Lorenzo Giustiniani: differenze tra le versioni

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*'''Scalea''' città in Calabria Citra, in diocesi di ''Cassano'' lontana da ''Cosenza'' circa miglia 60. È situata su un sasso di figura triangolare pochi passi distante dal mare e gli edifizi si innalzano l'un dopo l'altro a segno che si vuole detto Scalea per la forma quasi di una scala, che deesi ascendere dal basso all'alto d'essa città. Si vuole di fondazione antica, ma niuno monumento l'è rimasto da cui potersi avere l'epoca certa della sua fondazione, anche perché tutte le scritture si smarrirono in tempo che soffrì una pestilenza. Nulladimeno se ne congettura l'antichità dalle sue mura, dagli acquedotti, da piccioli edifizi a volte trovati poco lungi dalle sue suddivisate sue mura, da vari sepolcri e da un tempietto con un idolo di marmo, il quale scioccamente 50 anni fa fu fatto disfare dall'arciprete Lombardi. Alcuni si avvisano che fusse sorta nel territorio di tarlano, del cui seno parla Strabone (1) e propriamente dove oggi si vede la detta città vi fosse stato il tempietto del personificato Dracon. Leggendosi poi presso il Malaterra (2) che Ruggieri Scaleam reversus est, statimque in eodemvespere apud castrum, quod Narencium dicitur, milites suos castra Guiscardi praedatum mittens, provinciam spoliavit, corregens alcuni Narencium in Narancium come l'Aceti al Barrio, ma non mi dispiace che la vera lezione fosse Tanlanium o Tanlanum e corrottamente, nei tempi di mezzo, Tanlacium. E infatti l'eruditissimo Ciro Saverio Minervino coll'altro suo sapere delle morti lingue, si avvisò che in una moneta fattagli vedere e delineare dal Signor Birunste del peso di grana 268, e che ora può vedersi incisa nella tav. II in fondo della sua faticatissima lettera sull'etimologia del monte Volture vi si legge Tarlano, che crede essere la presente Scalea o che fosse stata edificata nel suo territorio, la quale distrutta poi diede origine alla Scalea presente; poiché i sibariti dopo la distruzione ch'ebbero dai Crotoniati andarono ad abitare in diversi luoghi ; e sebbene Erodoto facesse menzione di due luoghi soltanto come principali, cioè uno detto Laos e l'altro Scidros, la cui situazione non è stata al certo così nota come quella del primo, che corrisponde al presente Laino, pur tuttavolta Sidros e Tarlano ebbero ad essere in un sol luogo, e di essi furono o dove e propriamente Scalea o nel suo territorio, dimostrandolo assai bene con una maschia e singolare erudizione. L'aria che gode è molto temperata e sono assicurato che i cittadini sono accorti a non far stagnare le acque nel loro territorio che lasciano i fiumi che ci corrono quando si gonfiano a cagione delle piogge. Il suo orizzonte è vasto e delizioso. Questa città tiene 4 porte, una è detta porta di mare, la seconda è detta porta del ponte, da un antico ponte, in cui vi si vede un pezzo di artiglieria; la terza porta di Cimalonga, in cui vi è una torre che serve oggi da carcere e la quarta porta del forte. Nella sommità si vede il suo antico castello quasi diruto coi suoi baluardi e fossi e vi è un pezzo di artiglieria che i vecchi del paese si ricordano di esservene stati molti. Pochi passi lungi dalla porta di mare, verso settentrione, alla sommità di una deliziosa collina, si vede un'antichissima torre detta di giuda, che dovea servire di specola al suddetto castello. Tiene un comodo e sicuro porto per le barche da carico e sul fianco sinistro evvi una torre edificata in una penisoletta ai tempi di Carlo V con tre pezzi di cannoni, alla cui custodia son alcuni soldati invalidi con il loro alfiere. Al lato destro di esso porto vi sono poi molti scogli che si estendono per più di tre miglia e sono vi delle grotte da passo in passo, e tra queste una è chiamata la grotta