Plinio il Vecchio: differenze tra le versioni
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*Il cibo dello [[asparago]], secondo che si dice, è utilissimo allo stomaco, e aggiuntovi il comino caccia le infiammagioni dallo stomaco e dell'intestino colon; e rischiara anco la vista. Gli asparagi mollificano leggermente il corpo: giovano a' dolori del petto e della schiena, e a' difetti degl'interiori, quando son cotti col vino; non che a' dolori de' lombi e delle reni, beendo il seme loro a peso di tre oboli con altrettanto comino. Dettano la lussuria, e muovono utilissimamente l'orina, ma rodono la vescica. (XX; 1884, p. 42)
*Giova ancora la [[fava]], perché fritta soda, e bollente messa in aceto forte medica i tormini. Infranta in cibo, e cotta con l'aglio, si piglia ogni giorno contra le tossi disperate, e le marcie raccolte nel petto; e masticata a bocca digiuna è adoperata ancora a maturare i fìgnolì, ed a levargli via; e cotta nel vino, a torre gli enfiati dei testicoli e delle parti genitali. La farina di fava ancora, cotta con lo aceto, matura e apre gli enfiati, e medica i lividori e le incotture. (XXII, 69; 1844, p. 256)
*La fama di Malampode è nota per le arti di divinazione. Da lui ha nome il melampodio, ch'è una specie di [[elleboro]]. Alcuni dicono che ne fu inventore un pastor di questo nome, il quale osservò che le capre pascendo quest'erba si purgavano, e che dando poi il latte di queste capre guarì le Pretide, le quali erano impanate. Per la qual cosa si convien dire insieme di tutte le sue specie. Le prime sono due, del bianco e del nero. Molti dicono che la lor differenza si conosce solamente dalle radici: altri che le foglie del nero sono simili a quelle del platano, ma minori e più nere, e fesse con più divisure; e le foglie del bianco simili a quelle della bietola, quando ella comincia; ma queste ancor più nere, e rossigne sul dosso accanalato. (XXV, 21; 1844, p. 450)
*La infermità delle [[gotta|gotte]] soleva essere più rara, non solamente ai tempi de' padri e avoli nostri, ma ancora a' presenti. Anche questa venne tra noi d'altronde. Il che perciò si prova che se anticamente fosse stata in Italia, avrebbe avuto nome latino. Non è da credere, che tale infermità non si possa guarire, perché in molti s'è veduta risanare da se stessa, e in molti per cura medica. (XXVI, 64; 1844, p. 560)
*Il [[ittero|morbo regio]] è cosa mirabile, specialmente quando vien negli occhi; che certo è gran maraviglia come fra tanta sottigliezza e densità di pannicoli si soppiati il fiele. [[Ippocrate]] insegnò che la febbre dopo il settimo giorno è segno mortale. Ma noi abbiamo veduti di quei che avean questo segno, e non son morti. Viene ancora senza febbre, e lo guarisce, come dicemmo, la centaurea maggiore in bevanda, la bettonica, non che tre oboli d'agarico in un bicchiere di vin vecchio, ovvero la foglia di verbenaca in un'emina di vin caldo per quattro giorni. (XXVI, 76; 1844, p. 570)
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