Léon Degrelle: differenze tra le versioni

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*Il [[dono]], il vero dono è così: annientarsi sino all'ultima favilla. (p.23)
*Mi ricordo tre parole che un giorno avevo decifrato su una tomba di marmo nero giù a Damme in Fiandra, dentro una chiesa della mia patria perduta: ETSI MORTUUS URIT. <br /> "Seppur morto, egli arde..." <br /> Possano queste pagine, ultimo fuoco di quel che io fui, ardere ancora un momento, riscaldare ancora un istante le anime possedute dalla passione di donarsi e di credere: di credere malgrado tutto, malgrado la disinvoltura dei corrotti e dei cinici, malgrado il triste gusto amaro che ci lasciano nell'anima il ricordo delle nostre colpe, la coscienza della nostra miseria e l'immenso campo di rovine morali di un mondo che è certo di non aver più bisogno di salvezza, che da questo trae motivo di gloria ma che deve tutta via essere salvato. Deve più che mai essere salvato. (p. 23)
*La [[felicità]] esiste solo nel [[dono]], nel dono completo; il suo disinteresse gli conferisce sapori d'eternità; esso ritorna alle labbra dell'anima con una soavità immortale. <br /> Donare! Aver visto occhi che brillano per essere stati compresi, colpiti, appagati! <br /> Donare! Sentire le grandi onde di felicità che fluttuano come acque danzanti su di un cuore pavesato all'improvviso di sole! <br /> Donare! Aver colto le fibre segrete che tessono i misteri della sensibilità! <br /> Donare! Avere il gesto che consola, che toglie alla mano il suo peso di carne, che consuma il bisogno di essere amato! (p. 26)
*Il secolo non sprofonda per mancanza di supporto materiale. L'universo non è mai stato così ricco, colmo di tanto benessere, grazie a una industrializzazione di tale efficacia produttiva. Non vi sono state mai tante risorse, né tanti beni disponibili. È il cuore dell'uomo, solo lui, ad essere in stato fallimentare. È per mancanza di amore, è per mancanza di fede e capacità di donarsi, che il mondo stesso si abbatte sotto i colpi che lo assassinano. (p. 27)
*Un grande ideale dà sempre la forza di dominare il proprio corpo, di soffrire la fatica, la fame, il freddo. Che importano le notti bianche, il lavoro opprimente, gli affanni o la povertà! L'essenziale è avere in fondo al proprio cuore una grande forza che rianima e spinge avanti, che rinsalda i nervi, che fa pulsare a forti battiti il sangue stanco, che infonde negli occhi il fuoco ardente e conquistatore. Allora più nulla dà sofferenza, il dolore stesso diviene gioia perché esso è un mezzo di più per elevare il suo dono, per purificare il suo sacrificio.(p. 31)