Luigi Settembrini: differenze tra le versioni

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*Intanto venne l'agosto, vennero le nuove delle tre giornate di luglio a [[Parigi]]. Che salti, che allegrie, che propositi facevamo noi altri giovani! S'aspettava anche noi il giorno di pigliare le armi, e scoparla una volta per sempre questa razza borbonica nemica di ogni bene e di ogni libertà. Re [[Francesco I delle Due Sicilie|Francesco]] fu atterrito dalla novella. Corse voce che il giovane [[Ferdinando II delle Due Sicilie|Ferdinando]], che allora attendeva a riformare l'esercito, dicesse al padre: "Andiamo noi coi nostri soldati a rimettere l'ordine a Parigi". E Francesco rispose: "Che soldati! Ti puzza ancora la bocca di latte, e non sai che bestie sono i francesi". Se è vero, non so; né io ero lì in corte per udire cosiffatto discorso. Si diceva, e io lo ridico. Se è un'invenzione, dentro c'è la verità del carattere del padre e del figliuolo. Sul cominciare di novembre re Francesco morì dopo cinque anni regnati coi preti, con le spie e col carnefice. (p. 14)
*{{NDR|A [[Napoli]] dopo la salita al trono di [[Ferdinando II delle Due Sicilie]]}} Dopo il 1830 nacque una nidiata di giornali, che sebbene parlassero di sole cose letterarie, e dicessero quello che potevan dire, pure ei si facevano intendere, erano pieni di vita e di brio, e toccavano quella corda che in tutti rispondeva. Era moda parlare d'[[Italia]] in ogni scritturella, si intende già l'Italia dei letterati: e sebbene molti avessero la sacra parola pure al sommo della bocca, nondimeno molti altri l'avevano in cuore. (p. 21)
* Voi sapete che, quando un popolo ha perduto patria e libertà e va disperso pel mondo, la [[lingua]] gli tiene luogo di patria e di tutto; e che quando gli ritorna il pensiero e il sentimento della sua passata grandezza, la lingua ritorna appunto all'antico. Sapete che così avvenne in Italia, e che la prima cosa che volemmo quando ci risentimmo italiani dopo tre secoli di servitù, fu la nostra lingua comune, che Dante creava, il Machiavelli scriveva, il Ferruccio parlava. Sapete infine che parecchi valenti uomini si dettero a ristorare lo studio della lingua, e fecero opera altamente civile, perché la lingua per noi fu ricordanza di grandezza di sapienza di libertà, e quegli studi non furono moda letteraria, come ancora credono gli sciocchi, ma prima manifestazione del sentimento nazionale. (p. 28)
e il sentimento della sua passata grandezza, la lingua ritorna appunto all'antico. Sapete che così avvenne in Italia, e che la prima cosa che volemmo quando ci risentimmo italiani dopo tre secoli di servitù, fu la nostra lingua comune, che Dante creava, il Machiavelli scriveva, il Ferruccio parlava. Sapete infine che parecchi valenti uomini si dettero a ristorare lo studio della lingua, e fecero opera altamente civile, perché la lingua per noi fu ricordanza di grandezza di sapienza di libertà, e quegli studi non furono moda letteraria, come ancora credono gli sciocchi, ma prima manifestazione del sentimento nazionale. (p. 65)
*Oggi non si vuol sapere di sette, e va benissimo: ma una volta esse ci sono state, e per esservi dovevano avere la loro ragione. Non bisogna scandalezzarsene e biasimarle così a la cieca, ma considerare che in certi tempi e in certi popoli elle sono una necessità, e moltissimi uomini di virtù e di senno credettero bene di appartenervi. Nei paesi liberi ci sono le parti, le quali sono pubbliche, e adoperano mezzi se non sempre onesti almeno d'un'apparenza legale. Nei paesi servi ci sono le sette, che sono segrete, e che per ira e corruzione non badano troppo alla qualità dei mezzi. Le sette sono una necessità della servitù, e cessano quando l'idea che le ha formate non è più né segreta né di pochi, ma pubblica e generale, e deve diffondersi e volare per tutto. Se volete la farfalla, dovete avere prima il verme. Allora non potevamo in altro modo intenderci, accordarci, tentare libertà, e spargere il seme di quelle idee che han prodotto il frutto che ora apparisce. Non abbiate dunque a male se io vi parlo d'una setta. (p. 30)
*In tutte le cose del mondo un poco d'impostura ci vuole, ed è come il sale che da sapore se è poco, e rende amaro se è molto. L'è una cosa difficile, ma il più difficile e più bello. (p. 30)