I fratelli Karamazov: differenze tra le versioni

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==[[Incipit]]==
===Nadia Cicognini e Paola Cotta===
Alekséj Fëdorovič Karamàzov era il terzo figlio di un possidente del nostro distretto, Fëdor Pàvlovic Karamàzov, assai noto ai suoi tempi (e ancor oggi da noi indimenticato) per una fine tragica e oscura verificatasi proprio tredici anni fa e di cui riferirò a tempo debito. Per ora, invece, di questo proprietario (come da noi lo si chiamava, benché per tutta la vita non avesse quasi mai vissuto nella sua proprietà) dirò che era un tipo strano, come se ne incontrano alquanto spesso: non solo il tipo d'uomo abietto e dissoluto, ma anche dissennato; di quei dissennati, però, che sanno sbrigar­sela brillantemente nei loro affarucci, ma a quanto sembra soltanto in questi. Fëdor Pàvlovic, per esempio, aveva cominciato quasi dal nulla; era un piccolissimo possidente che correva a pranzare alle tavole altrui, si arrangiava da parassita, s­eppure, al momento della fine, risultò che aveva ben centomila rubli in denaro contante. Per tutta la sua vita era stato uno degli individui più balzani dell'intero distretto. E ribadisco: qui non si tratta di stupidità – la gran parte di questi balordi è piuttosto intelligente e scaltra – ma proprio di dissennatezza si tratta, e per di più di una dissennatez­za particolare, nazionale.
 
{{NDR|Fëdor Dostoevskij, ''I fratelli Karamazov'', traduzione di Nadia Cicognini e Paola Cotta, Mondadori, 1994.}}
 
===Pina Maiani e Laura Satta Boschian===
Aleksèj Fëdorovič Karamazov era il terzo figlio di un possidente del nostro distretto, Fëdor Pàvlovič Karamazov, molto noto ai suoi tempi (da noi del resto, se lo ricordano ancora oggi) per la sua fine tragica e oscura, avvenuta giusto tredici anni fa e della quale parlerò al momento opportuno. Per ora, invece, di questo «possidente», come lo chiamavano da noi (benché in tutta la sua vita non fosse vissuto quasi mai nella sua proprietà), dirò soltanto che era un tipo strano, come se ne incontrano abbastanza spesso, e precisamente il tipo dell'uomo non solo abietto e dissoluto, ma anche insensato; di quegli insensati, però, che si sanno arrangiare benissimo nei loro affarucci, e a quanto pare soltanto in questi. Fëdor Pàvlovič, per esempio, aveva cominciato quasi dal nulla: era un proprietario modestissimo, correva da una casa all'altra per mangiare alla tavola altrui, spiava ogni occasione per fare il parassita<ref>''Parassita'' (in russo, m. ''prižvalka'', f. ''prižvàlkina''), figura tipica della vita russa all'epoca della servitù della gleba, e conservatasi anche dopo l'emancipazione. Si trattava di persone che vivevano per anni e talvolta per tutta la vita nelle case dei ricchi proprietari, senza una ragione giustificata o almeno evidente.</ref>, ma intanto, al momento della sua morte, si trovò che aveva circa centomila rubli in denaro sonante. Eppure era stato sempre una delle teste più pazze di tutto il distretto. Lo ripeto: qui non si tratta di stupidità (la maggioranza di questi pazzi è abbastanza intelligente e furba), ma proprio di insensatezza, anzi, di una certa insensatezza speciale, nazionale.<br>
{{NDR|Fëdor M. Dostoevskij, ''I fratelli Karamazov'', traduzione di Pina Maiani e Laura Satta Boschian, BUR, 1998}}
 
==Citazioni==
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*È forse possibile? Saranno poi davvero vendicate? Ma che importa vendicarle, che importa l'inferno per i carnefici, a che cosa può rimediare l'inferno quando i bambini sono già stati sviziati? E che armonia vi è mai, se c'è l'inferno? (Ivàn: cap. IV, 1994, p. 341)
*E se le sofferenze dei bambini saranno servite a completare quella somma di sofferenze che era necessaria a riscattare la verità, io dichiaro subito che tutta la verità non vale un simile prezzo. Non voglio, infine, che la madre abbracci il carnefice che ha fatto dilaniare suo figlio dai cani! Non deve perdonarlo! Se vuole, che lo perdoni per sé, che lo perdoni per il suo infinito dolore di madre; ma le sofferenze del suo bimbo straziato lei non ha il diritto di perdonargliele [...]. Ma se è così, se non si dovrà perdonare, che ne è dell'armonia? [...] Non voglio l'armonia, è per amore dell'umanità che non la voglio. (Ivàn: cap. IV, 1994, p. 341)
*"Immagina di essereesserec tu a edificare il destino umano con lo scopo di rendere felici gli uomini, di concedere loro, alla fine, pace e serenità, e che per fare questo sia necessario e inevitabile fare soffrire anche una sola creaturina, quella bimba, per esempio, che si batteva il petto con il piccolo pugno, e sulle sue lacrime invendicate erigere quell'edificio. Ebbene acconsentiresti a esserne l'artefice a queste condizioni? Dimmelo e non mentire!"<br />"No, non acconsentirei" disse piano Alëša.<br />"E potresti ammettere l'idea che gli uomini per i quali tu lo costruisci acconsentano dal canto loro ad accettare una felicità fondata sul sangue innocente di un piccolo martire, e una volta accettata, a essere felici in eterno?"<br />"No, non potrei ammetterlo. Fratello" disse Alëša. (cap. IV, 1994, p. 342)
 
====''Il Grande Inquisitore''====
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*Fëdor Dostoevskij, ''I fratelli Karamazov'', traduzione di Agostino Villa, Einaudi, Torino, 1993. ISBN 88-06-13251-2
*Fëdor Dostoevskij, ''I fratelli Karamazov'', traduzione di Nadia Cicognini e Paola Cotta, Mondadori, Milano, 1994. ISBN 8804527234
*Fëdor M. Dostoevskij, ''I fratelli Karamazov'', traduzione di Pina Maiani e Laura Satta Boschian, BUR, 1998. ISBN 8817006939
*Fëdor Dostoevskij, ''I fratelli Karamazov'', traduzione di Matteo Grati, Baldini Castoldi Dalai, Milano, 2011. ISBN 88-66-20123-5; ISBN 978-88-662-0123-6; ISBN 978-88-607-3937-7