Alexandre Koyré: differenze tra le versioni

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*Vediamo bene: il movimento si emancipa; il Cosmo si disgrega; lo spazio si geometrizza. Siamo sulla strada che conduce al principio d'inerzia. Tuttavia non ci siamo ancora, ne siamo in realtà ancora molto distanti. Cosí distanti, che per arrivarci dovremo abbandonare per strada e la nozione del movimento-effetto e la distinzione dei moti in «naturali»» e «violenti» e la nozione e il nome stesso di «luogo». Strada lunga e difficile, che lo stesso Galileo non ha interamente percorsa. (cap. I, ''All'alba della scienza classica'', 4, p. 69)
*Testo curioso, che fa vedere bene come – senza dubbio sotto l'influenza di Copernico – si operi, nello spirito di [[Galileo Galilei|Galileo]], una graduale trasformazione. Il centro dell'Universo è sempre là, ma la sfera del Cosmo si espande, diviene indefinita, perde, per cosí dire, la sua circonferenza. Basterebbe che divenisse infinita perché, nello spazio ormai omogeneo, sparisse ogni traccia dell'antico Cosmo, perché svanissero ogni «luogo» e ogni direzione privilegiati. Basterebbe certo, ma quale sforzo intellettuale richiede questo «basterebbe»! Galileo non compie l'ultimo decisivo passo. Solo Bruno – che non era né astronomo, né fisico – ha potuto compierlo.<ref>Cogliamo l'occasione per insistere su questo caso — invero assai raro — in cui la filosofia ha sopravanzato la scienza (''nda'').</ref> (cap. I, 4, p. 71)
*Un piano assolutamente liscio, una sfera assolutamente sferica, ambedue assolutamente incorruttibili: non sono cose che si trovano nella realtà fisica. Non sono concetti che si deducono dall'esperienza: sono invece concetti che si presuppone possa avere la realtà fisica. Perciò non c'è da meravigliarsi che la realtà dell'«esperienza» non possa concordare interamente con la [[deduzione]] Ciononostante la ragione sta dalla parte di- quest'ultima. La deduzione e i suoi concetti «fittizi» ci permettono di comprendere e di spiegare la natura, di porle delle domande, d'interpretarne le sue risposte. Di fronte all'empirismo astrattivo, Galileo rivendica il superiore diritto del matematismo platonico. (cap. I, 4, p. 74)
*Lo storico-agiografo ha, senza dubbio, ragione. Quello che interessa alla posterità è effettivamente la vittoria, la scoperta, l'invenzione. Tuttavia, per lo storico del pensiero scientifico, almeno per lo storico filosofo, l'insuccesso, l'errore, tanto piú l'errore di un Galileo, di un [[René Descartes|Descartes]], sono qualche volta preziosi quanto i loro, successi. Lo sono anzi, forse, di piú. Sono, infatti, assai istruttivi. Ci permettono – talvolta – di cogliere e di comprendere il cammino segreto del loro pensiero. (cap. II, ''La legge della caduta dei corpi (Descartes e Galileo)'', introduzione, p. 81)
*Ciò che Galileo cerca non è una formula in qualche modo descrittiva, formula che gli permetterebbe di calcolare le grandezze osservabili e misurabili del fenomeno della caduta – i suoi «accidenti» – velocità, spazio percorso dal mobile, ecc. Ma proprio il contrario; Galileo è ''già'' in possesso di una tale formula [...]. Egli cerca tuttavia qualcosa di piú; ciò che cerca non è il legame logico o matematico che unisce queste due proposizioni – questo legame evidentemente lo conosce – ma un «principio» fondamentale ed evidente che permetta di dedurre o, come dice Galileo, di «dimostrare» gli «accidenti» del moto della caduta. Si potrebbe concludere, estendendo a Galileo il detto di un fisico moderno, che egli non ha alcuna fiducia in un'osservazione non verificata teoricamente. L'epistemologia galileiana non è positivista. È archimedea. (cap. II, 1, p. 83)
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*Se tutto è possibile, non c'è allora niente che sia vero. E se niente è sicuro, solo l'[[errore]] è certo. (p. 41)
*Il cosmo scomparso<br>Le [[Idea|idee]] oscure e confuse, che fanno nascere il [[dubbio]] e che sono, a loro volta, distrutte dal dubbio, sono quelle che ci pervengono dalla tradizione e dai sensi. Per quanto riguarda quelle chiare, quelle vere, esse sono innanzi tutto le ''idee matematiche''. E la [[ragione]] è ugualmente la ragione matematica. Poiché solamente nelle matematiche la mente umana è giunta all'evidenza e alla certezza ed è riuscita a costruire una [[scienza]], una vera disciplina in cui progredisce con [[ordine]] e chiarezza dalle cose più semplice alle costruzioni più complicate. Quindi il metodo cartesiano, questo metodo che Cartesio ci dice di aver creato prendendo il meglio delle "tre arti o scienze che egli da giovane aveva un po' studiato": la Logica, L'Analisi dei Geometri e l'Algebra, si fonderà essenzialmente sulla matematica. (p. 59)
 
