Joseph de Maistre: differenze tra le versioni

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*Dove esiste un [[altare]] là esiste anche una [[religione]].
*Tutti i [[dolore|dolori]] sono punizioni, e ogni punizione è inflitta in eguale misura per [[amore]] e per [[giustizia]].
*L’ammirazioneL'ammirazione sfrenata con cui troppe persone circondano Voltaire è il segno infallibile d’und'un animo corrotto. Che non ci s’illudas'illuda: se qualcuno, percorrendo la propria biblioteca, si sente attratto verso le ''Œuvres de Ferney'', Dio non lo ama affatto. Spesso ci si è presi gioco dell’autoritàdell'autorità ecclesiastica che condanna i libri ''in odium auctoris''; in verità niente è più giusto di ciò: ''rifiutate gli onori a colui che abusa del suo genio''. Se questa legge fosse severamente osservata, si vedrebbero rapidamente sparire i libri avvelenati; ma poiché non dipende da noi promulgarla, guardiamoci almeno dal piombare nell’eccessonell'eccesso ben più reprensibile dell’esaltaredell'esaltare senza misura scrittori colpevoli, e, tra questi, soprattutto Voltaire. Egli ha pronunciato contro se stesso, senza accorgersene, una sentenza terribile, affermando che ''uno spirito corrotto non fu mai sublime''. Non c'è nulla di più vero, giacché Voltaire, con i suoi cento volumi, non fu mai più che ''spiritoso''; faccio eccezione delle tragedie, dove la natura dell’operadell'opera lo costrinse ad esprimere dei nobili sentimenti estranei al suo carattere; ma anche sul palco, su cui trionfa, egli non riesce ad ingannare gli spettatori più sagaci. Nei suoi pezzi migliori, egli rassomiglia ai suoi due grandi rivali, come il più abile ipocrita rassomiglia ad un santo. Non intendendo certo contestare la sua bravura drammatica, mi mantengo perciò sulla prima osservazione: quando Voltaire parla per sé, non è che ''spiritoso''; niente può infiammarlo, nemmeno la battaglia di Fontenoy. ''Egli è piacevole'', si dice: lo dico anch’ioanch'io, ma intendendo questo giudizio come una critica. Del resto, non riesco a sopportare lo sproposito di definirlo ''universale''. Certamente, vedo delle belle eccezioni a questa universalità. Egli è negato per l’odel'ode: e bisogna forse stupirsene? l’empietàl'empietà che lo pervade ha ucciso in lui la fiamma divina dell’entusiasmodell'entusiasmo. Egli è ancora negato fino a toccare il ridicolo nel dramma lirico, le sue orecchie sono state assolutamente estranee alla bellezza armonica come i suoi occhi a quella dell’artedell'arte. Nei generi che parrebbero i più affini al suo talento naturale, egli tentenna: è mediocre, freddo, e spesso (chi lo crederebbe?) volgare e grossolano nella commedia; il malvagio infatti non è mai comico. Per la stessa ragione, egli non sa scrivere un epigramma; la più piccola goccia del suo fiele non può coprire meno di cento versi. Se prova [a scrivere] una satira, scivola nel pamphlet; è insopportabile nella storia, nonostante la sua arte, l’eleganzal'eleganza e la grazia del suo stile; nessuna qualità poteva rimpiazzare quelle di cui era privo: la comprensione della storia, la serietà, la buona fede e l’onestàl'onestà. Quanto al suo poema ''epico'', non posso parlarne: ché per giudicare un libro, bisogna averlo letto, e per leggerlo bisogna essere sveglio. Una monotonia soporifera spira sulla maggior parte dei suoi scritti, che non hanno che due soggetti, la Bibbia o i suoi nemici: egli o bestemmia o insulta. La sua piacevolezza così vantata è tuttavia lungi dall’esseredall'essere irreprensibile: il riso ch’essach'essa eccita non è per nulla normale; è una smorfia. Non avete mai pensato