Thomas Mann: differenze tra le versioni

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aggiungo citazione da Giuseppe il nutritore e raggruppo le citazioni da questa opera in apposita sezione
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*Essere [[artista]] ha sempre significato possedere ragione e [[sogno|sogni]]. (citato in ''I luoghi dell'arte'', v. 11)
*Il blocco non parteggia per lo scultore, è contro di lui. (da ''La legge'')
*Il nostro essere è solo il punto di incidenza tra il non essere e il sempre essere, e la nostra esistenza temporale è solo il mezzo attraverso cui l'eternità si manifesta. (da ''Giuseppe il Nutritore'')
*L'incompleta comprensione di se stesso, il non ammettere che il suo amore non era per nulla più sublime, ma un amore come tutti gli altri, se pure – almeno al tempo suo – con più scarse possibilità di felice esaudimento, questo equivoco insomma lo spinse all'ingiustizia, all'insanabile amarezza, all'esacerbato rancore per il dispregio e la durezza in (sic) cui la sua ardente dedizione si scontrava quasi ad ogni momento ed esso ha parte evidentissima nel suo risentimento contro la Germania e contro tutto ciò che è tedesco, e finì per spingerlo all'esilio ed alla morte solitaria. (parlando di [[August von Platen-Hallermünde|August von Platen]]; da ''Nobiltà dello spirito. Saggi critici'', in ''Tutte le opere, vol. X'', Mondadori, Milano, 1953 e 1973, p. 372)
*L'[[inferno]] è per i puri; questa è la legge del mondo morale. Esso è infatti per i peccatori, e peccare si può soltanto contro la propria purezza. Se si è una bestia, non si può peccare e non si sente nulla di un inferno. Così è stabilito, e certamente l'inferno è tutto popolato soltanto da gente per bene, il che non è giusto; ma che cos'è mai la nostra giustizia! (da ''Giuseppe il Nutritore'')
*Il tempo è un dono prezioso, datoci affinché in esso diventiamo migliori, più saggi, più maturi, più perfetti.<ref>T. Mann, ''Romanzo d'un romanzo'', Milano, Mondadori, 1952.</ref>
*Il vero principio artistico è la riserva. (da ''Goethe e Tolstoj. Frammenti sul problema dell'umanità'', in ''Nobiltà dello spirito e altri saggi'')
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*Proprio "lui" dimostrò cosa fosse in realtà il dispotismo: prima non se ne aveva avuto un concetto ben definito e, per completare il significato del termine, doveva arrivare un re in grado di lavorare come lui. Egli creò però anche una varietà di dispotismo: era il despota illuminato, in quanto i suoi sudditi potevano pensare e dire ciò che volevano, purché lui, da parte sua, potesse fare ciò che voleva, e questo era un accordo proficuo per entrambe le parti, come si fu costretti ad ammettere. Le religioni non avevano importanza, dato che le disprezzava. Nei suoi stati gli atei perseguitati trovarono non solo asilo, ma anche impieghi ufficiali. Non si curava delle satire, degli scritti denigratori e dei libelli indirizzati contro di lui; non temeva lo spirito perché, finché esso era innocuo, sapeva trovare un giusto equilibrio fra amore e disprezzo. Quando sentì parlare di un suddito tendenzialmente critico, chiese:<br />«Ha centomila uomini? Se no, cosa volete che me ne preoccupi!». (p. 21)
*Federico scrisse l'''Antimachiavelli'', ma non si trattava di ipocrisia, era semplicemente letteratura. Amava l'umanesimo, la ragione, la secca chiarezza — un amore problematico, derivato dagli elementi demoniaci e utilitari riuniti in lui. Così amava Voltaire, il figlio dello spirito, il padre dell'illuminismo e di ogni cultura antieroica. Baciava la mano magra che scriveva: «Odio tutti gli eroi», ed egli stesso faceva dell'ironia sulla guerra dei sette anni con le parole «debolezze eroiche». Metteva però anche nero su bianco: se avesse voluto punire una provincia, l'avrebbe fatta governare da letterati; il suo illuminismo era così superficiale, che se ne sentiva immune. Quando poi vuole chiarire il vero motivo che lo ha indotto a scambiare la dolce quiete di una vita dedita alla letteratura con i tremendi sforzi ed i sanguinosi orrori della guerra, parla in generale di un «segreto istinto». Ciò che egli definisce in questo modo era più forte della letteratura: diresse le sue azioni e decise della sua vita; ed è un concetto tipicamente tedesco che questo istinto segreto, questo elemento demoniaco fosse in lui sovrumano: era la forza del destino, lo spirito della Storia.<br />In fondo era una vittima. Egli pensava ad ogni modo di essersi sacrificato: nella giovinezza per il padre e nella maturità per lo Stato. Ma sbagliava se pensava che sarebbe stato libero di agire diversamente. Era una vittima. Doveva agire ingiustamente e vivere contrariamente al pensiero; non gli fu concesso di essere un filosofo, ma dovette fare il re, perché un grande popolo compisse la sua missione nel mondo. (pp. 77 sg.)
==''Giuseppe il nutritore''==
 
=== Citazioni ===
*Il nostro essere è solo il punto di incidenza tra il non essere e il sempre essere, e la nostra esistenza temporale è solo il mezzo attraverso cui l'eternità si manifesta. (da ''Giuseppe il Nutritore'')
*L'[[inferno]] è per i puri; questa è la legge del mondo morale. Esso è infatti per i peccatori, e peccare si può soltanto contro la propria purezza. Se si è una bestia, non si può peccare e non si sente nulla di un inferno. Così è stabilito, e certamente l'inferno è tutto popolato soltanto da gente per bene, il che non è giusto; ma che cos'è mai la nostra giustizia! (da ''Giuseppe il Nutritore'')
*Spiare nelle alcove è al di sotto della dignità di colui che sta narrando questa storia.<ref>''Giuseppe il Nutritore'', ed. Mondadori, Milano, 1963, p. 359</ref>
== ''I Buddenbrook'' ==
===[[Incipit]]===