Giancarlo De Cataldo: differenze tra le versioni

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*Il pomeriggio del giorno seguente ritrovarono [[Aldo Moro|Moro]] a via Caetani. Qualcuno disse che lo avevano scaricato di proposito tra Botteghe oscure e piazza del Gesù. Tutti dovevano capire che era la fine dello storico compromesso tra cattolici e comunisti. Scialoja si fece largo a colpi di tesserino tra lo sgomento, la rabbia, il dolore. Nel vano della Renault rossa c'era un corpo rattrappito. Questo è un parricidio, pensò Scialoja. Hanno sparato al vecchio padre, lo hanno guardato negli occhi mentre moriva. Questo è un parricidio. Il sangue del padre ricade sempre sui figli. Quel viso smagrito, ossuto, da uccello; quella barba grigia incolta gli aveva ricordato suo padre nella cassa. (pp. 105-106)
*È la legge della domanda, compagni. Li teniamo a secco per trenta-quaranta giorni. Intanto, tagliamo non al trentacinque per cento, ma al cinquanta-sessanta per cento. Quando sono tutti, ma proprio tutti con la lingua di fuori, gli rovesciamo in strada l'intero carico. A prezzo doppio... ('''[[il Libanese]]''', p. 113)
*[[Il Libanese]] aveva un sorriso obliquo che nessuna pressione riusciva a cancellare. Era algido e tosto. In carcere aveva mandato affanculo un boss della 'ndrangheta. Aveva carisma. Un capo nato. L'idea del sequestro non poteva che essere stata sua. Fierolocchio e i Buffoni lo guardavano come i bambini al catechismo guardano il Sacro Cuore di Gesù. Era lui che li teneva uniti, il cemento. Il Libanese era una pista morta, investigativamente parlando. Troppo duro. [[Il Freddo]] parlava il minimo indispensabile. Non insultava. Non rivelava niente di sé. Non capivi mai cosa stesse realmente pensando. Come certi bambini che hanno sofferto troppo e non hanno mai sviluppato la capacità di esprimerla, questa grande sofferenza. Lui e il Libanese si trattavano da pari. Come se ciascuno dei due cercasse nell'altro quelle qualità che gli mancavano per divenire perfetto. (pp. 126-127)
*[[Bufalo (personaggio)|Il Bufalo]], grande e grosso, giocava a fare il matto scocciato tra silenzi e scoppi di collera. Ma fesso non lo era: lo rivelavano certi improvvisi squarci di greve cameratismo che usava per soccorrere i più deboli Buffoni, o la benevola considerazione che lo stesso Libanese elargiva. Come si fa con i ragazzi dotati che però corrono ogni istante il rischio di scivolare in qualche abisso senza via d'uscita. Il Bufalo era uno da tenere d'occhio. Pericoloso, infido. (p. 127)
*[[Il Dandi]] era il più arrogante di tutti. Di un'arroganza sottile: studiata e consapevole, ma allo stesso tempo istintiva. Sempre perfettamente rasato, con abiti di buon taglio, rispettoso con il sostituto. Tagliente solo all'occorrenza: ma se gliene davi l'occasione, lingua lunga e battuta pronta. Faceva sforzi inauditi per comportarsi da signore. [...] Dandi non possedeva l'intelligenza acuta del Libanese, l'imprevidibilità del Bufalo e nemmeno la forza che spirava dai silenzi del Freddo. Ma era come se, a furia di stare con gli altri, un pizzico di ciascuna di queste qualità gli fosse rimasta appiccicata alla pelle. Se il Libanese era nato capo, Dandi era l'allievo che presto avrebbe superato il maestro. (p. 127)
*I finocchi sono fragili banderuole in preda alla passione. Tutti i finocchi prima o poi finiscono per commettere un errore più o meno irreparabile. (p. 141)
*La Patria è minacciata dalla teppaglia rossa. Le zanne scarlatte dei bolscevichi sono pronte a spolparsi la Nazione. La Democrazia cristiana inciucia coi cosacchi, che scalpitano per abbeverarsi in piazza San Pietro: si vede che la lezione di [[Aldo Moro|Moro]] non gli è bastata. (p. 149)