Abhinavagupta: differenze tra le versioni

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====Capitolo V====
*Chi ad ogni istante dissolve in tal modo il tutto nella sua propria coscienza e di nuovo poi lo emette, s’identifica perennemente con [[Bhairava]]. (2013, 36)
*Lo yoghin, applicato al respiro il metodo del bastone e pareggiato il precedente e il susseguente<ref>I soffi inspirati e espirati.</ref>, deve innanzitutto raggiungere la sede nettarea (che sta sopra) la lingua, appoggiata al loto ed al quadrato. Raggiunto quindi il piano del tridente, dove si congiungono i tre canali, deve penetrare nel piano dove risiedono in eguaglianza la volontà la conoscenza e l’azione. Per raggiungere la sede più alta lo yoghin deve (naturalmente) salire attraverso i gradini del punto sopracciliare, della «fine del suono» e della potenza, scala unica, in espansione (e contratta), eppoi nuovamente non contratta, espansa. Quivi, nel piano della serpentina (''[[kuṇḍalinī]]'') superiore, è l’emissione, dove si contiene il movimento, bella di esso.<ref>Nel testo: «''tatrordhvakuṇḍalībhūmau spandanodarasundaraḥ''», V.57.</ref> Quivi lo yoghin deve riposare, nel piano del ventre del pesce.<ref>Che si contrae e si espande senza sosta: è una metafora per indicare l'emissione e il riassorbimento, due delle operazioni cosmiche che lo yogin riesce a compiere quando conduce ''kuṇḍalinī'' a unirsi con Śiva. In tale piano egli si fa divino, forte delle potenze di volontà, conoscenza e azione.</ref> (2013, 54b-58a)
*Nel cuore supremo, dove la grande radice S, il tridente AU e l’emissione Ḥ son stati unificati, lo yoghin trova riposo. (2013, 60b)
*In chi, attraverso l’esercizio anzidetto, si accinge a penetrare, con mezzi corporei, in tale supremo cammino, nasce, innanzi tutto, un senso di beatitudine, dovuto ad un contatto colla pienezza. Segue poi il salto, cioè a dire un evidente sobbalzo, provocato dalla penetrazione, per un istante, in una realtà incorporea, simile ad un lampo improvviso; successivamente si ha un tremor di spavento, dovuto a questo, che l’improvvisa presa di possesso della propria forza susseguente all’abbandono dell’unità fra il corpo e la coscienza, cui siamo assuefatti da un numero infinito di nascite, indebolisce il corpo. Venuta verso l’interno, lo yoghin è preso quindi come da sonno: il quale dura fintantoché egli non si sia saldamente affermato nella coscienza. Immersosi quindi nel piano realissimo e fattosi chiaramente cosciente di come la coscienza sia naturata di tutte le cose, eccolo tutto vibrare. La vibrazione è infatti identica alla «grande pervasione». (2013, 100b-104)