Igor Sibaldi: differenze tra le versioni

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*''[[Della vita|Sulla vita]]'' [...] è un testo difficile, lento – e non soltanto per la complessità dell'argomento, ma proprio per la qualità, la tormentata qualità della sua prosa. Ampie parti di esso appaiono come territori paludosi, in cui si fatica a procedere, ci si impantana, e in cui càpita al lettore di vedersi scomparire del tutto la strada di sotto i piedi, per poi vederla riemergere soltanto qualche pagina dopo: con la spiacevole sensazione che ciò che riemerge sia un tratto già percorso, o magari che il tratto principale sia rimasto indietro chissà dove. Si va lenti, si aggrottano le sopracciglia, ci si ferma per fare il punto e si prosegue perplessi. Si stenta a credere che per un anno intero un Tolstòj entusiasta e nel pieno delle sue energie intellettuali, abbia lavorato intensamente ed esclusivamente a queste pagine, e vien quasi voglia di giustificare il tetro arcivescovo [[Nikanor|Nikanòr]] [...]. È vero, di sofismi ce n'è eccome – anche se non quelli che molto probabilmente intendeva Nikanòr, il quale, da buon prete, doveva ritener sofistici tutti i riferimenti al Vangelo non fondati sull'interpretazione consueta, dogmatica, di esso. (da ''Introduzione'', in ''Della vita'', Oscar saggi Mondadori, 1991, pp. 11-12. ISBN 88-04-34731-7)
==''Introduzione'' a [[I fratelli Karamàzov]]==
*Questo è l'avvio della tragedia, la più illustre tra le tragedie russe, cupa e feroce come le prime sillabe del cognome turcheggiante dei suoi protagonisti: ''kara'', che nelle lingue turco-tatare significa appunto "nero", e che in russo vuol dire "punizione". <ref name=Dostoevskij>citato in Fëdor Dostoevskij, ''Introduzione a I fratelli Karamàzov'', Mondadori, 1994, ISBN 8804527234</ref> (p. V)
*Il lettore [...] avverte, nel procedere della lettura, la pressione particolarissima dell'elemento tragico: quella strana, vitrea dimensione cilindrica che si stringe, si stringe tutta da soffocare, e quanto più si stringe tanto più obbliga a guardare verso l'alto, dove il cilindro è irragiungibilmente aperto. <ref name=Dostoevskij/> (p. V)
*''I fratelli Karamàzov'' rientra appieno nella legge di questa nostalgia tragica dell'iniziazione [...]. E gi altri suoi motivi fondamentali - la Necessità, lo stringersi via via di ciascun destino, la paura, gli incubi, l'omicidio, le prove-"tribolazioni", la reclusione, la prossimità con gli Altri Mondi, le illuminazioni e, continuamente intercalate tra questi, le istillazioni meticolose di sapienza e di dottrina - si compongono intorno al lettore che vi si addentra in una struttura indubbiamente ''rituale''. <ref name=Dostoevskij/> (p. VII)
*Il ''Bildungsroman'' [...] richiede tutt'altri criteri [...] innanzitutto, del ''tempo'' in cui l'esperienza del protagonista si viene articolando. Si impone pazienza [...]. I ''fratelli Karamazov'' corre invece, corre irresistibilmente, senza lasciar riprender fiato, tra personalità ''complete come maschere''. E in realtà correva - correva da decenni, in una vera e propria brama e ossessione iniziatica che risaliva a ''Delitto e castigo''. <ref name=Dostoevskij/> (p. VIII)
*Un non-romanzo, con non-personaggi che intrattengono tra loro inverosimilissimi non-dialoghi, e si muovono in un non-spazio e in un non-tempo, conducendo là dove la tragedia classica conduce. Il prodotto più esteticamente sfrondato di quel manierismo dostoevskiano che, proprio come nel manierismo vero trasforma lo spessore muscolare delle figure in tortuosi paesaggi muscolari. [...] Proprio come in [[Michelangelo]], anche nei ''Karamàzov'' i "non-" tendono al "super-", superpersonaggi, superdialoghi. <ref name=Dostoevskij/> (pp. XIII-XIV)
*Durante la maggior parte degli episodi dei ''Karamàzov'' il tempo è fermo, non scorre, ''si estende'' soltanto in profondità, proprio come la luce intensa a teatro sui corpi degli attori che essa plasma, cilindro di essere nel buio del non-essere. E anche quando questa luce diviene la struggente luminosità radente dei "raggi obliqui del sole al tramonto" [...] non è l'ora che conta: soltanto l'effetto-luce, lo squarcio improvviso d'un paesaggio dell'anima, sempre immobile anch'esso da decenni. ''Nulla'' scorre, in quel tempo, davvero. La durata dei ''Karamàzov'' procede per blocchi d'eternità. <ref name=Dostoevskij/> (pp. XV-XVI)
*Non soggetti di vicende e oggetti di narrazione, [...] al contrario, soggetti [...] e oggetti, ''vittime'' tutti (tutti i protagonisti) di quelle vicende che da essi stessi irrompono. <ref name=Dostoevskij/> (p. XVII)
*Non sono personaggi, sono forze della natura. [...] Guardate con che ansia e urgenza ciascuno di essi si sforza, ogni volta, in ogni episodio, di rivelarsi tutt'intero, di arrivare assolutamente e il più in fretta possibile in fondo a sé medesimo e di trascinarsi fuori "nel modo più brutale", "una volta per tutte". <ref name=Dostoevskij/> (p. XVII)
