l’hal'ha trasmessa {{NDR|la Scrittura originaria}} a Gahaneśvara, questi a Brahmā, questi a Śakra e questi infine a Bṛhaspati. (2013, 2)
*Costoro {{NDR|gli uomini eccellenti che avevano appreso parti della Scrittura originaria}} se lo trasmisero sì l’unl'un l’altrol'altro, ma esso sol tempo, andò perduto. Per comando di Śrīkaṇṭha discesero allora al mondo tre Perfetti, Tryambaka, Āmardaka e Śrīnātha, competenti, rispettivamente, nei tre aspetti in cui si divide l’insegnamentol'insegnamento Scivaita, cioè la non dualità, la dualità, e la dualità-non dualità. Dal primo discese, per parte di figlia, una seconda linea spirituale (ormai) ben affermata col nome di Mezzo Tryambaka. (2013, 11-13)
*Quest’operaQuest'opera nostra, la Luce dei Tantra, ha assorbito il succo che costituisce l’essenzal'essenza di queste tre correnti spirituali e mezza e come tale emana ogni sorta di ''rasa''<ref>Nettare.</ref>. (2013, 15)
 
====Capitolo XXXVII====
*Ciò che secondo i Veda è fonte di peccato, secondo questa nostra dottrina di sinistra, conduce invece speditamente alla perfezione. Tutto l’insegnamentol'insegnamento vedico è infatti sotto il dominio di ''[[māyā]]''. (2013, 11b-12a)
*Il [[mantra]] è ciò che pensa e salva. Esso è rafforzato, nutrito dalla conoscenza (''vidyā'') la quale illumina le cose del conoscibile. La ''mudrā'' è un’immagineun'immagine riflessa del mantra ed è nutrita dal ''maṇḍala''. Il termine ''maṇḍa'' implicito in maṇḍala designa infatti l’essenzal'essenza, cioè Śiva stesso. (2013, 19b-21)
*''Il [[vino]] che infonde baldanza alle parole degli innamorati, che, senza ostacoli, nell’unionenell'unione sessuale discaccia la paura, il vino dove volentieri risiedono (tutte) le divinità delle ruote, il vino qui ''{{NDR|nel Kashmir}}'' procaccia via via fruizioni''<ref name=fru/>'' e liberazioni.'' (2013, 44)
*''L’[[amore]], in effetto, rende ancora più saldi i vincoli (che ci legano all’esistenza). Distrutto questo legame fondamentale, la liberazione in questa stessa vita, secondo me, è cosa fatta.'' (2013, 57)
 
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==Citazioni su Abhinavagupta==
*Il prestigio di Abhinava-Gupta (X secolo), il principale teologo di questa scuola, permise sicuramente allo shaktismo di acquisire i suoi primi titoli di nobiltà presso i brahmini, poiché Abhinava-Gupta integrò una parte della sua ideologia in una costruzione filosofica ambiziosa, mentre la venerazione della dea (''Dévî, Shakti'') abitualmente non forniva altro che poemi mitologici. ([[Jean Varenne]])
*La Luce delle Sacre Scritture (Tantrāloka), che qui presentiamo per la prima volta tradotta dall’originaledall'originale sanscrito, è l’operal'opera religiosa di gran lunga più importante di uno dei massimi pensatori dell’Indiadell'India, Abhinavagupta, vissuto in Kashmir tra il X e l'XI secolo d. C. ([[Raniero Gnoli]])
*Ma bisogna citare al disopra di tutti il grandissimo Abhinavagupta, filosofo e yogin, studioso di estetica e mistico, il cui ''Tantrāloka'', vasto trattato spirituale e di ritualistica, è, insieme con il commentario di [[Jayaratha]], un'opera fondamentale per la conoscenza dell'universo tantrico. ([[André Padoux]])
*Parecchi secoli più tardi, Abhinavagupta interpreta l'offerta vedica in modo specificamente mistico. Anch'egli la chiama «oblazione plenaria» (''pūrṇāhuti''), ma non riconosce altro fuoco divino capace di consumare tutta la dualità che la ''kuṇḍalinī'', né altra offerta da versare nel fuoco che la penetrazione del maestro nel soffio del discepolo, nel quale si risveglia il fuoco divino e sale la fiamma della ''kuṇḍalinī''. ([[Lilian Silburn]])