Laurence Olivier: differenze tra le versioni

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*In fondo al cuore so soltanto di non capire bene quando recito e quando no o meglio, per essere ancora più sincero, quando mento e quando no. Perché, cosa è la recitazione se non menzogna e cosa è la buona recitazione se non menzogna convincente? (p. 15)
*I prefetti più anziani avevano sofferto loro stessi così a lungo da non veder l’ora di mettere in pratica la più alta espressione della loro autorità. La forza che stava dietro alle loro frustate era così piena di sadismo che ho sofferto dolori che non credevo possibili. Non sono mai stato uno portato a stringere i denti e in queste situazioni ero incapace di comportarmi da uomo: le mie reazioni erano quindi inusuali, rumorose, stridule. Gli altri ragazzi, quando sapevano che toccava a me, si radunavano davanti alla sesta classe per non perdersi il divertimento provocato dalle mie lamentose prestazioni. Ci misi quasi due anni per imparare a sopportare il dolore come ci si aspettava. (p. 25)
*Poi si piegò verso di me e mi disse: “La tua debolezza sta… qui” e mise la punta del mignolo sulla mia fronte, alla base dell’attaccatura dei capelli e la fece scivolare giù per fermarsi nel profondo incavo tra le sopracciglia e l’inizio del naso. Capii immediatamente la saggezza di quella dichiarazione. C’era ovviamene un po’ di timidezza nel mio sguardo. Capii questa cosa così a fondo che oscurò i miei primi anni da attore. Non sto imputando a Elsie Fogerty la responsabilità di un blocco psicologico, non è così, sapevo che era vero, che c’era una debolezza lì. Durò finché scoprii il protettivo riparo di un naso finto e provavo un piacevole senso di relax e di sollievo quando una parte richiedeva l’aggiunta di qualche posticcio alla mia faccia, il che mi permetteva di nascondermi dietro un personaggio estraneo e mi evitava una cosa imbarazzante come la rappresentazione di se stessi. (p. 29)
*Spesso la gente mi chiede quali sono i miei hobbies, cosa faccio per divertimento. Non riesco mai a pensare a nulla. Mi prendono dei grossi sensi di colpa all"idea di fare una vacanza; e mi sento molto a disagio se sto facendo qualcosa che non sia il mio lavoro. Il lavoro è vita per me, è l"unica ragione di vita; e in più ho anche la fede quasi religiosa che essere utili è tutto. Mi capita qualche volta di trovarmi a contatto con gente triste che mi chiede: "Per cosa vivo, quale è la mia ragione di vita?". La risposta "Lavoro" non va sempre bene. E allora rispondo prontamente, anche se un po" sentenziosamente: "Essere utili; se tu soltanto potessi credere in quest"ideale, se tutti potessero, allora nessuno, dalla regina alla più umile donna di fatica, avrebbe mai la sensazione di vivere per nulla". (p. 31)