Maurizio Ferraris: differenze tra le versioni

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*''[[Ontologia]]'' significa semplicemente: il mondo ha le sue leggi, e le fa rispettare. L'errore dei [[postmodernismo|postmoderni]] poggiava su una semplice confusione tra ontologia ed [[epistemologia]], tra quello che c'è e quello che sappiamo a proposito di quello che c'è. È chiaro che per sapere che l'acqua è H2O ho bisogno di linguaggio, di schemi e di categorie. Ma l'acqua bagna e il fuoco scotta sia che io lo sappia sia che io non lo sappia, indipendentemente da linguaggi e da categorie. A un certo punto c'è qualcosa che ci resiste. È quello che chiamo "inemendabilità", il carattere saliente del [[realtà|reale]]. Che può essere certo una limitazione ma che, al tempo stesso, ci fornisce proprio quel punto d'appoggio che permette di distinguere il sogno dalla realtà e la scienza dalla magia.
*L'[[uomo|umanità]] deve salvarsi, e certo mai e poi mai potrà farlo un Dio. Occorrono il sapere, la verità e la realtà. Non accettarli, come hanno fatto il postmoderno filosofico e il populismo politico, significa seguire l'alternativa, sempre possibile, che propone [[I_fratelli_Karamàzov#Il_Grande_Inquisitore|il Grande Inquisitore]]: seguire la via del miracolo, del mistero e dell'autorità.
 
Da: ''Manifesto del nuovo realismo'', Laterza, Bari 2012.
 
* "Il [[realismo]] è la premessa della critica, mentre all'[[irrealismo]] è connaturata l'acquiescenza, la favola che si racconta ai bambini perché prendano sonno" (p. 30).
 
* "Nel costruzionista osserviamo (...) una strategia (...) che esalta la funzione del professore nella costruzione della realtà: il suo testo fondamentale è ''Le parole e le cose'' di [[Michel Foucault|Foucault]], dove si legge che l'uomo è costruito dalle scienze umane, e che potrebbe scomparire con loro" (pp. 43-44)
 
* "Ben lungi dall'essere fluida, la modernità è l'epoca in cui le parole sono pietre, e in cui si attua l'incubo del ''verba manent''". (p. 78).
 
* "Esattamente come in "non ci sono fatti, solo interpretazioni", si può sempre ritorcere contro il [[pensiero debole]] l'argomento per cui, se l'esplicitazione del nesso tra violenza e verità è una verità, allora il pensiero debole si rende responsabile di quella stessa violenza che condanna" (p. 91).
 
* "Le obiezioni che il pensiero debole muove alla verità come violenza sono, anche a un esame superficiale, obiezioni alla violenza, non alla verità, e dunque si fondano su un equivoco. Omettere queste circostanze ci porta a situazioni senza vie d'uscita: il potere ha sempre ragione; o, inversamente, il contropotere ha sempre torto; e addirittura, in forma piuttosto perversa, il contropotere e controsapere - fosse pure quello di un mafioso o di una fattucchiera - ha sempre ragione" (p. 91).
 
* "Nel suo manifestarsi ''prima facie'', quella della verità come puro potere è una affermazione molto rassegnata, quasi disperata: "la ragione del più forte è sempre la migliore" (..) Giacché, diversamente da quanto ritengono molti postmoderni, ci sono fondati motivi per credere, anzitutto in base agli insegnamenti della storia, che realtà e verità siano sempre state la tutela dei deboli contro le prepotenze dei forti. Se viceversa un filosofo dice che "La cosiddetta 'verità' è una questione di potere", perché fa il filosofo invece che il mago?" (p. 96)
 
* "Da qui l'''impasse'': se il sapere è potere, l'istanza che deve produrre emancipazione, cioè il sapere, è al tempo stesso l'istanza che produce subordinazione e dominio. Ed è per questo che, con un ennesimo salto mortale, l'emancipazione radicale si può avere solo nel non-sapere, nel ritorno al mito e alla favole. L'emancipazione, così, gira a vuoto,. Per amore della verità e della realtà, si rinuncia alla verità e alla realtà, ecco il senso della "crisi dei grandi racconti" di legittimazione del sapere" (p. 101).<ref>Michel Foucault ha scritto: "''L'esercizio del potere crea perpetuamente sapere e viceversa il sapere porta con sé effetti di potere''", ''L'ordine del discorso'' (1971), Einaudi, Torino 1972, p. 133. Citato da Ferraris a p. 108]. </ref>
 
* "Vivere nella certezza, per quello che abbiamo detto sin qui, non è vivere nella verità. E proprio in nome della verità dovremo osservare che la promessa di certezza (...) dà pace. Ma è anche vero che la pace, come diceva Kafka, è ciò che si augura alle ceneri". (p. 106).
 
* "Sbagliando si impara, o altri imparano. Dire addio alla verità è non solo un dono senza controdono che si fa al "Potere", ma soprattutto la revoca della sola ''chance'' di emancipazione che sia data all'umanità, il realismo, contro l'illusione e il sortilegio" (p. 112).
 
==Note==