E. M. Forster: differenze tra le versioni

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*Se dovessi scegliere tra il tradire il mio paese e tradire il mio amico, spero di avere il fegato di tradire il mio paese. (da ''What I Believe'', in ''Two Cheers for Democracy'')
*Voglio amare un giovane forte del basso ceto e essere amato da lui e persino ferito da lui. Ecco per che cosa ero nato, e pensare che ho voluto scriver romanzi rispettabili... (dall'agenda personale, 1935)
 
==''Monteriano''==
*Ma adesso è veramente una Vita Nuova, perché noi siamo tutti d'accordo. Allora tu eri ancora infatuato dell'Italia. Può essere piena di bellissimi quadri e di chiese, ma non possiamo giudicare un paese che dai suoi uomini. (signora Herriton, cap. V, p. 91)
*Le donne non si sentono mai a loro agio fino a che non proclamano ad alta voce i loro torti. (Philip, cap. V, p. 97)
*«[...] La società ''è'' insormontabile... fino a un certo punto. Ma la sua vera vita le appartiene, e niente la può toccare. Non c'è potenza al mondo che possa impedirle di criticare e disoprezzare la mediocrità... niente che possa impedirle di ritirarsi nello splendore e nella bellezza... nei pensieri e nelle convinzioni che costituiscono la vita reale... il suo vero io.» <br>«Finora non ho mai fatto questa esperienza. Certamente, il mio io e la mia vita devono essere dove io vivo.» (Philip e Catherine, cap. V, p. 98)
*La signorina Abbott aveva avuto anche lei una serata meravigliosa, né ricordava d'aver mai visto simili stelle e un tale cielo. La sua testa, anch'essa, era piena di musica, e quella notte, quando aprì la finestra, la sua camera si riempì di aria calda e dolce. Era immersa nella bellezza, di dentro e di fuori; non poteva andare a letto per la felicità. Era mai stata così felice? Sì, una volta; e proprio qui, una sera in marzo, la sera in cui Gino e Lilia le avevano parlato del loro amore... la sera i cui mali era venuta adesso a riparare. <br>Emise un improvviso grido di vergogna. «Quest'ora... lo stesso posto... la stessa cosa,» — e incominciò a mortificare la sua felicità, sapendo che era colpevole. Era qui per combattere contro questo luogo, per portare in salvo una piccola anima che era ancora innocente. Era qui per difendere la moralità e la purezza, la santità della vita di una famiglia inglese. Quella primavera, aveva peccato per ignoranza; adesso non era più ignorante. «Signore, aiutatemi!» gridò, e chiuse la finestra come se ci fosse della magia nell'aria che la circondava. Ma le melodie non le uscivano dalla testa, e per tutta la notte fu turbata da torrenti di musica, da applausi e da risate, e da giovanotti arrabbiati che urlavano il distico del Baedeker: <br><center>Poggibonizzi, fatti in là, <br>che Monteriano si fa città!</center><br>Poggibonsi le si rivelò mentre quelli cantavano — un luogo sperduto e senza gioia, pieno di gente insincera. Quando si destò riconobbe che quel luogo era Sawston. (cap. VI, p. 153)
*Lei tacque. Quest'individuo crudele, pieno di vizi, conosceva strane raffinatezze. L'orribile verità, che persone cattive siano capaci d'amore, era lì nuda davanti a lei, e il suo essere morale ne rimase confuso. Era suo dovere portare in salvo il bambino, salvarlo dalla contaminazione, e lei aveva intenzione di fare il suo dovere. Ma il confortevole senso della virtù l'abbandonò. Si trovava in presenza di qualcosa di più grande del bene e del male. (cap. VII, p. 168)
