I fratelli Karamazov: differenze tra le versioni

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*"Perchè vive un uomo simile?" ruggì cupo Dmítrij Fëdorovič, quasi fuori di sé dall'ira, sollevando a tal punto le spalle da parere addirittura gobbo. [...]<br />"Lo sentite, lo sentite, monaci, il parricida?" (cap. VI, 1994, p. 105)
*Forse cadde in gioventù, corrotta dall'ambiente, ma ella "ha molto amato" e a colei che aveva molto amato anche Cristo perdonò... (Fëdor Pávlovič: cap. VI, 1994, p. 105)
*Lo starets si alzò all'improvviso dal proprio posto [...] avanzò verso Dmítrij Fëdorovič e, quando gli fu vicinissimo, cadde in ginocchio dinanzi a lui. [...] Lo starets si prosternò ai piedi di Dmítrij Fëdorovič con un profondo, preciso e consapevole inchino e sfiorò persino la terra con la fronte. Alëša era così sbalordito che non ebbe neppure il tempo di sorreggerlo quando si rialzò. [...]<br />Dmítrij Fëdorovič restò per qualche istante come folgorato: prostrarsi ai suoi piedi - che cosa significava? Alla fine lanciò un grido: "Oh, mio Dio!" e, coprendosi il viso con le mani, si precipitò fuori della stanza. (cap. VI, 1994, p. 106)
*Mjusov guardò con odio Ivàn Fëdorovič.<br />"Se ne va a pranzo come se non fosse accaduto proprio nulla!" pensò. "Faccia di bronzo e coscienza da Karamàzov!" (cap. VI, 1994, p. 108)
*Conoscerai un grande dolore e nel dolore sarai felice. Eccoti il mio insegnamento: nel [[dolore]] cerca la felicità. (Starets Zosima: cap. VII, 1994, p. 109)
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*Nostro fratello Dmítrij dice di te: Ivàn è una tomba. Mentre io dico: Ivàn è un'enigma. (Alëša: cap. III, 1994, p. 318)
*In parte è una caratteristica dei Karamàzov questa sete di vita a qualunque costo. (Ivàn: cap. III, 1994, p. 319)
*Si ha voglia di vivere, e io vivo, anche a dispetto della logica. Posso magari non credere nell'ordine delle cose, ma le foglioline vischiose che spuntano a primavera mi sono care, mi è caro il cielo azzurro e mi sono care certe persone, che a volte - lo crederesti? - non si sa neppure perchè si amino, e mi sono care certe conquiste umane, nelle quali, forse, ho smesso di credereda un pezzo. (Ivàn: cap. III, 1994, p. 319)
*Ogni pietra su di loro è come se testimoniasse di un passato così intensto, di una dedizione così appassionata alla propria impresa, alla propria fede, alla propria battaglia e al proprio sapere che io, lo so già fin da ora, mi getterò in ginocchio e bacerò quelle pietre, piangendo. (Ivàn: cap. III, 1994, p. 320)
*"Credo che tutti dovrebbero amare la vita prima di ogni altra cosa al mondo."<br />"Amare la vita più del senso della vita?"<br />"Proprio così: amarla prima della logica, come dici tu, assolutamente prima di ogni logica, e solo allora se ne afferrerà sil senso." (cap. III, 1994, p. 320)
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*Ci odiavamo per molti motivi, Kátja, ma ti giuro: io odiandoti, ti amavo; ma tu no! (Mítja: cap. V, 1994, p. 954)
*In questo sta il nostro orrore: che simili cupe vicende abbiano quasi smesso di essere, per noi, orribili! Ecco di cosa dobbiamo avere orrore, del nostro abituarci, e non del singolo delitto di questo o quell'altro individuo. (cap. VI, 1994, p. 959)
*Nel primo caso egli fu sinceramente nobile, e nel secondo altrettanto sinceramente vile. Perché? Ma proprio perché siamo nature vaste, karamazoviane - e proprio a questo volevo arrivare - capaci di tutte le possibili contraddizioni e di contemplare in un colpo i due abissi, l'abisso sopra di noi, degli ideali più alti, e l'abisso sotto di noi, della caduta più vile e fetida. (cap. VI, 1994, pp. 968-969)
*Ma se abbiamo potuto sentire dolore e pietà per avere ucciso un uomo, vuol dire che non abbiamo ucciso il padre: dopo aver ucciso nostro padre non saremmo saltati giù verso un'altra vittima per pietà [...]. Ci fu posto per la pietà e per i buoni sentimenti proprio perché prima d'allora la coscienza era pulita. Ecco, quindi, tutta un'altra psicologia. (cap. X, 1994, p. 1008)
*E con simili romanzi siamo pronti a distruggere la vita di un uomo! (cap. XI, 1994, p. 1013)
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*Non è nemmeno un romanzo, d'altronde. Oh, certamente lo è a vederlo da fuori, la superficie è romanzesca e il nome romanzo gli sta benissimo. Ma visto da dentro, da quella profondità e intensità in cui il lettore viene a trovarsi leggendo, questo romanzo non è un romanzo, è un sistema composito, e strano, pieno di "insospettabili ripostigli, bugigattoli svariati e insospettate scale" proprio come la casa in cui [[Fëdor Dostoevskij|Dostoevskij]] lo ambientò.
*Non sono personaggi, sono forze della natura. [...] Guardate con che ansia e urgenza ciascuno di essi si sforza, ogni volta, in ogni episodio, di rivelarsi tutt'intero, di arrivare assolutamente e il più in fretta possibile in fondo a sé medesimo e di trascinarsi fuori "nel modo più brutale", "una volta per tutte".
*"Padri" e "figli" sono due eserciti in armi, separati l'uno dall'altro, nei ''Karamàzov'', da una diversità insanabile e di nuovo naturalissima: i padri, gli adulti, ''sono come sono'', son l'esistente massiccio, sono degli "io" arroccati in sé e pronti a difendersi per l'eternità nel mondo che era il ''loro'' dominio. I giovani al contrario bramano tutti, qui, di liberarsi del proprio "io" - del proprio grado di partecipazione a quell'esistente, del ruolo che in esso è toccato loro, del loro ''compromesso'' con il mondo dei padri - e soffocano in esso, sono infelici e ansiosi.
*Sarebbe altresì possibile andare oltre [...] in questa assimilazione a [[Carl Gustav Jung|Jung]]: riconducendo [...] tutti e quattro i fratelli alle quattro parti dell'intero individuale, Ivàn il pensiero, Dmítrij la sensazione, Alëša il sentimento, Smerdjakçov l'intuizione.