Abhinavagupta: differenze tra le versioni

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====Capitolo XXIX====
*Tutto il rituale precedente viene adesso esposto secondo i metodi del [[Kula]]. (2013, 1)
*La caratteristica che deve avere la potenza<ref>Cioè la donna che partecipa al rito, identificata con [[śakti]], potenza dinina.</ref> è questa soltanto, cioè uno stato di identità perfetta (''avibheditā = abheda'') con chi la possiede. Tale dunque occorre eleggere la propria potenza. Tutte le altre caratteristiche – casta (bellezza, età) – sono da tenere in non cale<ref>Non sono cioè importanti.</ref>. (2013, 100b-101a)
*Tale è la ruota principale; le ruote secondarie le sono inferiori. Il termine ''cakra'', ruota, è associato alle radici verbali che significano «espandere» [l'essenza] (''kas-''), «essere appagato» [da questa essenza] (''cak-''); «spezzare i legami» (''kRt-'') e «agire efficacemente» (''kR-'')<ref>È questo un tipico esempio di etimologia secondo i grammatici hindu ("alla maniera indiana", secondo l'espressione di Silburn): ricercare nel termine le possibili radici ed elencarne i significati per spiegare il termine stesso.</ref>. Così la ruota dispiega, è appagata, rompe e ha la potenza di agire. (106-107ab)<ref>Citato in Lilian Silburn 1997, pp. 249-250.</ref>
*In tal guisa, questa coppia dove via via è sparito ogni differenziato sapere – questa coppia è la coscienza stessa, l’emissione unitiva, la dimora stabile, senza superiore, naturata di nobile, cosmica beatitudine da ambedue essenziata, il supremo segreto del Kula, non quiescente, non emergente, causa fondata d’emergenza e quiescenza. (2013, 115b-117a)
*Il Maestro, su tutto il corpo, deve proiettare il cosiddetto seme della potenza.<ref>La citazione fa riferimento al rito di iniziazione di un discepolo.</ref> Nella ruota del cuore dev’essere poi proiettato il mantra H, ornato dalle dodici vocali, e in mezzo ad esso, la coscienza, simile ad una rosa. Il Maestro deve quindi meditare come questa ruota sia spinta dal vento Y e tutta fiammeggiante del fuoco R, e recitare il mantra, intramezzandolo col nome dell’iniziando. Il discepolo, con questo metodo, è, sull’istante, colpito da paralisi. (2013, 214-216)
*Il discepolo deve stare accanto al Maestro.<ref>La citazione fa riferimento al rito di iniziazione detto "per trafissione", destinato a chi aspira a fruizioni.</ref> Questi deve applicare, per la trafissione, bocca a bocca, forma a forma, sino a non fondersi perfettamente cogli oggetti (di tali sue operazioni). Fusosi perfettamente il mentale, discepolo e maestro vengono a trovarsi nel cosiddetto stato transmentale, grazie a cui il discepolo è immediatamente iniziato. Unitosi sole e luna, il vivente si identifica (con lo stato unitivo venuto a verificarsi). (2013, 273-275)
 
====Capitolo XXX====
*I mantra propri di [[Gaṇeśa]] e delle altre divinità sono formati dalla sillaba [[Oṃ|OṂ]], dal nome della divinità stessa al dativo, dalla parola «obbedienza»<ref>Cioè ''namaḥ''.</ref>. (2013, 18)
*La ''vidyā''<ref>La ''vidyā'' è un mantra presieduto da una divinità femminile, e differisce dal mantra per essere portatore di conoscenza: ''vidyā'' vuol dire letteralmente "conoscenza".</ref> della Dea Parāparā, secondo le scritture del [[Trika]], si compone delle tre dee Aghorī, etc., al vocativo, coi rispettivi semi HRĪḤ, HUM e HAḤ; delle tre dee Ghoramukhī, etc.<ref>Il mantra è: OṂ AGHORE HRĪḤ, PARAMAGHORE HUṂ, GHORARŪPE HAḤ, GHORAMUKHI, BHĪMA, BHĪṢANE, VAMA, PIBA HE RURU RARA PHAṬ HUṂ HAṂ PHAṬ.</ref> (2013, 20)
 
====Capitolo XXXI====
*Tracciato poi il ''maṇḍala'', conviene darvi le polveri colorate, per abbellirlo. I colori migliori, conveniente ciascuno ad una dea, son qui dati dal minio, dal ''rājavarta''<ref>Il blu dei lapislazzuli, ma in questo caso sembra indicare il colore nero.</ref> e dal gesso, bianchissimo. La Dea Parā, in questo proposito, è bianca come la luna, la Dea Parāparā, rossa, e l’ultima, Aparā, nera, terrifica, infuriata. (2013, 39-41a)
*Nei tre tridenti conviene poi adorare via via anche la creazione, la mansione e la dissoluzione: nel centro invece il quarto stato, che tutto perfeziona ed adempie. (2013, 52)
 