*«Niente affatto. Combatta come se pensasse che noi abbiamo torto. Oh, a che serve tutto il suo equilibrio di giudizio se non decide mai con la sua testa? Chiunque l'afferra e le fa fare quello che vuole. E lei vede dentro di loro e ne ride... ma lo fa. Non basta avere le idee chiare; io ho la testa confusa e stupida, e non valgo la quarta parte di lei, ma ho cercato di fare quello che al momento mi è sembrato giusto. E lei... il suo cervello e il suo intuito sono splendidi. Ma quando vede quello che è giusto, è troppo indolente per farlo. Una volta mi disse che saremo giudicati per le nostre intenzioni, non per quello che abbiamo effettivamente fatto. Mi è sembrata un'osservazione splendida. Ma dobbiamo avere l'intenzione di fare... non starcene seduti su una sedia con le nostre intenzioni.» <br>«Lei è meravigliosa!» egli disse gravemente. <br>«Oh, lei mi apprezza!» lei proruppe di nuovo. «Vorrei che non m'apprezzasse. Lei ci apprezza tutti... vede il bene in tutti noi. E intanto lei è sempre morto... morto... morto. Ora, per esempio, perché non s'è arrabbiato? Gli si avvicinò, con un improvviso cambiamento d'umore, gli afferrò tutte e due le mani. Lei è tanto straordinario, signor Herriton, che non posso sopportare di vederla sprecarsi. Non posso sopportarlo... sua madre... non è stata buona con lei.» <br>«Signorina Abbott, non si preoccupi per me. Alcuni sono nati per non fare nulla. Io sono uno di questi; non ho mai concluso niente, né a scuola né nella professione. Venni qui per impedire il matrimonio di Lilia, ed era troppo tardi. Sono venuto qui con l'intenzione di ottenere il bambino, e ne riporterò un onorevole insuccesso. Adesso non mi aspetto mai che succeda qualcosa, e così non sono mai deluso. Lei si meraviglierebbe di sapere quali sono per mei grandi avvenimenti. Essere andato a teatro ieri, parlare con lei ora... non credo che mi capiterà mai niente di più grande. Il mio destino è di passare nel mondo senza mai scontrarmi con esso o smuoverlo... e veramente non so dire se il mio destino sia buono o cattivo. Io non muoio... io non m'innamoro. E se altri muoiono o s'innamorano, lo fanno sempre proprio quando io non ci sono. Ha perfettamente ragione; la vita per me è semplicemente uno spettacolo, che — grazie a Dio, grazie all'Italia, e grazie a lei — è ora più bello e più incoraggiante di quanto sia mai stato prima.» [....] <br>«Ogni minima inezia, per una qualche ragione, oggi sembra imponderabilmente importante, e quando lei dice che da una cosa "non dipende niente," le sue parole suonano come una bestemmia. Non si può mai sapere... (come posso esprimermi?)... quale delle nostre azioni, quale delle nostre omissioni non influiranno su qualcosa per sempre.» (cap. VIII, pp. 185-9)
*«Quel latte,» disse lei, «non c'è bisogno di sprecarlo. Lo prenda, signora Carella, e persuada il signor Herriton a berlo.» <br>Gino obbedì, e portò a Philip il latte del bambino. E anche Philip obbedì e lo bevve. <br>«Ce n'è ancora?»<br>«Un poco,» rispose Gino. <br>«Lo finisca allora.» Perché lei era risoluta ad adoprare tutti gli avanzi che si trovano per il mondo. (cap. IX, p. 213)
*Non faccia il misterioso; non ce n'è tempo. (Catherine, cap. X, p. 221)
*La cosa era anche più grande di come lei immaginava. Nessuno, se non Philip, poteva vederla nel suo insieme. E per vederla nel suo insieme, egli si teneva a una immensa distanza. Poteva persino essere contento che, almeno per una volta, lei avesse stretto l'amato tra le braccia. (cap. X, p. 225)
 
==''Camera con vista''==
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===[[Explicit]]===
Gli occhi di Philip erano fissi sul campanile di Airolo. Ma vedeva invece il bel mito di Endimione. Questa donna era una dea fino alla fine. Nessun amore poteva degradarla: lei rimaneva al di fuori di ogni degradazione. Questo episodio, che lei considerava così sordido, e che era tanto tragico per lui, rimaneva supremamente bello. Egli s'era innalzato a tale altezza, che senza rimpianto ora le avrebbe potuto dire che anche lui l'adorava. Ma a che cosa serviva dirglielo? Poiché tutte le cose meravigliose erano già accadute. <br>«Grazie,» fu tutto quello che si permise di dire. «Grazie di tutto.»<br>Lei lo guardò con grande amicizia, perché le aveva reso la vita sopportabile. In quel momento il treno entrò nella galleria del San Gottardo. S'affrettarono a rientrare nello scompartimento e a chiudere il finestrino, perché i carboncini non entrassero negli occhi di Harriet.
