Igor Sibaldi: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
m →‎Citazioni di Igor Sibaldi: già in bilbiografia
m wlink
Riga 4:
*''[[Della vita|Sulla vita]]'' [...] è un testo difficile, lento – e non soltanto per la complessità dell'argomento, ma proprio per la qualità, la tormentata qualità della sua prosa. Ampie parti di esso appaiono come territori paludosi, in cui si fatica a procedere, ci si impantana, e in cui càpita al lettore di vedersi scomparire del tutto la strada di sotto i piedi, per poi vederla riemergere soltanto qualche pagina dopo: con la spiacevole sensazione che ciò che riemerge sia un tratto già percorso, o magari che il tratto principale sia rimasto indietro chissà dove. Si va lenti, si aggrottano le sopracciglia, ci si ferma per fare il punto e si prosegue perplessi. Si stenta a credere che per un anno intero un Tolstòj entusiasta e nel pieno delle sue energie intellettuali, abbia lavorato intensamente ed esclusivamente a queste pagine, e vien quasi voglia di giustificare il tetro arcivescovo [[Nikanor|Nikanòr]] [...]. È vero, di sofismi ce n'è eccome – anche se non quelli che molto probabilmente intendeva Nikanòr, il quale, da buon prete, doveva ritener sofistici tutti i riferimenti al Vangelo non fondati sull'interpretazione consueta, dogmatica, di esso. (da ''Introduzione'', in ''Della vita'', Oscar saggi Mondadori, Milano, 1991, pp. 11-12. ISBN 88-04-34731-7)
*Vai avanti, entri nel tuo aldilà personale, e cominci ad accorgerti che puoi superare delle soglie che prima neanche vedevi, e fare passi da gigante: dipende solo da te, dal tuo coraggio interiore. Come trovare questo coraggio? Se ti accorgi che c’è una lotta tra te e l’Autòs e che ci vuole solo il coraggio per battere l’Autòs, impari anche come si fa a fare il coraggio. A quel punto puoi voltarti a vedere se qualcuno ti segue, ma non fermarti a spiegare agli altri, perche via via che sali ti accorgi che non è nemmeno una gran salita. È che gli altri, i molti – in mezzo ai quali c’eri anche tu fino a poco fa – stanno precipitando, e che parlare con loro è come parlare con un sasso che precipita nel vuoto. Per poter stare a portata di voce dovresti precipitare anche tu con loro, e non è tua intenzione. O no? (da ''Il tuo aldilà personale'', p. 9)
*Purtroppo anche nella «selva» della nostra civiltà è in corso una grave nevrosi di massa. A determinarla, da circa sessanta anni, è un sistema di condizionamenti molto potente, capillare, mai visto nella storia dell’Occidente. Neanche i fascisti e i nazisti erano così bravi a plagiare; e questo perché, dopo la guerra, i loro metodi di massificazione sono stati ripresi e perfezionati dagli apparati che dominano la nostra tarda società industriale. È la società della cultura di massa, scambiata malamente per democrazia. Sarebbe una società bellissima, perché ha un livello di benessere mai raggiunto prima. Oggi mancherebbe poco, a che la gente si accorga che può [[lavoro|lavorare]] di meno e vivere di più. Lavorare quattro ore al giorno, così da avere quanto basta per sopperire alle vere necessità, e nelle altre venti ore pensare, capire, scoprire, godere, sperimentare, creare. (da ''Il tuo aldilà personale'', p. 18)
 
==''Introduzione'' a ''[[I fratelli Karamàzov]]''==
*Questo è l'avvio della [[tragedia]], la più illustre tra le tragedie russe, cupa e feroce come le prime sillabe del cognome turcheggiante dei suoi protagonisti: ''kara'', che nelle lingue turco-tatare significa appunto "nero", e che in russo vuol dire "punizione". (p. V)
*Il lettore [...] avverte, nel procedere della lettura, la pressione particolarissima dell'elemento tragico: quella strana, vitrea dimensione cilindrica che si stringe, si stringe tutta da soffocare, e quanto più si stringe tanto più obbliga a guardare verso l'alto, dove il cilindro è irragiungibilmente aperto. (p. V)
*''I fratelli Karamàzov'' rientra appieno nella legge di questa nostalgia tragica dell'iniziazione [...]. E gi altri suoi motivi fondamentali – la Necessità, lo stringersi via via di ciascun destino, la paura, gli incubi, l'omicidio, le prove-"tribolazioni", la reclusione, la prossimità con gli Altri Mondi, le illuminazioni e, continuamente intercalate tra questi, le istillazioni meticolose di sapienza e di dottrina – si compongono intorno al lettore che vi si addentra in una struttura indubbiamente ''rituale''. (p. VII)
Riga 25:
*Non è nemmeno un romanzo, d'altronde. Oh, certamente lo è a vederlo da fuori, la superficie è romanzesca e il nome romanzo gli sta benissimo. Ma visto da dentro, da quella profondità e intensità in cui il lettore viene a trovarsi leggendo, questo romanzo non è un romanzo, è un sistema composito, e strano, pieno di "insospettabili ripostigli, bugigattoli svariati e insospettate scale" proprio come la casa in cui [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]] lo ambientò.
*''Non occorre più'', qui, che il lettore intuisca: deve stare a sentire, e riuscire a reggere, questo è il suo compito. (p. XVIII)
*Quel mondo era ed è bensì sgombro di per sé, dinanzi ai due giovani ingenui sopravvissuti Alëša e Dmítrij, illuminato da sempre da una luce limpida e impietosa, alla quale si può socchiudere gli occhi, per cominciare a vivervi, soltanto sotto il segno pesantissimo della ''[[colpa]]'': e non la colpa giovanile del desiderio di parricidio [...]. Bensì una colpa infinita [...] la colpa universale di cui parlano Dmítrij rinato e Alëša alla fine: una volontà di soffrire e pagare "per tutto gli uomini", per sempre, verso una meta invisibile e sconosciuta. (pp. XLI-XLII)
 
==''Introduzione'' a [[Lev Tolstoj]]==