*Ma il fatto che con la sua fatale astuzia e ferocia Fëdor Pávlovič non soltanto tormenti i figli, ma ingombri, aggredisca il loro territorio ponendosi in concorrenza con loro in ogni loro aspirazione non è, ripeto, che il centro di questo mondo karamazoviano; ed è un centro irradiante. Vi è intorno un pullulare di adulti, "padri" e "madri" crudelmente, fatalmente ingombranti e pericolosi. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXI)
*"Padri" e "figli" sono due eserciti in armi, separati l'uno dall'altro, nei ''Karamàzov'', da una diversità insanabile e di nuovo naturalissima: i padri, gli adulti, ''sono come sono'', son l'esistente massiccio, sono degli "io" arroccati in sé e pronti a difendersi per l'eternità nel mondo che era il ''loro'' dominio. I giovani al contrario bramano tutti, qui, di liberarsi del proprio "io" - del proprio grado di partecipazione a quell'esistente, del ruolo che in esso è toccato loro, del loro ''compromesso'' con il mondo dei padri - e soffocano in esso, sono infelici e ansiosi. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXIV-XXV)
*Le ansie dei protagonisi giovani, i loro "movimenti" di rivolta e di distruzione-autodistruzione: liberarsi dal mondo dei padri per liberarsi dall'"io" a esso adeguatosi, in esso insudiciatosi, e liberando un "io" nuovo che in quel mondo può trovar posto soltanto negandolo, ribaltandolo. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXV)
*La storia di Dmítrij, nota bene, è ben riconoscibile agli occhi di un russo dell'Ottocento come una ripetizione del modello agiografico di san'Efrem Siro, veneratissimo: lui pure giovane burrascoso, lui pure incarcerato per un delitto non commesso, e poi "illuminato" d'un tratto, e sceso lui pure nelle "miniere" dell'uomo, per ridestarne il cuore. ''Ma bisogna che il padre muoia, prima'': bisogna che il campo interiore si sgombri. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXVI)
*Alëša è anche lui, naturalmente, il germe di un santo: di quell'"Alekséj uomo di Dio" - santo anch'esso celeberrimo per la ''pietas'' ortodossa [...] - che proprio come Alëša fu, secondo il Martirologio, dapprima novizio, poi lasciò il monastero, tornò alla casa paterna e da lì partì verso "il mondo": ma, di nuovo, bisogna che ''si possa'' partire, prima, e che nulla trattenga più, nessun debito o credito, nessun suggello all'involucro dell'"io" vecchio, ''poiché nulla nell'"io" vecchio e nel mondo vecchio dei padri può essere d'alcun aiuto al nuovo che preme''. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXVI)
*E infine Ivàn, il motore di tutto, e l'"irrisolto", che cerca e brama soluzioni, ''per liberarsi da quel suo "io" tutto quanto interrogativo al presente'': ma ciò che è irrisolto e brama soluzioni in lui altro non è che la sua somiglianza col padre, che soltanto ''dopo la morte di Fëdor Pávlovič'' diverrà, e gli diverrà, evidente, per bocca del fratello-assassino:<br/> "Voi siete come Fëdor Pávlovič, di tutti i suoi figli siete quello che gli assomiglia di più, avete un'anima uguale alla sua."<br/> E in tale eredità, nel compito di combattere e riscattare in sé medesimo l'anima, "la forza dei Karamàzov", Ivàn finirà per perdere la ragione. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXVII)
*Il lettore viene coordinato appunto a quella prospettiva [...], a guardare ogni cosa così come i giovani protagonisit la guardano, entro lo spasmo di quella loro iniziazione, ''tutta quanta interiore, notate bene!'' tutta parlata, potentemente raffigurata su schermi interiori della creatività dell'angoscia. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXIX)
*Sarebbe altresì possibile andare oltre [...] in questa assimilazione a [[Jung]]: riconducendo [...] tutti e quattro i fratelli alle quattro parti dell'intero individuale, Ivàn il pensiero, Dmítrij la sensazione, Alëša il sentimento, Smerdjakçv l'intuizione. <ref name=Dostoevskij/> (p. XXXVIII)
*Non è nemmeno un romanzo, d'altronde. Oh, certamente lo è a vederlo da fuori, la superficie è romanzesca e il nome romanzo gli sta benissimo. Ma visto da dentro, da quella profondità e intensità in cui il lettore viene a trovarsi leggendo, questo romanzo non è un romanzo, è un sistema composito, e strano, pieno di "insospettabili ripostigli, bugigattoli svariati e insospettate scale" proprio come la casa in cui [[Fedor Dostoevskij|Dostoevskij]] lo ambientò. <ref name=Dostoevskij/>
*''Non occorre più'', qui, che il lettore intuisca: deve stare a sentire, e riuscire a reggere, questo è il suo compito. <ref name=Dostoevskij/>
*Quel mondo era ed è bensì sgombro di per sé, dinanzi ai due giovani ingenui sopravvissuti Alëša e Dmítrij, illuminato da sempre da una luce limpida e impietosa, alla quale si può socchiudere gli occhi, per cominciare a vivervi, soltanto sotto il segno pesantissimo della ''colpa'': e non la colpa giovanile del desiderio di parricidio [...]. Bensì una colpa infinita [...] la colpa universale di cui parlano Dmítrij rinato e Alëša alla fine: una volontà di soffrire e pagare "per tutto gli uomini", per sempre, verso una meta invisibile e sconosciuta. <ref name=Dostoevskij/> (pp. XLI-XLII)
 
==''Introduzione'' a [[Lev Tolstoj]]==