Igor Sibaldi: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
NisiDominus (discussione | contributi)
m Automa: Correzione automatica trattini in lineette.
Riga 7:
*Questo è l'avvio della tragedia, la più illustre tra le tragedie russe, cupa e feroce come le prime sillabe del cognome turcheggiante dei suoi protagonisti: ''kara'', che nelle lingue turco-tatare significa appunto "nero", e che in russo vuol dire "punizione". (p. V)
*Il lettore [...] avverte, nel procedere della lettura, la pressione particolarissima dell'elemento tragico: quella strana, vitrea dimensione cilindrica che si stringe, si stringe tutta da soffocare, e quanto più si stringe tanto più obbliga a guardare verso l'alto, dove il cilindro è irragiungibilmente aperto. (p. V)
*''I fratelli Karamàzov'' rientra appieno nella legge di questa nostalgia tragica dell'iniziazione [...]. E gi altri suoi motivi fondamentali - la Necessità, lo stringersi via via di ciascun destino, la paura, gli incubi, l'omicidio, le prove-"tribolazioni", la reclusione, la prossimità con gli Altri Mondi, le illuminazioni e, continuamente intercalate tra questi, le istillazioni meticolose di sapienza e di dottrina - si compongono intorno al lettore che vi si addentra in una struttura indubbiamente ''rituale''. (p. VII)
*Il ''Bildungsroman'' [...] richiede tutt'altri criteri [...] innanzitutto, del ''tempo'' in cui l'esperienza del protagonista si viene articolando. Si impone pazienza [...]. I ''fratelli Karamazov'' corre invece, corre irresistibilmente, senza lasciar riprender fiato, tra personalità ''complete come maschere''. E in realtà correva - correva da decenni, in una vera e propria brama e ossessione iniziatica che risaliva a ''Delitto e castigo''. (p. VIII)
*Un non-romanzo, con non-personaggi che intrattengono tra loro inverosimilissimi non-dialoghi, e si muovono in un non-spazio e in un non-tempo, conducendo là dove la tragedia classica conduce. Il prodotto più esteticamente sfrondato di quel manierismo dostoevskiano che, proprio come nel manierismo vero trasforma lo spessore muscolare delle figure in tortuosi paesaggi muscolari. [...] Proprio come in [[Michelangelo Buonarroti|Michelangelo]], anche nei ''Karamàzov'' i "non-" tendono al "super-", superpersonaggi, superdialoghi. (pp. XIII-XIV)
*Durante la maggior parte degli episodi dei ''Karamàzov'' il tempo è fermo, non scorre, ''si estende'' soltanto in profondità, proprio come la luce intensa a teatro sui corpi degli attori che essa plasma, cilindro di essere nel buio del non-essere. E anche quando questa luce diviene la struggente luminosità radente dei "raggi obliqui del sole al tramonto" [...] non è l'ora che conta: soltanto l'effetto-luce, lo squarcio improvviso d'un paesaggio dell'anima, sempre immobile anch'esso da decenni. ''Nulla'' scorre, in quel tempo, davvero. La durata dei ''Karamàzov'' procede per blocchi d'eternità. (pp. XV-XVI)
Riga 14:
*Non sono personaggi, sono forze della natura. [...] Guardate con che ansia e urgenza ciascuno di essi si sforza, ogni volta, in ogni episodio, di rivelarsi tutt'intero, di arrivare assolutamente e il più in fretta possibile in fondo a sé medesimo e di trascinarsi fuori "nel modo più brutale", "una volta per tutte". (p. XVII)
*Ma il fatto che con la sua fatale astuzia e ferocia Fëdor Pávlovič non soltanto tormenti i figli, ma ingombri, aggredisca il loro territorio ponendosi in concorrenza con loro in ogni loro aspirazione non è, ripeto, che il centro di questo mondo karamazoviano; ed è un centro irradiante. Vi è intorno un pullulare di adulti, "padri" e "madri" crudelmente, fatalmente ingombranti e pericolosi. (p. XXI)
*"Padri" e "figli" sono due eserciti in armi, separati l'uno dall'altro, nei ''Karamàzov'', da una diversità insanabile e di nuovo naturalissima: i padri, gli adulti, ''sono come sono'', son l'esistente massiccio, sono degli "io" arroccati in sé e pronti a difendersi per l'eternità nel mondo che era il ''loro'' dominio. I giovani al contrario bramano tutti, qui, di liberarsi del proprio "io" - del proprio grado di partecipazione a quell'esistente, del ruolo che in esso è toccato loro, del loro ''compromesso'' con il mondo dei padri - e soffocano in esso, sono infelici e ansiosi. (pp. XXIV-XXV)
*Le ansie dei protagonisi giovani, i loro "movimenti" di rivolta e di distruzione-autodistruzione: liberarsi dal mondo dei padri per liberarsi dall'"io" a esso adeguatosi, in esso insudiciatosi, e liberando un "io" nuovo che in quel mondo può trovar posto soltanto negandolo, ribaltandolo. (p. XXV)
*La storia di Dmítrij, nota bene, è ben riconoscibile agli occhi di un russo dell'Ottocento come una ripetizione del modello agiografico di san'Efrem Siro, veneratissimo: lui pure giovane burrascoso, lui pure incarcerato per un delitto non commesso, e poi "illuminato" d'un tratto, e sceso lui pure nelle "miniere" dell'uomo, per ridestarne il cuore. ''Ma bisogna che il padre muoia, prima'': bisogna che il campo interiore si sgombri. (p. XXVI)
*Alëša è anche lui, naturalmente, il germe di un santo: di quell'"Alekséj uomo di Dio" - santo anch'esso celeberrimo per la ''pietas'' ortodossa [...] - che proprio come Alëša fu, secondo il Martirologio, dapprima novizio, poi lasciò il monastero, tornò alla casa paterna e da lì partì verso "il mondo": ma, di nuovo, bisogna che ''si possa'' partire, prima, e che nulla trattenga più, nessun debito o credito, nessun suggello all'involucro dell'"io" vecchio, ''poiché nulla nell'"io" vecchio e nel mondo vecchio dei padri può essere d'alcun aiuto al nuovo che preme''. (p. XXVI)
*E infine Ivàn, il motore di tutto, e l'"irrisolto", che cerca e brama soluzioni, ''per liberarsi da quel suo "io" tutto quanto interrogativo al presente'': ma ciò che è irrisolto e brama soluzioni in lui altro non è che la sua somiglianza col padre, che soltanto ''dopo la morte di Fëdor Pávlovič'' diverrà, e gli diverrà, evidente, per bocca del fratello-assassino:<br/> "Voi siete come Fëdor Pávlovič, di tutti i suoi figli siete quello che gli assomiglia di più, avete un'anima uguale alla sua."<br/> E in tale eredità, nel compito di combattere e riscattare in sé medesimo l'anima, "la forza dei Karamàzov", Ivàn finirà per perdere la ragione. (p. XXVII)
*Il lettore viene coordinato appunto a quella prospettiva [...], a guardare ogni cosa così come i giovani protagonisit la guardano, entro lo spasmo di quella loro iniziazione, ''tutta quanta interiore, notate bene!'' tutta parlata, potentemente raffigurata su schermi interiori della creatività dell'angoscia. (p. XXIX)