che l’anatemal'anatema divino era scritto sul suo stesso viso? Dopo tanti anni occorre farne ancora esperienza. Andate a contemplare la sua statua all’Ermitageall'Ermitage: mai io la guardo senza compiacermi ch’essach'essa non è stata affatto trasmessa da qualche scalpello erede dei Greci, che vi avrebbe forse conferito un certo ideale di bellezza. Qui al contrario tutto è al naturale. C’èC'è tanta verità in questo volto, come ve ne sarebbe in una maschera mortuaria. Osservate questo viso spregevole che il pudore non fece mai arrossire, quei due crateri spenti ove sembrano ancora ardere l’odiol'odio e la lascivia. Quella bocca. – Dirò forse male, ma non è per mia colpa. – Quel ''rictus'' (''ghigno'') orribile, che corre da un orecchio all’altroall'altro, e quelle labbra strette dalla crudele malizia come una molla tesa per lanciare bestemmie o sarcasmi. – Non parlatemi di quest’uomoquest'uomo, non posso sostenerne l’ideal'idea. Ah! quanto male ci ha fatto! Rassomigliante a quegl’insettiquegl'insetti, flagello dei giardini, che indirizzano i propri morsi alla radice delle piante più preziose, Voltaire, con il suo ''pungiglione'', non cessa d’infilzared'infilzare le due radici della società, le donne e i giovani; egli li imbeve dei suoi veleni che trasmette così da una generazione all’altraall'altra. Invano, i suoi sciocchi ammiratori ci assordano di discorsi altisonanti su dove egli avrebbe parlato superiormente delle cose le più venerabili. Questi ciechi volontari non vedono che in tal modo portano a compimento la condanna di questo colpevole scrittore. Se Fénelon, con la stessa penna con la quale dipinse le gioie dell’Elisiodell'Elisio, avesse scritto ''Il Principe'', sarebbe mille volte più vile e colpevole di Machiavelli. Il grande crimine di Voltaire è l’abusol'abuso del talento e il meretricio intenzionale d’und'un genio creato per servire Dio e la virtù. Non potrà addurre, come per tanti altri, la giovinezza, la sconsideratezza, il traviamento delle passioni, e infine, la triste debolezza della nostra natura. Nulla lo assolve: la sua corruzione e d’und'un genere che non appartiene che a lui solo; essa si radica fino alle fibre più profonde del suo cuore e si fortifica di tutte le forze del suo intelletto. Sempre alleata al sacrilegio, essa sfida Dio nel pervertire gli uomini. Con un furore senza eguali, questo insolente bestemmiatore giunge a dichiararsi il nemico personale del Salvatore degli uomini; egli osa dal fondo del suo nulla donarGli un nome ridicolo, e quella legge così adorabile che l’Uomol'Uomo-Dio porta sulla terra, la chiama ''l’infamel'infame''. Abbandonato da Dio che punisce ritirandosi, egli non conobbe più freni. Altri cinici confidarono nella virtù, Voltaire confida nel vizio. Egli si tuffa nel fango, si rotola in esso e vi si abbevera; egli consegna la sua immaginazione alla furia dell’infernodell'inferno, che gli presta tutte le forze per spingersi fino ai limiti estremi del male. Egli inventa dei prodigi, dei mostri che fanno impallidire. Parigi lo incorona, Sodoma l’avrebbel'avrebbe bandito. Profanatore sfrontato della lingua universale e dei suoi più grandi nomi. [...] Quando vedo quello ch’eglich'egli avrebbe potuto fare e quello che invece ha fatto, i suoi eccezionali talenti non m’inspiranom'inspirano più che una specie di ira divina che non ha nome. Sospeso tra l’ammirazionel'ammirazione e l’orrorel'orrore, qualche volta vorrei fargli innalzare una statua... dalle mani del boia. (''Les Soirées de Saint-Pétersbourg'', in ''Œuvres complètes'', Lyon, 1891<sup>3</sup>, tomo IV, pp. 206-210).
 
==Note==