Giuseppe Rensi: differenze tra le versioni

filosofo e avvocato italiano
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Giuseppe Rensi (1871 – 1941), filosofo e avvocato italiano.

La mia filosofia

Citazioni

  • Ogni pensatore sincero, che sappia vedere in fondo di sé e voglia confessare ciò che vi accade, constata che tutte le visuali o i sistemi filosofici gli oscillerebbero dinanzi nella loro «verità», nella «verità» che ha ciascuno, se egli, con una decisione «volontaristica», non tenesse ferme dinanzi alla mente soltanto, o in via predominante, le ragioni di uno, di quello che ha abbracciato e che gli è caro, se non volesse veder quelle sole, ossia se non volesse crederci.

Come, adunque, esistono le morali, ma non la morale, così esistono le giustizie, ma non la giustizia. E ciò vuol dire che, come la morale, così la giustizia non c’è.

Lettere spirituali

  • Più si acquista la consuetudine del pensiero filosofico, e più si tocca con mano che il filosofo è artista. Non già uno che sa, ma uno che guarda. Non uno che sa: che conosce tutte le soluzioni che si sono date ad un problema, che è al corrente della «fase attuale» della logica o dell’estetica o della dottrina della conoscenza, e delle varie tappe che vi hanno messo capo. Ma uno che guarda: che, cioè, come l’artista, ha una certa sua visione personale delle cose e le esprime nel modo in cui le vede. Così, egli fa, al pari del poeta, nei trattati i suoi poemi, nei saggi o nei «frammenti» le sue liriche.
  • Il ragazzo che giuoca considera il giuoco come una cosa seria e vi dedica una seria attività (tanto che se ne accalora e spesso litiga e scambia busse) sempre nell’istesso tempo avendo presente l’avvertimento che non si tratta d’una realtà sostanziale e che il mondo del giuoco non è il mondo della vita vera.

Questa è la soluzione. Bisogna per tutta la vita aver qualcosa di analogo a quel che è giuoco per i ragazzi: qualcosa che ci interessi come una cosa seria a cui dedicare una seria attività, e che nell’istesso tempo ci lasci l’avvertimento che non è nulla di essenzialmente importante.

  • Giovani e vecchi hanno un’intuizione opposta del mondo e della società. Per quelli c’è progresso, e la loro azione è efficacissima per intensificarlo, anzi per risolvere definitivamente, una buona volta, questa volta, i mali lasciati indietro dalle passate generazioni. Ai secondi appare che i mali continuano ad esservi e a persistere tali e quali, che è vano ogni sforzo per allontanarli, che il progresso è inesistente, che la storia è «aliter sed eam» [«In modo diverso, ma la stessa»].

Chi ha ragione? La risposta è data dall’argomento con cui Galileo mostrava la superiorità del sistema copernicano sul tolemaico: che, cioè, tutti quelli che cominciano a pensare nel primo modo, finiscono, costrettivi dall’ammaestramento dell’esperienza, col pensare nel secondo; ma nessuno dal secondo torna al primo.

  • Che cos’è che uccide? Che cos’è che conduce alla morte? La vita, con la sua lima assidua: dolori e piaceri, preoccupazioni e gioie, desideri e soddisfazione di essi, pensiero e giuoco: sensazioni, fatti di coscienza. Vuoi essere immortale? Rinuncia alla vita.
  • L’uomo onesto si trattiene dall’usare influenza intellettuale o morale sui giovani, anche quando, essendo investito d’autorità o avendo altrimenti ascendente su di essi, lo potrebbe. Poiché, mediante l’esercizio di tale influenza essi si infiammano per le sue idee, le abbracciano come vere, le credono. Con ciò egli sa di compiere un falso, poiché egli scorge bene, ciò che essi ancora non scorgono, quanto in quelle sue idee vi sia d’incerto.

Poiché sa quanto la verità delle sue idee sia dubbia, chi esercita sui giovani influenza intellettuale od etica è un falsario e un immorale.

  • La sincerità è la più raffinata ipocrisia. Per poter efficacemente far credere una cosa bisogna che cominciamo a crederla noi. Il persuadercene sinceramente è una ruse della natura o della ragione o dell’istinto, che serve a crearci un’arma poderosa per far trionfare le nostre affermazioni.
  • Chi si trova improvvisamente caduto in qualche basso fondo dell’esistenza che gli era sino allora affatto sconosciuto […] resta come scisso in due uomini uno dei quali soffre la cosa, l’altro vi assiste. […]. Io, la mia reale persona, è chi soffre o chi assiste? Si può farla essere, a scelta, l’uno o l’altro.
  • Credere che la propria vita spirituale possa totalmente e permanentemente fondersi con quella di un altro (amico, amante, moglie, figlio) è una delle grande illusioni da cui alla fine ci si risveglia. Il nostro vero e proprio fondo è incomunicabile, impartecipabile. Anche di fronte alle persone che più amiamo l’ego più intimo non ha finestre. Né esso di dà totalmente all’altro, né l’altro si dà ad esso, lo penetra, vi si confonde. Non è soltanto vero che l’uomo muore sempre solo, perché nessuno lo accompagna, né lo può accompagnare, nella morte. Ma vero è altresì che, anche nella vita, l’uomo è in ciò che ha di più suo sempre solo con sé stesso, sempre solo.

Ciascuno ha un mondo esclusivamente suo. Quello che è per davvero il suo mondo è suo soltanto.

