Elio Vittorini: differenze tra le versioni

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*{{NDR|Riferendosi a [[Scicli]]}} Rosario continuava: «È la più bella città che abbiamo mai vista. Più di Piazza Armerina. Più di Caltagirone. Più di Ragusa, e più di Nicosia, e più di Enna... Forse è la più bella di tutte le città del mondo. E la gente è contenta nelle città che sono belle...».<ref>Elio Vittorini, ''Le Città del Mondo'', Mondadori, Milano 1991, p. 22.</ref>
*Se avessi avuto i mezzi per viaggiare sempre credo che non avrei scritto un rigo. (da ''Gli anni del Politecnico'', Einaudi)
* Verso [[Sassari]], la sera corre innanzi, più svelta di noi. L'ultimo sole cade in foglie morte dalle cime degli alberi, poiché siamo in terreno di alberi, in pieno uliveto. Ulivi e aranci, fitti oltre i muri bianchi della strada, nella crescente oscurità ... Noi nel buio dell'uliveto e Sassari attorno a noi, d'ogni lato, coi suoi popoli di lumi. Entriamo da una parte, tra case e arbusti, ma non è ancora la vera città: che sembra giri dall'altra parte. Ora c'è una valle nera fra noi e il maggior numero di lumi. E più avanziamo più quella valle si allarga, più quei lumi si allontanano. Ho paura si sia finiti in quale altro paese, dirimpetto alla Sassari vera, e chiedo al primo che passa se qui è proprio Sassari. Quello mi risponde come se gli avessi chiesto se il sole è veramente sole: "È SASSARI". (da
== ''Sardegna come un'infanzia'' ==)
 
==''Conversazione in Sicilia''==
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*Era un siciliano, grande, un lombardo o normanno forse di Nicosia, tipo anche lui carrettiere come quelli delle voci sul corridoio, ma autentico, aperto, e alto, e con gli occhi azzurri.
*Poi il Gran Lombardo raccontò di sé, veniva da Messina dove si era fatto visitare da uno specialista per una sua speciale malattia dei reni, e tornava a casa, a Leonforte, era di Leonforte, su nel Val Demone tra Enna e Nicosia, era un padrone di terre con tre belle figlie femmine, così disse, tre belle figlie femmine, e aveva un cavallo sul quale andava per le sue terre, e allora credeva, tanto quel cavallo era alto e fiero, allora credeva di essere un re, ma non gli pareva che tutto fosse lì, credersi un re quando montava a cavallo, e avrebbe voluto acquistare un'altra cognizione, così disse, acquistare un'altra cognizione, e sentirsi diverso, con qualcosa di nuovo nell'anima, avrebbe dato tutto quello che possedeva, e il cavallo anche, le terre, pur di sentirsi più in pace con gli uomini come uno, così disse, come uno che non ha nulla da rimproverarsi. <br /> – Non perché io abbia qualcosa di particolare da rimproverarmi, disse. – Nient'affatto. E nemmeno parlo in senso di sacrestia... Ma non mi sembra di essere in pace con gli uomini. <br /> Avrebbe voluto avere una coscienza fresca, così disse, fresca, e che gli chiedesse di compiere altri doveri, non i soliti, altri, dei nuovi doveri, e più alti, verso gli uomini, perché a compiere i soliti non c'era soddisfazione e si restava come se non si fosse fatto nulla, scontenti di sé, delusi.
* Ci sono molti altri posti [[Lombardi di Sicilia|lombardi]], io dissi. C'è Sperlinga, c'è Troina... Tutti i posti del Val Demone sono posti lombardi. <ref>Elio Vittorini, ''Conversazione in Sicilia'', Rizzoli, Milano 1988, p. 210. </ref>
 
==''Il garofano rosso''==
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Mi mostrò il fazzoletto. Io lo vidi macchiato di sangue non recente. <br />«Che significa?» gli chiesi. <br />E tarquinio, come cambiando idea: «Oh nulla! Volevo solo buttarlo via!» <br />Legò dentro al fazzoletto una pietra e lasciò cadere la miscola cosa rossa nell'acqua. Allora io credetti di capire e mi portai una mano alla bocca. Ma Tarquinio mi condusse via sottobraccio. «Andiamo!» diceva. «Non devi dispiacerti se sono così con Giovanna. Dopotutto tu l'avevi solo baciata. Non hai avuto quell'altra, tu? Forse non è vero che non t'importi nulla di quell'altra.»
 
==[[Incipit]] di ''Uominialcune e no''opere==
===''Piccola borghesia===
Sette anni: come mai non andavo ancora a scuola? Nonno e zii, per amore di tenermi con loro, avevano persuaso mio padre, sembra, a farmi studiare «privatamente».<br>
{{NDR|citato in [[Fruttero & Lucentini]], ''Íncipit'', Mondadori, 1993}}
 
===''Uomini e no''===
I. L'[[inverno]] del '44 è stato a [[Milano]] il più mite che si sia avuto da un quarto di secolo; [[nebbia]] quasi mai, [[neve]] mai, [[pioggia]] non più da [[novembre]], e non una nuvola per mesi; tutto il [[giorno]] il [[sole]]. Spuntava il giorno e spuntava il sole; cadeva il giorno e se ne andava il sole. Il [[Libro|libraio]] ambulante di Porta [[Venezia]] diceva: «Questo è l'inverno più mite che abbiamo avuto da un quarto di secolo. È dal 1908 che non avevamo un inverno così mite.»
 
== ''Sardegna come un'infanzia'' ==
===Citazioni===
* Verso [[Sassari]], la sera corre innanzi, più svelta di noi. L'ultimo sole cade in foglie morte dalle cime degli alberi, poiché siamo in terreno di alberi, in pieno uliveto. Ulivi e aranci, fitti oltre i muri bianchi della strada, nella crescente oscurità ... Noi nel buio dell'uliveto e Sassari attorno a noi, d'ogni lato, coi suoi popoli di lumi. Entriamo da una parte, tra case e arbusti, ma non è ancora la vera città: che sembra giri dall'altra parte. Ora c'è una valle nera fra noi e il maggior numero di lumi. E più avanziamo più quella valle si allarga, più quei lumi si allontanano. Ho paura si sia finiti in quale altro paese, dirimpetto alla Sassari vera, e chiedo al primo che passa se qui è proprio Sassari. Quello mi risponde come se gli avessi chiesto se il sole è veramente sole: "È SASSARI".
 
==Note==