Roberto Calasso: differenze tra le versioni

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*L'[[Io]] si sovrappone al Sé così perfettamente che può nasconderlo. Di fatto, è ciò che avvenne durante il corso della filosofia occidentale. Che non si preoccupò mai di dare un nome al Sé, ma scelse sempre come osservatorio l'Io, anche se così lo chiamò solo in epoca tarda, con [[Immanuel Kant|Kant]]. Prima, era l'indubitabile soggetto, la prima persona del ''Cogito'' di [[Cartesio|Descartes]]. Per Sanatkumāra, invece, l'Io è l'ostacolo più temibile, quello che può precludere per sempre l'accesso al Sé. (p. 167)
*Il ''Ṛgveda'', dopo tutto, può anche essere letto come l'esempio più grandioso — e anche convincente – di [[poesia]] simbolista; mentre le [[Upaniṣad]], lo riconobbe subito [[Arthur Schopenhauer| Schopenhauer]], possono essere lette come un primo testo metafisico. Ma i [[Brāhmaṇa]] non erano né poesia né filosofia. (p. 189)
*La scuola dello [[Śukla Yajurveda|Yajur Veda Bianco]] si differenzia da quella dello [[Kṛṣṇa Yajurveda|Yajur Veda Nero]] innanzitutto perché separa nettamente i ''mantra'' – o «formule » in versi, spesso ricavate dal ''Ṛgveda'' – dalla parte di commento al rituale, che è in prosa. Non sappiamo né possiamo ricostruire quali motivi fossero all'origine di quella divaricazione. (p. 192)
*È indubbio comunque che nelle Upaniṣad si assiste a un tendenziale deprezzamento della [[conoscenza]] attraverso le opere e a una parallela esaltazione di una conoscenza scissa da ogni atto. È la prima gnosi, modello di ogni altra. Ma sarebbe ingenuo e incongruo pensare che agli autori dei Brahmana tale distinzione non fosse già chiara, quasi fossero superstiziosi artigiani liturgici, ignari di metafisica. (p. 196)
*Dire che una certa erba «è la forza» suona davvero più incomprensibile delle parole di [[Gesù]] all'ultima cena, quando dice che un pezzo di pane è il suo corpo e il vino è il suo sangue? Dire «Prajapati è il pensiero» è più incongruo che parlare di un verbo che si è fatto carne? È plausibile che «il nostro modo di pensare» sia così arido e squallido da non includere in sé, almeno in una qualche misura, il ''pensare per immagini''? (p. 202)
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*Erede di Rudra in un altro eone, Śiva mantiene un rapporto stretto con l'antilope. Usa sedersi su una pelle di antilope nera. A parte il [[serpente]], l'antilope è l'unico animale che Śiva tenga a contatto con il suo corpo. Nei bronzi la si incontra spesso fra le dita della mano del dio, pronta a lanciarsi nella corsa. Quando Śiva vaga nella foresta come mendico, spesso un'antilope gli si avvicina e alza la testa verso di lui, che le offre foglie con la mano sinistra, mentre la destra regge una ciotola che è il teschio di Brahmā. (p. 379)
*[[Dioniso]] travolgeva nell'ebbrezza e usava il sarcasmo verso chiunque gli si opponesse. Non proclamò mai di sostenere la parola vera. Era come se la parola si mescolasse al suo corteo fra Menadi e Satiri, ma senza troppo farsi notare. Dioniso era intensità allo stato puro, che attraversava e scardinava ogni ostacolo, senza soffermarsi sulla parola, vera o falsa che fosse. (p. 412)
*A fronte di questo, lo ''[[Śatapatha Brāhmaṇa]]'' offre l'immagine di un mondo costituito ''soltanto'' dal religioso e apparentemente privo di curiosità e di interesse per tutto ciò che tale non sia. Come lo intendono i Brāhmaṇa,, il religioso pervade ogni minimo gesto – e invade anche tutto ciò che è involontario e accidentale. Per i ritualisti vedici, un mondo che non avesse tali caratteri sarebbe apparso insensato, esattamente come per i lettori di oggi sono così spesso apparsi i loro testi. L'incompatibilità fra le due visioni è totale. (p. 419)
*Applicare la nozione occidentale di «[[simbolo]]» al mondo vedico condurrebbe rapidamente a una condizione di generale insignificanza per eccesso di significati. E di fatto non esiste in sanscrito una parola che corrisponda con precisione a «simbolo» (p. 419-420)
*Gli [[dèi]] abitano là dove sempre hanno abitato. Ma sulla terra si sono perdute certe indicazioni che si possedevano su quei luoghi. O non si sa più ritrovarle in vecchi fogli abbandonati e dispersi. (421)
*La [[religione]] del nostro tempo, all'interno della quale anche la [[cristianesimo|cristianità]] o l'[[Islam]] sono immense ''enclaves'', è la religione della società. Suo araldo non del tutto consapevole fu [[Emile Durkheim]], che cristallizzò la dottrina in un libro del 1912, ''Les Formes élémentaires de la vie religieuse''. Dove, più che delle forme elementari della vita religiosa, si trattava della trasformazione della socie-tàsocietà in religione di se stessa. Ma il fatto che la religione della società non voglia definirsi e riconoscersi come tale appartiene alla sua natura. Il suo modo di agire è assimilabile a quello della religione di un tempo: pervasivo, onnipresente, come l'aria che si respira. (p. 440-441)
*Ci si può chiedere, alla fine: quale rilevanza può avere ciò che si legge nel Veda, visto che non ha più alcun legame con quella che è la vita corrente nella società secolare? Nessuna, si direbbe. Ma anche la [[meccanica quantistica]] non corrisponde in alcun modo alla vita corrente, mentre la fisica newtoniana ha finito per diventare il modello stesso del senso comune. E forse per questo si dovrà pensare che la meccanica quanti-sticaquantistica sia irrilevante? Il Veda potrebbe essere assimilabile a una microfisica della mente più che ad altre categorie (pensiero arcaico o magico o selvaggio o altre formule del genere, ormai inerti). (p. 450)
*Un [[mito]] è una biforcazione in un ramo di un immenso albero. Per capirlo occorre avere una qualche percezione dell'intero albero e di un alto numero delle biforcazioni che vi si celano. Quell'albero non c'è più da lungo tempo, asce ben affilate l'hanno abbattuto. (p. 450-451)