Giovanni Battista Niccolini: differenze tra le versioni

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''Discorso sulla tragedia greca''
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*A [[Francesco Torti]], a Bevagna.<br />Chiarissimo signore. — Ho letto con piacere e meraviglia il suo ottimo libro che ha per titolo ''Dante rivendicato''. Godo che in tanta viltà letteraria si trovi un ardito amico del vero e che per amor di esso non tema nimicizie famose. È gran tempo che in [[Italia]] non si è stampata opera con franchezza così generosa, e piena di quell'evidenza di raziocinio che ho ammirato nella sua. (Firenze, 20 luglio 1825, da ''Ricordi della vita e delle opere di G.-B. Niccolini'', Volume 2, a cura di Atto Vannucci, Felice Le Monnier, Firenze 1866)
==''Discorso sulla tragedia greca''==
===[[Incipit]]===
L'''Agamennone'' e la ''Beatrice Cenci'', tragedie, la prima delle quali io tradussi da [[Eschilo]], e la seconda imitai dallo [[Percy Bysshe Shelley|Shelley]], offrono sulla scena due misfatti atrocissimi: la morte d'un marito operata dalla mano d'una perfida e feroce consorte, e quella d'un padre che compri assassini uccidono per ordine d'una moglie e d'una figlia, risoluta, se questi non le ubbidiscono, a commettere ella stessa l'orribil delitto. Il primo di questi drammi è scritto dal più antico dei tragici greci, il secondo da uno dei più recenti poeti d'[[Inghilterra]], del quale mal dir si potrebbe se la sua patria si glorii, o si vergogni. Lo [[Percy Bysshe Shelley|Shelley]] ebbe per certo un ingegno possente ; e della greca tragedia, in particolar modo dei Cori, studiosissimo, fu preso di così grande amore per Eschilo, ch' egli tentò alla sua pazza maniera un ''Prometeo liberato'', o a dir meglio, un empio miscuglio di splendide immagini e di astrazioni metafisiche, figurando l'uomo sciolto da ogni credenza religiosa, mercè della vittoria di Demogorgone su Giove, cioè del Panteismo il quale trionfa della Fede.
===Citazioni===
*L'orribile dottrina dello [[Baruch Spinoza|Spinosa]] che occulta giace pur troppo dentro le opere di alcuni metafisici, i quali per ipocrisia, non per giusto zelo, si levano a riprendere la filosofia del secolo passato, assai men della loro pericolosa, pose meritamente in. odio lo [[Percy Bysshe Shelley|Shelley]] ai suoi concittadini. Quantunque nella ''Beatrice Cenci'' {{NDR|di Percy Bysshe Shelley}} non veggasi per la natura dell'argomento traccia alcuna di così mostruoso errore, i critici [[Scozia|scozzesi]] diedero di questa tragedia un giudizio molto severo, cominciando dall'osservare ch'era difficile il tenerne discorso senza lasciarsi vincere dall'ammirazione, o dal disgusto. Notarono che questo subbietto, schifoso di sua natura, era pur schifosissimamente trattato, e i personaggi del dramma non istavano ravvolti in una tenebrosa atmosfera di tragica necessità, ma bensì di passioni vilmente crudeli, e fuor di natura; e come il carattere di Beatrice, benchè nobilmente ideato, non era posto cogli altri in un contrasto splendido, e tale che l'anima affaticata da tanti orrori vi si potesse riposare. (p. XI)
*Perchè l'imitazione del male supera sempre l'esempio, come,per il contrario, quella del bene è sempre inferiore, figli ancor più turpi di questa dottrina sono ''i Misteri di Parigi'', i quali non si arrossi di qualificare per libro morale, benché l'autore di esso, [[Eugène Sue|Eugenio Sue]], fosse dai Francesi chiamato a gran ragione il [[Cristoforo Colombo]] dei bordelli. L'eroine del suo romanzo sono ''Rigolette'' e ''Fleur de Marie'', leggiadrissime sartine di sedici anni e senza genitori, le quali coll'esercizio dell'arte loro reggono sottilmente la vita, e non hanno in fondo della loro borsa altro capitale che dugento franchi. La prima vive in una soffitta lietamente, né dimentica di [[Dio]], ch'ella prega ogni giorno. La seconda, a cui rincresce la fatica, frequenta i passeggi e le taverne, dissipa il suo meschino peculio, e si risolve a far mercimonio del suo corpo pei suggerimenti d'una infame creatura. Ella si lascia persuadere così presto, che non può chiamarsi sedotta: non amore, non sensualità, ma solamente la promessa che prezzo di vergogna avrà ozio e un poco di pane, la conducono nell'orrido e crudelissimo lupanare dove si ruba, si assassina, si avvelena, e non paghi di vivere di delitto, si scherza pur col delitto. (p. XV-XVI)
*Vero è che fu scritto non esservi mostro il quale dall'[[arte]] esser non possa nobilitato, ma però a condizione che un autore dai freni di essa regger si lasci: allora l'ubbidirci è per lui una necessità gentile: il bello solo e il sublime possiamo avventurarci di cercare al di là dell'arte, ed in così nobile tentativo è gloria lo smarrirsi, e anche il cadere. (p. XVI)
*Ai narcotici, per usar le parole della medicina, successero gli stimolanti: andiamo col [[romanzo]] e coi [[Dramma|drammi]] abituando il popolo a tutti gli orrori... (p. XVII)
*Sia il modello della tragedia l'''Edipo'' di [[Sofocle]]. (p. XX)
{{NDR|Giovanni Battista Niccolini, ''Discorso sulla tragedia greca'', in ''Opere'', Felice Le Monnier, Firenze 1858}}
 
==[[Incipit]] di ''Arnaldo da Brescia''==
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Dritti il fero Innocenzo appien vi tolse,
E compì l'opra d'Ildebrando audace.</poem>
 
 
==Note==