==''Scritti su Spinoza e l'averroismo''==
*{{NDR|Sulla non congenialità, alla cultura espressa dai Romani, di alcune aree del sapere (matematica, scienza, filosofia)}} È curioso constatare — e insisto si questo punto. perché mi sembra di importanza capitale, e perché, pur essendo noto, non mi sembra abbastanza sottolineato — è curioso constatare l'indifferenza pressoché totale del mondo romano per la scienza e la filosofia. Il cittadino romano si interessa alle cose pratiche. L'[[agricoltura]], l'[[architettura]], l'[[arte della guerra]], la [[politica]], il [[diritto]], la [[morale]].</br>Ma si cerchi in tutta la letteratura latina classica un'opera scientifica degna di questo nome, e non si troverà; un'opera filosofica, ancor meno. Si troverà Plinio, cioè un insieme di aneddoti e racconti da comare; [[Seneca]], cioè un'esposizione coscienziosa della morale e della fisica stoiche, adattate — il che significa semplificate — ad uso del pubblico romano; [[Marco Tullio Cicerone|Cicerone]], cioè i tentativi filosofici di un letterato dilettante; o [[Macrobio]], un manuale di scuola elementare.</br></br>È veramente stupefacente, se vi si presta attenzione, che i Romani, non producendo nulla essi stessi, non abbiano nemmeno mai sentito il bisogno di procurarsi delle traduzioni. In effetti, al di fuori di due o tre dialoghi platonici (tra cui il ''Timeo'') tradotti da Cicerone — trasduzione di cui non ci è pervenuto nulla — né [[Platone]], né [[Aristotele]], né [[Euclide]], né [[Archimede]] sono mai stati tradotti in latino. Almeno nell'età classica. Perché se è vero che l'''Organon'' di Aristotele e le ''Enneadi'' di [[Plotino]] lo furono, è parimenti vero che in fin dei conti ciò avvenne molto tardi e per opera di [[Cristianesimo|cristiani]] (pp. 63-64).
 
==Note==
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*Alexandre Koyré, ''Studi galileiani'' (''Etudes galiléennes'', 1966), traduzione di Maurizio Torrini, Einaudi, Torino, 1979.
*Alexandre Koyré, ''Lezioni su Cartesio'' (''Entretiens sur Descartes''), traduzione di Hélene Tenda e Paolo Guidera, a cura di Paolo Guidera, Tranchida Editori, Milano, 1990.
*Alexandre Koyré, ''Scritti su [[Spinoza]] e l'[[Averroè|averroismo]], a cura di Alessandro Cavazzini, traduzione di, Edizioni Ghibli, 2002 ISBN 9788888363332
 
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