 
==''La vita che verrà''==
*Ma Harold non se la cavava così a buon mercato, perché Sir Edwin, per la prima volta, era totalmente incapace di capirlo. Fin allora aveva creduto di capirlo benissimo. Il carattere di Harold era così elementare... consisteva in due cose o poco più, la facoltà di amare e il desiderio di verità, e Sir Edwin, sull'esempio di tanti pensatori più esperti di lui, aveva concluso che quanto non è complicato non può essere misterioso. Analogamente, poiché l'intelletto di Harold non s'impegnava nell'acquisizione dei fatti o nell'analisi delle emozioni, egli aveva concluso che il giovane era stupido. Ora però, unicamente perché Harold era in grado di addormentarsi grazie a uno stratagemma inspiegabile, Sir Edwin subodorava in lui un mistero e si sentiva offesissimo. (da ''L'albergo Empedocle'': p. 42)
*Solamente lo sportivo in atto di uccidere qualcosa vive la vita perfetta dell'aria aperta. [...] se la godeva a stroncare una vita, come succede a tutti coloro che sono realmente in contatto con la natura. (da ''La busta purpurea'')
*«Non è mai troppo tardi,» disse il signor Pinmay, permettendo un lento movimento avvolgente del corpo, l'ultimo che quel corpo avrebbe mai eseguito. «La misericordia di Dio è infinita e sopporta in perpetuo. Egli ci concederà altre occasioni. Abbiamo errato in questa vita ma non potremo errare nella vita che verrà.» <br>Parve che il morente trovasse conforto, alla fine. «La vita che verrà,» ripeté in un soffio, ma più distintamente. «L'avevo dimenticata. Sei sicuro che viene?» <br>«Ne era sicura perfino la tua falsa religione d'un tempo.» <br>«E ci incontreremo in quella vita, tu e io?» domandò Vithobai, con una carezza tenera e tuttavia riverente.<br>«Senza fallo, se osserviamo i comandamenti di Dio.» <br>«Ci conosceremo di nuovo l'un l'altro?» <br>«Sì, con tutta la conoscenza spirituale.» <br>«E ci sarà l'amore?» <br>«Nel senso reale e veritiero, ci sarà.» <br>«Amore reale e veritiero! Ah, questo dev'essere gioioso.» La voce divenne più sonora, gli occhi ebbero una bellezza austera mentre egli abbracciava l'amico, che le vicende terrene avevano diviso da lui per tanto tempo. Presto Dio avrebbe prosciugato tutte le lacrime. «La vita che verrà!» urlò. «Vita, vita, vita eterna. In quella vita aspettami.» E trafisse il missionario nel cuore. (da ''La vita che verrà'': p. 107)
*Clesant sospirò. Guardò quelle braccia, ora rigidamente incrociate, e provò un desiderio struggente di sentirsene cingere. Non aveva che a dire: «Benissimo, cambierò medico,» perché immediatamente... ma non ebbe un istante di incertezza. La vita fino al 1990 o anche al 2000 esigeva la precedenza assoluta. «Woolacott mantiene vivi i suoi pazienti,» asserì caparbio. (da ''Il dottor Woolacott'', 2: p. 117)
*Urrà! Urrà! Trombare non conta. (da ''Che cosa importa?'': p. 170)
*I pottibakiani danno prova di grande riserbo. Coltivano le loro terre, si son rivelati improvvisamente dotati di temperamento artistico, e si dice che abbiano dato vita a una nobile letteratura che tratta pochissimo del sesso. Questo è un enigma per noi, come lo è l'indissolubilità del matrimonio, un provvedimento in pro del quale la chiesa ha vanamente battagliato altrove. Paga del trionfo qui ottenuto, essa si dà oggi anima e corpo al benessere della nazione, e l'archimandrita di Praz ha reinterpretato certi passi della Scrittura o li ha decretati spuri. Permangono parecchi punti oscuri, soprattutto perché ci mancano i dati atti a spiegare il periodo