Plinio il Vecchio: differenze tra le versioni

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*[[cipolla|Cipolle]] salvatiche non ci sono. Le domestiche con l'odorato e con trar le lagrime rimediano i bagliori, e molto più con la unzione del sugo. Dicesi ancora ch'elle fanno venir sonno, e guariscono le fessure, o piaghe della bocca, mangiate col pane. Guariscono anco i morsi de' cani, bagnate verdi nell' aceto, o secche col melé e col vino, in modo che si sciolgano dopo il terzo giorno. Così sanano ancora le fratture. (XX, 20; 1884, p. 18)
*L'[[aglio]] ha gran forza, e grande utilità contra la mutazione dell'acque e de' luoghi. Con l'odore scaccia le serpi e gli scorpioni, e, come dicono alcuni, guarisce i morsi d'ogni bestia, beendosi, o mangiandosi, о ugnendosene; e particolarmente giova alle morici, dato col vino per vomito. (XX, 23; 1884, p. 22)
*Il cibo dello [[asparago]], secondo che si dice, è utilissimo allo stomaco, e aggiuntovi il comino caccia le infiammagioni dallo stomaco e dell'intestino colon ; e rischiara anco la vista. Gli asparagi mollificano leggermente il corpo: giovano a' dolori del petto e della schiena, e a' difetti degl'interiori, quando son cotti col vino; non che a' dolori de' lombi e delle reni, beendo il seme loro a peso di tre oboli con altrettanto comino. Dettano la lussuria, e muovono utilissimamente l'orina, ma rodono la vescica. (XX; 1884, p. 42)
*Giova ancora la [[fava]], perché fritta soda, e bollente messa in aceto forte medica i tormini. Infranta in cibo, e cotta con l'aglio, si piglia ogni giorno contra le tossi disperate, e le marcie raccolte nel petto; e masticata a bocca digiuna è adoperata ancora a maturare i fìgnolì, ed a levargli via; e cotta nel vino, a torre gli enfiati dei testicoli e delle parti genitali. La farina di fava ancora, cotta con lo aceto, matura e apre gli enfiati, e medica i lividori e le incotture. (XXII, 69; 1844, p. 256)
*La infermità delle [[gotta|gotte]] soleva essere più rara, non solamente ai tempi de' padri e avoli nostri, ma ancora a' presenti. Anche questa venne tra noi d'altronde. Il che perciò si prova che se anticamente fosse stata in Italia, avrebbe avuto nome latino. Non è da credere, che tale infermità non si possa guarire, perché in molti s'è veduta risanare da se stessa, e in molti per cura medica. (XXVI, 64; 1844, p. 560)