Suso Cecchi D'Amico: differenze tra le versioni

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*Come me, [[Mario Monicelli|Monicelli]] è nato a Roma per caso, e ciò esaspera la nostra rivendicazione alla toscanità. I nostri padri si conoscevano bene, facevano lo stesso mestiere, hanno vissuto la stessa epoca. I suoi fratelli, come i miei, hanno razzolato nell'ambiente letterario e affini. Saranno forse queste cose che abbiamo in comune a facilitare l'intesa fra noi. Sta di fatto che sono poche le persone al mondo con cui mi trovo così a mio agio, e con lui mi accompagnerei in qualsiasi circostanza, fino alla convivenza. [...] Non vorrei però che [...] ti facessi l'idea di un Monicelli dal carattere rassicurante, perché tra i miei amici presenti e passati Monicelli è senza dubbio il più segreto e il più pericoloso, capace di gesti clamorosi rigorosamente in contrasto con i suoi interessi, se non addirittura con i suoi sentimenti. È il re dell' ''understatement'', che io chiamo pudore, e nessun regista-autore al mondo ne ha mai avuto tanto nel proprio lavoro. Monicelli si farebbe impiccare piuttosto che parlare di «ispirazione», di «anima», di «creatività». Non direbbe «noi artisti» neppure sotto tortura, né farebbe mai un capriccio per ottenere il dovuto da un produzione, ma lo farà per ottenere l'inutile, e tutto a suo danno. (p. 78)
*Nelle sedute di sceneggiatura con [[Ennio Flaiano|Flaiano]], tra chiacchiere, critiche e divagazioni sul soggetto, c'era da ricavare materia per condire dieci film; e sarebbe andato tutto perduto se fosse toccato a lui di cavarne il succo. Ho fatto centinaia di riunioni di sceneggiatura con Flaiano [...] ma di pagine scritte da lui ne ho viste ben poche. Lo scrittore vero non può compiacersi nel lavoro di sceneggiatura, che deve trovare il modo di tradurre in immagini e battute dei concetti, oltre che dei fatti. [...] Flaiano scrisse parecchi soggettini, ma di sceneggiature sue ne conosco due sole: quella del ''Melampo'' di cui voleva fare la regia, e che non è bella, e quella tratta dalla ''Recherche'' di Proust per René Clement, un compito del quale era molto scontento. (p. 79)
*Ho fatto anche delle sceneggiature da sola, e direi con onore. Ma il ricordo di quei lavori non mi è caro come quello delle lunghe sedute con i colleghi, con le confidenze, le complicità, lo scambio di letture, il perdersi e il ritrovarsi, il momento del «dividemose i pezzi», che è quello in cui - esaurite le discussioni sul soggetto e messa faticosamente a punto la scaletta - si passa alla stesura di un trattamento, cui è affidato il compito di affascinare produttore e attori, ma che va scritto in modo da fornire tutti gli elementi necessari al direttore di produzione per fare, al centesimo, il preventivo dei costi. (p. 80)
*Nasce, durante le riunioni di sceneggiatura, anche un curioso rapporto con i familiari dei colleghi, che impariamo a conoscere intimamente nei discorsi fra noi, per cui ci troviamo a partecipare alle vicende tristi e liete delle loro vite con una passione che non trova poi riscontro nel rapporto diretto. (pp. 80-81)
*[[Cesare Zavattini|Zavattini]] aveva il fisico massiccio di un contadino, con mani bellissime, lunghe, agili, che muoveva in continuazione a commento del discorso. Aveva un buffo modo di parlare, e occhi azzurri e sporgenti, con i quali io sostenevo che ipnotizzasse i produttori. (p. 82)