di transizione, e siccome non abbiamo modo di procurarci i romanzi di Alekko, non possiamo neppure risalire le tappe attraverso le quali gli impulsi della natura furono convertiti in patrimonio nazionale. Pare, tuttavia, che si siano succeduti tre stadi: dapprima i pottibakiani si vergognarono di fare quel che volevano, poi assunsero un atteggiamento aggressivo al riguardo, e ora fanno ciò che vogliono. E qui debbo lasciarli. Ne sentiremo parlar poco in avvenire, giacché le potenze limitrofe non osano dichiarar loro la guerra. Esse ritengono, forse a giusto motivo, che il paese sia diventato così infetto, che qualora se lo annettessero, ne promuoverebbero solo l'espansione. (da ''Che cosa importa?'': p. 174)
 
==''Maurice''==
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*«Che tu mi voglia un briciolo di bene, lo credo», ammise, «ma non posso far dipendere la mia vita da così poco. Neanche tu saresti disposto a far lo stesso. Tu fai dipendere tutta la tua vita da Anne. Non ti curi di appurare se i tuoi rapporti con lei sono o non sono platonici, ti basta sapere che sono più che sufficienti a farne dipendere una vita. Io non posso far dipendere la mia vita dai cinque minuti che rubi a lei e alla politica per intrattenerti con me. Per me faresti qualsiasi cosa, salvo vedermi. Ecco qual è stata la situazione dal principio alla fine di quest'anno d'inferno. Mi metti a disposizione la tua casa e ti dai una pena infinita per ammogliarmi, perché il mio matrimonio ti permetterebbe di lavarti le mani di me. Sì, mi vuoi bene, lo so», Clive si preparava a protestare, «ma è così poco che non merita neanche di parlarne, e non mi ami. Un tempo fui tuo fino alla morte e lo sarei rimasto se ti fosse importato di non perdermi, ma oggi sono un altro». (cap. 46, 1972, pp. 315-316)
 
==''Passaggio in IndiaMonteriano''==
*Ma adesso è veramente una Vita Nuova, perché noi siamo tutti d'accordo. Allora tu eri ancora infatuato dell'Italia. Può essere piena di bellissimi quadri e di chiese, ma non possiamo giudicare un paese che dai suoi uomini. (signora Herriton, cap. V, p. 91)
*Le donne non si sentono mai a loro agio fino a che non proclamano ad alta voce i loro torti. (Philip, cap. V, p. 97)
*«[...] La società ''è'' insormontabile... fino a un certo punto. Ma la sua vera vita le appartiene, e niente la può toccare. Non c'è potenza al mondo che possa impedirle di criticare e disoprezzare la mediocrità... niente che possa impedirle di ritirarsi nello splendore e nella bellezza... nei pensieri e nelle convinzioni che costituiscono la vita reale... il suo vero io.» <br>«Finora non ho mai fatto questa esperienza. Certamente, il mio io e la mia vita devono essere dove io vivo.» (Philip e Catherine, cap. V, p. 98)
*La signorina Abbott aveva avuto anche lei una serata meravigliosa, né ricordava d'aver mai visto simili stelle e un tale cielo. La sua testa, anch'essa, era piena di musica, e quella notte, quando aprì la finestra, la sua camera si riempì di aria calda e dolce. Era immersa nella bellezza, di dentro e di fuori; non poteva andare a letto per la felicità. Era mai stata così felice? Sì, una volta; e proprio qui, una sera in marzo, la sera in cui Gino e Lilia le avevano parlato del loro amore... la sera i cui mali era venuta adesso a riparare. <br>Emise un improvviso grido di vergogna. «Quest'ora... lo stesso posto... la stessa cosa,» — e incominciò a mortificare la sua felicità, sapendo che era colpevole. Era qui per combattere contro questo luogo, per