L'Anti-Edipo: differenze tra le versioni

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*La questione del padre è come quella di Dio: nata dall'astrazione, essa suppone rotto il legame tra [[uomo]] e [[natura]], il legame tra uomo e [[mondo]], cosicché l'uomo deve essere prodotto come uomo da qualcosa di esterno alla natura e all'uomo. Su questo punto Nietzsche fa un'osservazione del tutto simile a quelle di [[Marx]] o di Engels: «Scoppiamo dal ridere al solo vedere fianco a fianco l'uomo e il mondo, separati dalla sublime pretesa della paroletta ''e''»<ref>{{NDR|Nota presente nel medesimo testo da cui è tratta la citazione}} <small>F. NIETZSCHE</small>, ''La gaia scienza'', V, § 346 (e <small>MARX</small> ''Economia e filosofia'' [trad. franc., vol. II, pp. 88-90]).</ref> (p. 119)
*La questione di E.Balzas, perché il [[capitalismo]] non sia nato in Cina nel <small>XIII</small> secolo, quando tutte le condizioni scientifiche e tecniche sembravano tuttavia poste, trova risposta nel fatto che lo Stato chiudeva le miniere non appena le riserve di metallo erano giudicate sufficienti, e conservava un monopolio o controllo stretto del commercio (il commerciante come funzionario)<ref>{{NDR|Ibid. nota precedente}} E. Balzas, ''La bureaucratie céleste'', Paris 1968, cap. <small>XIII</small>: ''La nascita del capitalismo in Cina'' (soprattutto lo Stato e il danaro, e l'impossibilità per i mercanti di conquistare un'autonomia, pp. 229-30). A proposito delle formazionii imperiali fondate sul controllo del commercio più che sui grandi lavori per esempio nell'Africa nera cfr. le osservazioni di <small>GODELIER</small> e di <small>SURET-CANALE</small>, ''Sur le mode de production asiatique'', Paris 1969, pp. 87-88, 120-22.</ref>. Il ruolo del [[danaro]] nel commercio dipende meno dal commercio stesso che dal suo controllo da parte dello [[Stato]]. Il rapporto del commercio col danaro è sintetico e non analitico. E, fondamentale, il danaro è indissociabile non dal commercio, ma dall'imposta come mantenimento dell'apparato di Stato. Basandosi sulle ricerche di Will, M. Foucault mostra come, in certe tirannidi greche, l'imposta sugli aristocratici e la distribuzione di danaro ai poveri erano un mezzo per ricondurre il danaro ai ricchi, per allargare singolarmente il regime dei debiti, per renderlo ancora più forte, prevenendo e reprimendo ogni riterritorializzazione possibile attraverso i dati economici del problema agrario<ref>{{NDR|Ibid. nota precedente}} <small>M. FOUCAULT</small>, ''La volonté de savoir'', corso tenuto al Collège de France, 1971.</ref>. (Come se i Greci avessero scoperto a loro modo ciò che gli Americani ritroveranno dopo il New Deal: che pesanti imposte di Stato sono propizie ai buoni affari). Insomma, il danaro, la circolazione del danaro, ''è il modo per rendere il debito infinito''. Ed ecco quel che celano i due atti di Stato: la residenza o territorialità di Stato inaugura il grande movimento di deterritorializzazione che subordina tutte le filiazioni primitive alla macchina dispotica (problema agrario); l'abolizione dei debiti o la loro trasformazione contabile preparano un servizio di Stato interminabile che subordina a sé tutte le alleanze primitive (problema del debito). Il creditore infinito, il credito infinito ha sostituito i blocchi di debito mobili e finiti. C'è sempre un monoteismo all'orizzonte del dispotismo: il debito diventa ''debito d'esistenza'', debito dell'esistenza dei soggetti stessi. Viene il momento in cui il creditore non ha ancora prestato mentre il debitore non cessa di rendere, poiché rendere è un dovere, mentre prestare è una facoltà, come nella canzone di [[Lewis Carroll]], la lunga canzone del debito infinito:<br/><small>Un uomo può certo richiedere il dovuto,<br/>ma quando si tratta di un prestito,<br/>può allora scegliere<br/>il tempo che più gli aggrada</small><ref>{{NDR|Ibid.}} <small>L.CARROL</small>, ''Silvia e Bruno'', cap.<small>XI</small></ref>. (pp. 221-222-223)
* [...] la [[fuga]] schizofrenica stessa non consiste solo nell'allontanarsi dal sociale, nel vivere ai margini: essa fa fuggire il sociale attraverso la molteplicità dei fori che lo rodono e lo trapassano, sempre in presa diretta su di esso, sempre in atto di disporre ovunque le cariche molecolari che faranno saltare quel che deve saltare, cadere quel che deve cadere, assicurando in ogni punto la conversione della schizofrenia come processo in forza effettivamente rivoluzionaria. Cos'è infatti lo schizo, se non prima di tutto colui che può sopportare «tutto questo», il danaro, la borsa, le forze di morte, diceva [[Nižinskij]], valori, morali, patrie, religioni e certezze private? Tra lo schizo e il rivoluzionario c'è esattamente la differenza che passa tra colui che fugge e colui che sa far fuggire ciò che egli fugge, spaccando un tubo immondo, facendo passare un diluvio, liberando un flusso, incrociando una schiza. Lo schizo non è rivoluzionario, ma il processo schizofrenico (di cui lo schizo non è che l'interruzione, o la continuazione nel vuoto) è il potenziale della rivoluzione. (pp. 390-391)
 
==Bibliografia==