Maurizio Ferraris: differenze tra le versioni

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==''Manifesto del nuovo realismo''==
*Il [[postmodernismo]] ha trovato una piena realizzazione politica e sociale. Gli ultimi anni hanno infatti insegnato una amara verità - e cioè che il primato delle interpretazioni sopra i fatti, il superamento del mito della oggettività si è compiuto, ma non ha avuto gli esiti emancipativi profetizzati dai professori. [...] Il mondo vero certo è diventato una favola, anzi [...] è diventato un ''[[reality]]'', ma l'esito è stato il [[populismo]] mediatico, un sistema nel quale (purché se ne abbia il potere) si può pretendere di far credere qualsiasi cosa. Nei telegiornali e nei [[talk show]] si è assistito al regno del "''Non ci sono fatti, solo interpretazioni''", che - con quello che purtroppo è un fatto non una interpretazione - ha mostrato il suo significato autentico: "''La ragione del più forte è sempre la migliore''". (pp. 5-6)
*L'ambito in cui lo [[scetticismo]] e l'addio alla verità hanno mostrato il loro volto più aggressivo è stata la politica. Qui la deoggettivizzazione post-moderna è stata, esemplarmente, la filosofia della amministrazione Bush, che ha teorizzato che la realtà fosse semplicemente la credenza di "comunità basate sulla realtà", cioè di sprovveduti che non sanno come va il mondo. Di questa prassi abbiamo trovato la più concisa enunciazione nella risposta di un consulente di [[George W. Bush|Bush]] al giornalista [[Ron Suskind]]: "''Noi siamo ormai un impero, e quando agiamo creiamo una nostra realtà. Una realtà che voi osservatori studiate, e sulla quale poi ne creiamo altre che voi studierete ancora''". Una arrogate assurdità, certo: ma otto anni prima il filosofo e sociologo [[Jean Baudrillard]] aveva sostenuto che la [[Guerra del Golfo]] altro non era che finzione televisiva.<ref>Ferraris cita da: R. Susskind, ''[http://www.nytimes.com/2004/10/17/magazine/17BUSH.html?_r=2& Faith, certainity and the presidency of George W. Bush]'', "New York Times magazine", 17 ottobre 2004.</ref> (p. 23)
*Invece di riconoscere il reale e immaginare un altro mondo da realizzare al posto del primo, [il postmodernismo] pone il reale come favola e assume che questa sia l'unica liberazione possibile: sicché non c'è niente da realizzare, e dopotutto non c'è nemmeno niente da immaginare: si tratta al contrario, di credere che la realtà sia come un sogno che non può fare male e che appaga. (p. 24)