Carlo Alianello: differenze tra le versioni

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*Gli porse la mano e s'avviava a uscire. Ma s'arrestò di nuovo: -Ah! mi dimenticavo! Senti, Pino: c'è una cosa che tu devi considerare ora che resti solo... Non vorrei che tu ti credessi, per quel che ti dissi l'altro giorno, quando ancora stavi a letto, che il progresso non c'è e l'uomo sta immobile. Tu adesso rimani qua con questa impressione: papà è un retrogado. Nossignore: il progresso c'è, e io ci credo. E che cristiano sarei se non ci credessi? Solo che d'una cosa sono sicuro: che il progresso non ci viene da fuori. Da dentro ha da venire. Tu non ti fare montare la testa da quelle fesserie sanguinose di Rousseau e degli Enciclopedisti, che l'uomo è buono naturalmente e che bastano le leggi a far felice un popolo. È una cosa troppo semplice e magari fosse! L'uomo è una bestia perfettibile con istinti ferini; ma con una coscienza che se lo lavora e tende a portarlo in alto. La tua coscienza però tu non la trovi sul "Giornale Ufficiale delle Due Sicilie" e nemmeno sulla "Gazzetta Piemontese" ... in corpo ce l'hai e con lei ti devi mettere d'accordo se vuoi andare avanti o no. Non esistono buone leggi per un popolo corrotto e sono gli uomini che fanno le leggi, non le leggi gli uomini. Tu il progresso vuoi? Sissignore: anche io. Sii onesto, se l'onesta' ti mancava, e questo è certamente un bel progredire. E se gia' eri un galantuomo, cerca di diventare migliore. Ma a quel progresso che ti porge la politica, tu non ci credere, ch'è roba sporca. (p. 147)
*E il popolo riprese quel grido, il suo vero grido, che non muta per re o per repubbliche, e lo scagliò su al cielo, sino a che svanisse col cielo: -Viva Maria! (p. 209)
*– Voi? Ma dove? Ma quando? – chiese ironico Pino – se fino a un momento fa qui si ballava e i contadini... <br />– Bravo – intervenne Mimì – hai detto giusto: i contadini. Ed è perciò che ti teniamo chiuso. Dei contadini non ci possiamo fidare... e la rivoluzione la facciamo noi, i galantuomini, ma i villani no, che sono tutti per il re. Domani forse avremo da combattere contro una nuova santa fede e... non vogliamo fra i piedi, in un momento così pericoloso, dei pazzi come te, che sei più poeta di don Celestino... un ufficiale borbonico, un difensore dell'altare e del trono... (p. 219)
*Pino tese le braccia. Lo divorava uno struggimento profondo, una compassione infinita di sé e di quella piccola donna che nella notte era accorsa a lui, sola... e avrebbe voluto stringerla forte a sé per difenderla da ogni dolore, per consolarla di quel male che la piccola aveva fatto a se stessa, per quel riserbo lacerato, per quella passione amara e coraggiosa, e per piangere anch'egli con lei tutte quelle lacrime che in tre mesi d'angoscia sorda, seppur non intesa, seppur non avvertita, gli erano scese con uno stillicidio lento nell'animo e lo gonfiavano ora fino a traboccare. (pp. 227-228)
*- Vi voglio sposare, Titina - disse Pino. <br /> - E perché? <br /> Pino non seppe rispondere subito. Avrebbe avuto tante cose dadire, che non poté trovar subito quella parola che ci voleva e inoltre quella sua offerta l'aveva fatta così, quasi senza saper neppur lui quel che dicesse, spinto da un irresistibile impulso, da un istinto irresponsabile, che dal cuore era passato alle labbra subitamente, senza attraversare la testa. E forse era amore. (pp. 229-230)
*E nella mente di Pino, subito, improvviso, ma pieno sì da occuparla tutta, venne il ricordo: l'alba lunare tra i monti di Tito, quella sera, la sera della serenata, quando Titina era a letto e la sua voce forse l'aveva svegliata. Titina... E Pino spalancò gli occhi e tremò, ché il buio gli era parso un tratto vivente. E la chitarra, e il violino e la canzone... Allora sottovoce cominciò Pino a cantare, per lei che lo sentiva: <br /> ''Fenesta ca' lucive e mo' non luce,'' / <br />''segn'è ca' nenna mia starrà ammalata...'' <br />I soldati sospesero di remare, ascoltando sorpresi. (p. 338)
*– E la [[libertà]] – chiese Pino – che n'hai fatto? <br />– Ce l'ho qui – rispose Franco e si batté sul petto – dacché fra la mia e quella dei liberali ho scelto liberamente, da uomo. Non mi piace la loro libertà, ché quando te la vengono a imporre con le baionette, non è più essa. Io sto da questa parte, perché così mi piace a me, che sono don Enrico Franco, e mi piace perché oggi è la parte più bella. Altri combattono e muoiono per una conquista, una terra, un'idea di gloria, per un convincimento magari o un ideale, ma noi muoriamo per una cosa di cuore: la bellezza. Qui non c'è vanità, non c'è successo, non c'è ambizione. Noi moriamo per essere uomini ancora. Uomini che la violenza e l'illusione non li piega e che servono la fedeltà, l'onore, la bandiera e la Monarchia, perché son padroni di sé e servitori di Dio. Ieri forse poteva sembrar più nobile, più alta la parte di là, ma oggi con noi c'è la sventura, e questa è la parte più bella. Perché sopra, noi ci possiamo scrivere: senza speranza... (p. 429)