Giuseppe Rensi: differenze tra le versioni

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*Vuoi la pace? L'hai, ma con la morte. Vuoi la «vita» (cioè l'agitazione e la passionalità vitale)? L'hai, ma con l'irrequietezza, la fluttuazione continua tra mancanza e sazietà, tra contento e malcontento, tra gioia e dolore: l'hai, cioè, col tormento. La pace è la morte. La vita è il tormento.
*Sapersi in balia dell'imprevisto, sotto la mano dell'impensato, in potere del «caso»; titubanza e trepidanza circa il futuro della propria vita; paura del futuro; dubbio, timore e tremore per le proprie vicende avvenire; tali sono le caratteristiche essenziali della religiosità. Poiché le vicende avvenire, avvertite nella loro imprevedibilità e incontrollabilità, il Futuro, il Ciò Che Sarà, nella sua assoluta indipendenza da noi, è per chi non crede nel Dio delle religioni, esso stesso Dio, e, per chi vi crede, la manifestazione della potenza imperscrutabile e irresistibile di Dio.
*Perché nel mondo fenomenico si manifesta tanto [[dolore]], guerre, lotte, malattie, morte, contrarietà, dispiaceri (e per di più i dolori immaginari, a nobis ispsis facti, come l'amore e le sue delusioni), perché soffriamo tanto, perché tutta questa produzione di dolore nel mondo, se non perché nel germe o nell'essenza di questo, nel principio da cui scaturisce, nel suo Essere in sé (in Dio), c'è un fondo di dolore infinito?
*Si dice: se vuoi essere felice abbandona i pensieri delle cose terrene e riempi la tua mente delle cose eterne. Così Spinoza, così Fichte […]. Così Aristotele […]. Ma, pur troppo, lo stesso pensiero delle cose eterne rende specialmente infelici, qualora, approfondendolo, vi si trovi la constatazione che il Tutto, l'Eterno, l'Essere, è assurdo, cattivo, vano, e l'«ordine morale» del mondo una menzogna. E contro Spinoza, Fichte, Aristotele, contro tutti gli allucinati dalla fissazione intellettualistica che la vita di pensiero dia la felicità, ha ragione l'Ecclesiaste (1, 18): «chi accresce la scienza, accresce il dolore».
*Viviamo sotto strati di dolore, uno soggiacente all'altro e che per la presenza di quest'altro non viene percepito, ma che è pronto a far sentire la sua punta non appena quest'altro scompare.