portare in salvo una piccola anima che era ancora innocente. Era qui per difendere la moralità e la purezza, la santità della vita di una famiglia inglese. Quella primavera, aveva peccato per ignoranza; adesso non era più ignorante. «Signore, aiutatemi!» gridò, e chiuse la finestra come se ci fosse della magia nell'aria che la circondava. Ma le melodie non le uscivano dalla testa, e per tutta la notte fu turbata da torrenti di musica, da applausi e da risate, e da giovanotti arrabbiati che urlavano il distico del Baedeker: <br><center>Poggibonizzi, fatti in là, <br>che Monteriano si fa città!</center><br>Poggibonsi le si rivelò mentre quelli cantavano — un luogo sperduto e senza gioia, pieno di gente insincera. Quando si destò riconobbe che quel luogo era Sawston. (cap. VI, p. 153)
*Lei tacque. Quest'individuo crudele, pieno di vizi, conosceva strane raffinatezze. L'orribile verità, che persone cattive siano capaci d'amore, era lì nuda davanti a lei, e il suo essere morale ne rimase confuso. Era suo dovere portare in salvo il bambino, salvarlo dalla contaminazione, e lei aveva intenzione di fare il suo dovere. Ma il confortevole senso della virtù l'abbandonò. Si trovava in presenza di qualcosa di più grande del bene e del male. (cap. VII, p. 168)
*«Niente affatto. Combatta come se pensasse che noi abbiamo torto. Oh, a che serve tutto il suo equilibrio di giudizio se non decide mai con la sua testa? Chiunque l'afferra e le fa fare quello che vuole. E lei vede dentro di loro e ne ride... ma lo fa. Non basta avere le idee chiare; io ho la testa confusa e stupida, e non valgo la quarta parte di lei, ma ho cercato di fare quello che al momento mi è sembrato giusto. E lei... il suo cervello e il suo intuito sono splendidi. Ma quando vede quello che è giusto, è troppo indolente per farlo. Una volta mi disse che saremo giudicati per le nostre intenzioni, non per quello che abbiamo effettivamente fatto. Mi è sembrata un'osservazione splendida. Ma dobbiamo avere l'intenzione di fare... non starcene seduti su una sedia con le nostre intenzioni.» <br>«Lei è meravigliosa!» egli disse gravemente. <br>«Oh, lei mi apprezza!» lei proruppe di nuovo. «Vorrei che non m'apprezzasse. Lei ci apprezza tutti... vede il bene in tutti noi. E intanto lei è sempre morto... morto... morto. Ora, per esempio, perché non s'è arrabbiato? Gli si avvicinò, con un improvviso cambiamento d'umore, gli afferrò tutte e due le mani. Lei è tanto straordinario, signor Herriton, che non posso sopportare di vederla sprecarsi. Non posso sopportarlo... sua madre... non è stata buona con lei.» <br>«Signorina Abbott, non si preoccupi per me. Alcuni sono nati per non fare nulla. Io sono uno di questi; non ho mai concluso niente, né a scuola né nella professione. Venni qui per impedire il matrimonio di Lilia, ed era troppo tardi. Sono venuto qui con l'intenzione di ottenere il bambino, e ne riporterò un onorevole insuccesso. Adesso non mi aspetto mai che succeda qualcosa, e così non sono mai deluso. Lei si meraviglierebbe di sapere quali sono per mei grandi avvenimenti. Essere andato a teatro ieri, parlare con lei ora... non credo che mi capiterà mai niente di più grande. Il mio destino è di passare nel mondo senza mai scontrarmi con esso o smuoverlo... e veramente non so dire se il mio destino sia buono o cattivo. Io non muoio... io non m'innamoro. E se altri muoiono o s'innamorano, lo fanno sempre proprio quando io non ci sono. Ha perfettamente ragione; la vita per me è semplicemente uno spettacolo, che — grazie a Dio, grazie all'Italia, e grazie a lei — è ora più bello e più incoraggiante di quanto sia mai stato prima.» [....] <br>«Ogni minima inezia, per una qualche ragione, oggi sembra imponderabilmente importante, e quando lei dice che da una cosa "non dipende niente," le sue parole suonano come una bestemmia. Non si può mai sapere... (come posso esprimermi?)... quale delle nostre azioni, quale delle nostre omissioni non influiranno su qualcosa per sempre.» (cap. VIII, pp. 185-9)
