Plinio il Vecchio: differenze tra le versioni

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*Giova ancora la [[fava]], perché fritta soda, e bollente messa in aceto forte medica i tormini. Infranta in cibo, e cotta con l'aglio, si piglia ogni giorno contra le tossi disperate, e le marcie raccolte nel petto; e masticata a bocca digiuna è adoperata ancora a maturare i fìgnolì, ed a levargli via; e cotta nel vino, a torre gli enfiati dei testicoli e delle parti genitali. La farina di fava ancora, cotta con lo aceto, matura e apre gli enfiati, e medica i lividori e le incotture. (XXII, 69; 1844, p. 256)
*La infermità delle [[gotta|gotte]] soleva essere più rara, non solamente ai tempi de' padri e avoli nostri, ma ancora a' presenti. Anche questa venne tra noi d'altronde. Il che perciò si prova che se anticamente fosse stata in Italia, avrebbe avuto nome latino. Non è da credere, che tale infermità non si possa guarire, perché in molti s'è veduta risanare da se stessa, e in molti per cura medica. (XXVI, 64; 1844, p. 560)
*Il [[ittero|morbo regio]] è cosa mirabile, specialmente quando vien negli occhi; che certo è gran maraviglia come fra tanta sottigliezza e densità di pannicoli si soppiati il fiele. [[Ippocrate di Coo|Ippocrate]] insegnò che la febbre dopo il settimo giorno è segno mortale. Ma noi abbiamo veduti di quei che avean questo segno, e non son morti. Viene ancora senza febbre, e lo guarisce, come dicemmo, la centaurea maggiore in bevanda, la bettonica, non che tre oboli d'agarico in un bicchiere di vin vecchio, ovvero la foglia di verbenaca in un'emina di vin caldo per quattro giorni. (XXVI, 76; 1844, p. 570)
*Molte sorti di malattie guariscono nel primo coito, e nel primo mestruo delle donne. O se pur ciò non avviene, quei mali diventano lunghissimi, e massimamente il [[epilessia|mal caduco]]. (XXVIII; 1844, p. 676)