Aldo Capitini: differenze tra le versioni

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==''Religione aperta''==
*Quando [[incontro]] una persona, e anche un semplice animale, non posso ammettere che poi quell'essere vivente se ne vada nel nulla, muoia e si spenga, prima o poi, come una fiamma. Mi vengono a dire che la [[realtà]] è fatta così, ma io non l'accetto. E se guardo meglio, trovo anche altre ragioni per non accettare la realtà così com'è ora, perché non posso approvare che la bestia più grande divori la bestia più piccola, che dappertutto la forza, la potenza, la prepotenza prevalgano: una realtà così fatta non merita di durare. È una realtà provvisoria, insufficiente, ed io mi apro ad una sua trasformazione profonda, ad una sua liberazione dal male nelle forme del peccato, del dolore, della morte. Questa è l'apertura religiosa fondamentale, e così alle persone, agli esseri che incontro, resto unito intimamente per sempre qualunque cosa loro accada, in una compresenza intima, di cui fanno parte anche i morti; i quali non sono né finiti né stanno a fare cose diverse da noi, ma sono uniti a noi, cooperanti, a fare il bene, i valori che facciamo, e che nessuno può vantarsi di fare da sé. Cosi anche chi è, per ora, sfinito, pallido, infermo, e pare che non faccia nulla di importante; anche chi è sfortunato, pazzo (per ora), è una presenza e un aiuto unito a tutti. <ref>In!--in ''Scritti filosofici e religiosi'', a cura di Mario Martini, Fondazione centro studi Aldo Capitini, Perugia, 1998, pp. 465-466.</ref-->
*La [[nonviolenza]] non è cosa negativa, come parrebbe dal nome, ma è attenzione e affetto per ogni singolo essere proprio nel suo esser lui e non un altro, per la sua esistenza, libertà, sviluppo. La nonviolenza non può accettare la realtà come si realizza ora, attraverso potenza e violenza e distruzione dei singoli, e perciò non è per la conservazione, ma per la trasformazione; ed è attivissima, interviene in mille modi, facendo come le bestie piccole che si moltiplicano in tanti e tanti figli. Nella società la nonviolenza suscita solidarietà viva e dal basso. Anche verso gli esseri non umani la nonviolenza ha un grande valore, appunto come ampliamento di amore e di collaborazione. <!--1955, p. 546; in ''Le ragioni della nonviolenza'' [dalla stessa raccolta sono tratte le citazioni seguenti], p. 73-->
*E qui si capisce uno dei caratteri essenziali della nonviolenza bene intesa: essa non è mai perfetta e non finisce mai, appunto perché è una cosa dell'anima; è un valore, è come la musica, la poesia, e si può sempre fare nuova musica, nuova poesia; e la vecchia musica, la vecchia poesia, possono essere vissute più profondamente.
*E poi la nonviolenza, quando è professata sul serio ed eventualmente con sacrificio, è un valore, che può essere riconosciuto anche da chi non la pratica, come uno stima chi fa poesia, anche se si occupa d'altro. Se è un valore, fa bene intimamente a tutti, influisce su tutti.
*La vera nonviolenza non accetta nemmeno le violenze passate, e perciò non approva l'umanità, la società, la realtà, come sono ora. Non accetta la realtà dove l'animale grande mangia l'animale piccolo; e perciò cerca di stabilire unità amore anche verso gli animali, appunto per iniziare il bene; non accetta che i viventi prendano il posto dei morti; non accetta la fortuna dei forti e dei potenti, e perciò tende a soccorrere i deboli, gli stroncati; non accetta il potere e la ricchezza privata, e perciò tende a costituire forme di federalismo nonviolento dal basso e forme di aiuto e reciprocità sociale e fruizione comune di beni sempre più larghe. Essa ha come guida instancabile la presenza di tutti, e il principio che ogni singolo essere è insostituibile.
*Una volta c'è stato un [[pacifismo]] molto blando, tanto è vero che davanti alla [[prima guerra mondiale]] e alla [[Seconda guerra mondiale|seconda]] vacillò. Esso credeva di arrivare alla pace molto facilmente attraverso la cultura, la scienza, l'interesse al benessere, il cosmopolitismo delle classi dirigenti. Si è visto poi che non bastavano, e si capisce perché. Non era stato affrontato il lato religioso del rifiuto della violenza, che cioè la violenza si rifiuta in nome dell'amore (e non dello star bene), di una realtà liberata dagli attuali limiti (e non in nome della continuazione di una realtà insufficiente), e con una disposizione al sacrificio, ad essere come il seme del Vangelo<ref>Cfr. [[Gesù]]: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto».</ref> che muore per far sorgere la nuova pianta. Il vecchio pacifismo era ottimista, il nuovo è drammatico e di fede nella liberazione dell'uomo-società-realtà dagli attuali limiti.