*«Quel latte,» disse lei, «non c'è bisogno di sprecarlo. Lo prenda, signora Carella, e persuada il signor Herriton a berlo.» <br>Gino obbedì, e portò a Philip il latte del bambino. E anche Philip obbedì e lo bevve. <br>«Ce n'è ancora?»<br>«Un poco,» rispose Gino. <br>«Lo finisca allora.» Perché lei era risoluta ad adoprare tutti gli avanzi che si trovano per il mondo. (cap. IX, p. 213)
*Non faccia il misterioso; non ce n'è tempo. (Catherine, cap. X, p. 221)
*La cosa era anche più grande di come lei immaginava. Nessuno, se non Philip, poteva vederla nel suo insieme. E per vederla nel suo insieme, egli si teneva a una immensa distanza. Poteva persino essere contento che, almeno per una volta, lei avesse stretto l'amato tra le braccia. (cap. X, p. 225)
 
==''Passaggio in India''==
===[[Incipit]]===
 
Con l'eccezione delle grotte Marabar – che sono a venti miglia di distanza – la città di Chandrapore non offre nulla di straordinario. Più rasentata che bagnata dal Gange, si trascina per circa due miglia lungo la riva e a stento la si riconosce dai detriti che il fiume deposita con tanta abbondanza. Sul lungofiume non ci sono gradini per i bagni, perché caso vuole che qui il Gange non sia sacro; in realtà non c'è lungofiume, e i bazar precludono l'ampia e mutevole vista della corrente. Le strade sono sordide, i templi abbandonati, e sebbene ci siano alcune case eleganti, sono nascoste in giardini o in fondo a viali così sporchi da scoraggiare chiunque non vi sia stato espressamente invitato.
 
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===[[Explicit]]===
L'India una nazione! Che apoteosi! L'ultima arrivata ne l'incolore fratellanza del diciannovesimo secolo! E in quest'ora del mondo sgambettava per prendere il proprio posto! Lei, che non aveva l'eguale se non nel Sacro Romano Impero, sarà forse alla pari col Guatemala e col Belgio! Fielding tornò a deriderlo. Aziz, travolto da una rabbia furiosa, caracollava qua e là senza sapere che fare, e gridò: – Abbasso gli inglesi, ad ogni modo. Questo è certo. Sgombrate, gente, e alla svelta, vi dico. Noi possiamo odiarci l'un l'altro, ma odiamo di piú voi. Se non faccio sgombrare io, lo farà Ahmed, lo farà Karim; ci volessero anche centocinquantacinque anni, ci libereremo di voi, sí, butteremo a mare ogni maledetto inglese, e allora, – galoppò furiosamente contro Fielding, – e allora, – continuò, quasi baciandolo, – voi ed io saremo amici. <br>– Perché non possiamo esserlo subito? – disse l'altro, stringendolo con affetto. – È quello che voglio. È quello che voi volete. <br>Ma i cavalli non volevano: scartarono di fianco; non voleva la terra, che balzava su in massi tra cui i cavalieri dovevano parare l'uno dietro l'altro; i templi, il lago, la prigione, il palazzo, gli uccelli, le carogne, la Foresteria, che apparvero alla visi quando loro uscirono dalla gola e scorsero Mau ai loro piedi: non volevano, dissero con le loro cento voci: «No, non ancora», e il cielo disse: «No, non qui».