  • Il nostro fondamentale egoismo, il fatto che noi amiamo più noi stessi che qualunque altra persona, padre, madre, figli, il fatto che l’universo è per ognuno di noi il nostro io e che in fondo quando c’è questo c’è tutto e ci basta, è mostrato dalla rarità del suicidio per la morte di persone «amate». Ci consoliamo della morte di tutti, tanto è vero che continuiamo a vivere. Se veramente non ci consolassimo, se non amassimo ancora di più noi stessi, alla morte delle persone amate non vorremmo più vivere. Ama solo chi attesta il suo amore non volendo sopravvivere – chi si suicida.
  • Prova del nostro fondamentale egoismo è la seguente. Osserva bene, perché, veramente e soprattutto, ti colpisca, ti abbatta, ti renda triste, la notizia della morte d’una persona conoscente o amica. Se guardi attentamente fino in fondo di te stesso, scoprirai che per tre quarti l’impressione dolorosa che ne ricevi, ciò che «ti serra il cuore», deriva dal fatto che quella morte ti ridà ancora una volta, in un momento forse in cui non ci pensavi, il ricordo ed il monito che morirai anche tu.

Ciò che principalmente ti affligge nella morte altrui è la rinnovata visione della certezza della tua.

  • Pare impossibile come, soltanto da ciò che egli stesso scorge ora quali errori e sciocchezze molte azioni che ha compiuto nel passato e che allora gli sembravano belle e brillanti, non s’accorga che molte azioni che fa nel presente, e che gli sembrano belle e brillanti come allora gli sembravano quelle, sono altrettanto errori e sciocchezze quanto adesso risulta a lui stesso che quelle lo erano.
  • La vecchiaia non è altro che il crescere del bisogno del riposo, e la morte il suo diventare continuo, permanente, assoluto.
  • Il riposo completo su di una sedia a sdraio, quando tutte le membra e tutte le fibre sono così completamente rilasciate che non si sentono più, è una cosa eterea. Il corpo diviene d’una leggerezza che confina con l’impressione della sua scomparsa, e non resta veramente altra sensazione, e anche solo appena vaga e accennata, che quella puntuale dell’esistenza senza rapporti col prima, col poi, col fuori. Sarebbe questa una premonizione della dolcezza della morte?
  • A che ti struggi nel compulsare volumi e nell’immergerti in dotte ricerche per cercar di venire in chiaro circa quale veramente ne sia l’elemento differenziale? La rivelazione stoica, la rivelazione buddhista, la rivelazione cristiana dicono assolutamente, nella loro essenza, la stessa cosa: rinuncia al mondo, regno dello spirito – mondo: vanità, insussistenza, apparenza, male; vera realtà: spirito, valori spirituali.

Trovar differenza tra le tre rivelazioni – mentre questo ne è il punto centrale comune – è sottigliezza da erudito o puntigliosità partigiana.

  • Il sentimento religioso veramente grande zampilla dalla distruzione dell’egoismo e solo quando questo è interamente distrutto. E quando lo è? Quando è diventata intima e profonda la convinzione che l’io è nulla. […] Ci sono molte persone che hai viste e conosciute anni or sono e poi hai perduto di vista. Saltuariamente ti vengono in mente. Chi sono? Dove sono? Che cosa fanno? Sono ancora vive o morte? Fantasmi, ombre, come dicevano Omero, Eschilo, Pindaro. – Ma appunto tale sei tu, nella mente degli altri; cioè nella realtà, non falsificata dal tuo soggettivismo, bensì obbiettiva.

Che cos’è il tuo io? Quel gruppo di interessi e moventi di cui è riempito. Interessi economici, ricchezza, coltivazione, scienza, arti, fama. Sopravviene la morte. Tutto ciò, ossia tutto il tuo io, sfuma, come la fiamma d’una candela soffiata, come una bolla di sapone bucata. L’illusione dell’immortalità personale deriva dal fatto che ciò che è sembra impossibile possa venire a non essere.

Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte

  • “L’essere”, questo è ciò che senz’altro è per sé stesso il male e il delitto. Esso non può reggersi se non mediante l’uccisione, la distruzione, l’incorporazione di altro essere, cioè di altri esseri (il nutrirsi, il nascere). Giusto è perciò morire, la morte è la giusta e meritata pena inflitta a quel delitto che è l’essere e nello stesso tempo è l’uscita da esso, cioè, la liberazione e la purgazione da esso. il vero e unico Σοτήρ, la vera e unica Σοτήρία.

Scheggie, pagine di un diario intimo

  • Dio – non ti vedo e ti nego. Ma tu sei forse qui presente in me, in guisa più intima e vivificatrice che non in molti di quelli che ti affermano. Poiché sei Eterna Verità, sei proprio il mio impulso ad abbracciare energicamente e ad affermare a costo d’ogni detrimento mondano ciò che scorgo come verità […]. Nella mia negazione di Te sei Tu stesso che ti affermi.

Bibliografia

  • Giuseppe Rensi, Autobiografia intellettuale; La mia filosofia; Testamento filosofico, Milano, Dall'Oglio 1989.
  • Giuseppe Rensi, Lettere spirituali, Milano, Adelphi 1987.
  • Giuseppe Rensi, Frammenti d’una filosofia dell’errore e del dolore, del male e della morte, Modena, Guanda 1937.
  • Giuseppe Rensi, Scheggie, pagine di un diario intimo, Bibl. Ed., Rieti 1930.

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