Laurence Olivier: differenze tra le versioni

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*In fondo al cuore so soltanto di non capire bene quando recito e quando no o meglio, per essere ancora più sincero, quando mento e quando no. Perché, cosa è la recitazione se non menzogna e cosa è la buona recitazione se non menzogna convincente? (p. 15)
*Credo, col senno di poi, che quell’alone di superiorità conferitomi dal mio ruolo di solista unito alle mie notevoli opportunità di recitare, mi avessero dato un po’ un’aria da sbruffone a cui i ruoli femminili che interpretavo avevano aggiunto anche un tocco di femminilità. Tutto questo è un modo educato per spiegare il fatto che ero noto a tutti come “quello stronzetto di un invertito di Olivier”. (p. 24)
*Ero una femminuccia. Meritavo l’ostracismo. Avevo subito più di una normale dose di angherie a All Saints. Ero lì da circa un anno quando arrivò un nuovo insegnante. Era un eroe che tornava a casa dalla guerra ferito e con una psicosi traumatica da bombardamento, un genere di cui tutti gli studenti di quei tempi avevano molta paura. […] A volte si esprimeva in tendenze sadiche. Quest’uomo fissò il suo interesse su di me (si diceva che io cantassi come un angelo e che ero quel tanto carino per scatenare il peggio in certi uomini). Arrivò a scuola armato di una cinghia di foggia particolare. L’oggetto delle sue esibizioni con la cinghia ero naturalmente io. (p. 25)
*I prefetti più anziani avevano sofferto loro stessi così a lungo da non veder l’ora di mettere in pratica la più alta espressione della loro autorità. La forza che stava dietro alle loro frustate era così piena di sadismo che ho sofferto dolori che non credevo possibili. Non sono mai stato uno portato a stringere i denti e in queste situazioni ero incapace di comportarmi da uomo: le mie reazioni erano quindi inusuali, rumorose, stridule. Gli altri ragazzi, quando sapevano che toccava a me, si radunavano davanti alla sesta classe per non perdersi il divertimento provocato dalle mie lamentose prestazioni. Ci misi quasi due anni per imparare a sopportare il dolore come ci si aspettava. (p. 25)
*Poi si piegò verso di me e mi disse: “La tua debolezza sta… qui” e mise la punta del mignolo sulla mia fronte, alla base dell’attaccatura dei capelli e la fece scivolare giù per fermarsi nel profondo incavo tra le sopracciglia e l’inizio del naso. Capii immediatamente la saggezza di quella dichiarazione. C’era ovviamene un po’ di timidezza nel mio sguardo. Capii questa cosa così a fondo che oscurò i miei primi anni da attore. Non sto imputando a Elsie Fogerty la responsabilità di un blocco psicologico, non è così, sapevo che era vero, che c’era una debolezza lì. Durò finché scoprii il protettivo riparo di un naso finto e provavo un piacevole senso di relax e di sollievo quando una parte richiedeva l’aggiunta di qualche posticcio alla mia faccia, il che mi permetteva di nascondermi dietro un personaggio estraneo e mi evitava una cosa imbarazzante come la rappresentazione di se stessi. (p. 29)