 
==''La vita che verrà''==
*Ma Harold non se la cavava così a buon mercato, perché Sir Edwin, per la prima volta, era totalmente incapace di capirlo. Fin allora aveva creduto di capirlo benissimo. Il carattere di Harold era così elementare... consisteva in due cose o poco più, la facoltà di amare e il desiderio di verità, e Sir Edwin, sull'esempio di tanti pensatori più esperti di lui, aveva concluso che quanto non è complicato non può essere misterioso. Analogamente, poiché l'intelletto di Harold non s'impegnava nell'acquisizione dei fatti o nell'analisi delle emozioni, egli aveva concluso che il giovane era stupido. Ora però, unicamente perché Harold era in grado di addormentarsi grazie a uno stratagemma inspiegabile, Sir Edwin subodorava in lui un mistero e si sentiva offesissimo. (da ''L'albergo Empedocle'': p. 42)
*Solamente lo sportivo in atto di uccidere qualcosa vive la vita perfetta dell'aria aperta. [...] se la godeva a stroncare una vita, come succede a tutti coloro che sono realmente in contatto con la natura. (da ''La busta purpurea'')
*«Non è mai troppo tardi,» disse il signor Pinmay, permettendo un lento movimento avvolgente del corpo, l'ultimo che quel corpo avrebbe mai eseguito. «La misericordia di Dio è infinita e sopporta in perpetuo. Egli ci concederà altre occasioni. Abbiamo errato in questa vita ma non potremo errare nella vita che verrà.» <br>Parve che il morente trovasse conforto, alla fine. «La vita che verrà,» ripeté in un soffio, ma più distintamente. «L'avevo dimenticata. Sei sicuro che viene?» <br>«Ne era sicura perfino la tua falsa religione d'un tempo.» <br>«E ci incontreremo in quella vita, tu e io?» domandò Vithobai, con una carezza tenera e tuttavia riverente.<br>«Senza fallo, se osserviamo i comandamenti di Dio.» <br>«Ci conosceremo di nuovo l'un l'altro?» <br>«Sì, con tutta la conoscenza spirituale.» <br>«E ci sarà l'amore?» <br>«Nel senso reale e veritiero, ci sarà.» <br>«Amore reale e veritiero! Ah, questo dev'essere gioioso.» La voce divenne più sonora, gli occhi ebbero una bellezza austera mentre egli abbracciava l'amico, che le vicende terrene avevano diviso da lui per tanto tempo. Presto Dio avrebbe prosciugato tutte le lacrime. «La vita che verrà!» urlò. «Vita, vita, vita eterna. In quella vita aspettami.» E trafisse il missionario nel cuore. (da ''La vita che verrà'': p. 107)
*Clesant sospirò. Guardò quelle braccia, ora rigidamente incrociate, e provò un desiderio struggente di sentirsene cingere. Non aveva che a dire: «Benissimo, cambierò medico,» perché immediatamente... ma non ebbe un istante di incertezza. La vita fino al 1990 o anche al 2000 esigeva la precedenza assoluta. «Woolacott mantiene vivi i suoi pazienti,» asserì caparbio. (da ''Il dottor Woolacott'', 2: p. 117)
*Urrà! Urrà! Trombare non conta. (da ''Che cosa importa?'': p. 170)
*I pottibakiani danno prova di grande riserbo. Coltivano le loro terre, si son rivelati improvvisamente dotati di temperamento artistico, e si dice che abbiano dato vita a una nobile letteratura che tratta pochissimo del sesso. Questo è un enigma per noi, come lo è l'indissolubilità del matrimonio, un provvedimento in pro del quale la chiesa ha vanamente battagliato altrove. Paga del trionfo qui ottenuto, essa si dà oggi anima e corpo al benessere della nazione, e l'archimandrita di Praz ha reinterpretato certi passi della Scrittura o li ha decretati spuri. Permangono parecchi punti oscuri, soprattutto perché ci mancano i dati atti a spiegare il periodo di transizione, e siccome non abbiamo modo di procurarci i romanzi di Alekko, non possiamo neppure risalire le tappe attraverso le quali gli impulsi della natura furono convertiti in patrimonio nazionale. Pare, tuttavia, che si siano succeduti tre stadi: dapprima i pottibakiani si vergognarono di fare quel che volevano, poi assunsero un atteggiamento aggressivo al riguardo, e ora fanno ciò che vogliono. E qui debbo lasciarli. Ne sentiremo parlar poco in avvenire, giacché le potenze limitrofe non osano dichiarar loro la guerra. Esse ritengono, forse a giusto motivo, che il paese sia diventato così infetto, che qualora se lo annettessero, ne promuoverebbero solo l'espansione. (da ''Che cosa importa?'': p. 174)
 
==Bibliografia==