della pecora nella quale sono annidati molti colombi selvaggi. Il suo territorio confina verso oriente con quello di Papasidero, dal nord con quello di Aieta e da sud con quello di Abatemarco ed Ursomarzo. Al lato destro della città vi passa un ruscelletto che quasi lambisce la porta di mare. Tiene un lago detto il Pantano, di quasi un miglio di circuito e finalmente nei confini a distanza di tre miglia tiene un altro fiume chiamato della Scalea, che ha la sua origine da Laino, il quale raccoglie molte acque in tempo di pioggia, e sebbene ricorre molto profitto per la coltura di esso territorio, irrigandone dei cittadini i loro fondi, pure alle volte vi cagiona del danno colle sue inondazioni. Produce in abbondanza grano, grano d'india, legumi ed ogni sorta di frutti ed ottimi vini. I melloni di pane e di acqua vi riescono assai buoni ed anche le cipolle che è in gran capo di commercio con i paesi vicini. I fichi e le uve zibibi sono pure eccellenti che poi secche ne fanno un gran smaltimento con i Genovesi, Livornesi ed anche cogli inglesi, venendoli a caricare o nel porto di S. Nicola, territorio di essa città o sull'isola Dino di Aieta. Il suddetto Pantano e il fiume, detto di Scalea, danno delle anguille e dei cefali agli abitatori; ma il mare è quello che somministra loro gran quantità di pesci e frutti di mare che raccogliono dalla suddivisata scogliera. Non vi sono boschi, essendo stati resi tutti a coltura e soltanto vicino al fiume vi è una selva detta "I salici" che gli fa fronte, trattenendo le acque che non sboccassero nei territori in tempo di abbondanti piogge. Vi è caccia di lepri, volpi e lupi, specialmente in luogo che chiamano Vannefora, e non vi mancano gli uccelli soprattutto nel suddivisato lago in tempo d'inverno e per le campagne delle beccacce, starne, ecc… Vi è una regia dogana col suo cassiere, libro all'incontro, credenziere e vice-segretario. Tiene un casale detto San Nicola Arcella, La cui popolazione unita a quella della nostra Scalea ascende a tremila individui. Un tempo aveva anche per suo casale la terra di S. Domenica, che trovasene ora separata da circa un secolo. La tassa dei fuochi del 1532 fu di 167, del 1545 di 181, del 1561 di 165, del1535 di 196 del 1648 di 160, del 1669 di 56. Il possessore è D. Vincenzo Maria Spinelli col titolo di principe. È in cuore dei giornalisti di Venezia volere quella terra, patria del celebre Gian Vincenzo Gravina e come crede il Giannelli natio di Catanzaro, essendo egli nato a Roggiano.
* [[Cittanova|Casalnuovo]] terra in "Calabria ultra", in diocesi di "Mileto", distante da "Catanzaro" miglia 70 incirca. Questa terra è situata in una pianura, e i fenomeni, che vi accaddero nel dì 5 febbraio del 1783 cagionati dal terremoto, son incredibili. Presso a poco quanto vi era tutto rimase in un fiato abbattuto. Il territorio si sconvolse, perdé l'antica faccia della sua superficie, e tralle perdite memorande fu quella della principessa di "Gerace", la quale trovasi a diporto in questo feudo. Io rimando il leggitore alla storia del "Sarcone"<ref>Storia del terremoto delle Calabrie, pagg. 185 seg. [''nda''].</ref> chi voglia avesse di compiangere le disavventure di quella infelice popolazione. Il territorio è atto a tutte le buone produzioni. Vi allignano bene i gelsi, e vi si fa qualche industria de' bachi da seta. Si possiede dalla famiglia "Grimaldi" de' principi di Gerace. (tomo III, p. 212)
* [[Canolo]] casale di Geraci in "Calabria ulteriore", situato tra gli "Appennini", distante dalla detta città di "Geraci" miglia 5. Egli è abitato da circa 1570 individui, i quali oltre dell'agricoltura fan pure industria de' bachi da seta. Nel 1783 non andò esente dalle rovine, che recò il terremoto a tutta la "Calabria ulteriore". Vedi "Geraci". (tomo III, p. 86)
 
==Note==