====Capitolo XXXII====
*La ''[[mudrā]]'', secondo ch’è detto nel ''Devyāyāmalatantra'' è una contro-immagine. In base ai due significati che può avere l’espressione «''bimbodaya''», la ''mudrā'' è detta contro-immagine, nel senso che nasce dall’immagine o nel senso che l’immagine nasce da essa, che diventa cosi uno strumento della sua nascita, ciò che dà (''rā''), somministra, piacere (''mud''), cioè l’ottenimento della natura propria, e, attraverso il corpo, il sé. Tale la ragione per cui nelle scritture essa è così chiamata. (2013, 1-3)
*Le ''mudrā'' sono quadruplici, secondo cioè concernano il corpo, le mani, la parola e la mente. (2013, 9b)
*Il momento opportuno in cui applicare le ''mudrā'' cade nell’inizio del sacrificio, nel suo mezzo, nella sua fine, nell’intrisecazione col conoscere e collo yoga, nella pacificazione degli ostacoli, nella recisione dei legami. (2013, 66)
 
====Capitolo XXXIII====
*In base a quanto è stato detto, che cioè la principale caratteristica del Trika è questa, che per celebrare l’adorazione, non si può fare a meno di varie ruote<ref>Le ruote sono supporti immaginativi di forma circolare nei quali si considerano risiedere le divinità femminili.</ref>, noi esponiamo qui riunite quali sono queste diverse ruote. (2013, 1)
*Parāparā, Parā ed Aparā sono l’emissione, la mansione ed il riassorbimento; ma la quarta, consistente nell’«Essenza dei soggetti conoscenti» (o delle «madri») è considerata come il riposo (2013, 30)
 
====Capitolo XXXIV====
*Chi penetra sempre più addentro nella conoscenza «particoliforme», da noi in più modi esposta, diretta all’ottenimento di Śiva, riposa, alla fine, vicino (al suo intimo essere), dopo di che, abbandonato il piano «particoliforme» va in quello «potenziato», dopo di che ancora, «divino». In tal guisa, chi così partecipa della natura di Bhairava. (2013, 1b-2)
 
====Capitolo XXXV====
*Naturalmente, fin tanto che uno non si sia identificato con Śiva, deve accettare senza diffidenza la certezza a priori conveniente alla sua propria natura, essa soltanto, ed essere di converso diffidente verso le altre. Egli deve stimarla più d’ogni altra. Chi sta per identificarsi con Śiva deve così essere dedito alla relativa certezza. (2013, 21-22)
*Il fine supremo di essa tutta {{NDR|la Tradizione}} è la realtà chiamata col nome di Trika, la quale, perché in tutto presente, indivisa ed ininterrotta, è chiamata (anche) col nome di Kula. (2013, 31)
*Il [[Sāṃkhya]], lo [[Yoga]], il [[Pañcarātra]], ed il [[Veda]], così com’è detto nello ''Svacchandatantra'', non debbono essere vilipesi, in quanto che sono originati tutti da Śiva. Queste varie tradizioni, correnti nel mondo, non sono che frammenti isolati, estratti da una tradizione unica. Esse offuscano e traggono in inganno i loro devoti. (2013, 36-37)
 
====Capitolo XXXVI====
*[[Bhairava]] l’ha trasmessa {{NDR|la Scrittura originaria}} a Gahaneśvara, questi a Brahmā, questi a Śakra e questi infine a Bṛhaspati. (2013, 2)
*Costoro {{NDR|gli uomini eccellenti che avevano appreso parti della Scrittura originaria}} se lo trasmisero sì l’un l’altro, ma esso sol tempo, andò perduto. Per comando di Śrīkaṇṭha discesero allora al mondo tre Perfetti, Tryambaka, Āmardaka e Śrīnātha, competenti, rispettivamente, nei tre aspetti in cui si divide l’insegnamento Scivaita, cioè la non dualità, la dualità, e la dualità-non dualità. Dal primo discese, per parte di figlia, una seconda linea spirituale (ormai) ben affermata col nome di Mezzo Tryambaka. (2013, 11-13)
*Quest’opera nostra, la Luce dei Tantra, ha assorbito il succo che costituisce l’essenza di queste tre correnti spirituali e mezza e come tale emana ogni sorta di ''rasa''<ref>Nettare.</ref>. (2013, 15)
 
====Capitolo XXXVII====
*Ciò che secondo i Veda è fonte di peccato, secondo questa nostra dottrina di sinistra, conduce invece speditamente alla perfezione. Tutto l’insegnamento vedico è infatti sotto il dominio di ''[[māyā]]''. (2013, 11b-12a)
*Il [[mantra]] è ciò che pensa e salva. Esso è rafforzato, nutrito dalla conoscenza (''vidyā'') la quale illumina le cose del conoscibile. La ''mudrā'' è un’immagine riflessa del mantra ed è nutrita dal ''maṇḍala''. Il termine ''maṇḍa'' implicito in maṇḍala designa infatti l’essenza, cioè Śiva stesso (2013, 19b-21)
*''Il [[vino]] che infonde baldanza alle parole degli innamorati, che, senza ostacoli, nell’unione sessuale discaccia la paura, il vino dove volentieri risiedono (tutte) le divinità delle ruote, il vino qui ''{{NDR|nel Kashmir}}'' procaccia via via fruizioni e liberazioni.'' (2013, 44)
*''L’[[amore]], in effetto, rende ancora più saldi i vincoli (che ci legano all’esistenza). Distrutto questo legame fondamentale, la liberazione in questa stessa vita, secondo me, è cosa fatta. (2013, 57)
 
===Citazioni su ''Tantrāloka''===