Gigi Garanzini: differenze tra le versioni

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*DIECIMILA franchi svizzeri. Più altri mille e cinquecento di «spese procedurali», come per una contravvenzione un pò salata. Fanno grosso modo 7000 euro, cosi' impara il signor Rivaldo a prendere in giro il mondo. Lui per la verità, di euro, ne incassa un po' piu' di sette milioni l'anno, royalties escluse, sicchè la multa corrisponde grosso modo a un quarto di quel che gli entra in tasca in ciascun giorno dell'anno, vacanze comprese. Ma quel che contava era il principio, e la Fifa una volta di più si è mostrata implacabile applicatrice del suo motto: debole con i forti, forte con i deboli. Non che il turco, Hakan Unsal, non meritasse per quel gesto volgare il secondo cartellino: non si prende a pallonate un avversario, nemmeno dopo che l'arbitro gli ha regalato un rigore inverecondo. Ma il punto è che questo doveva essere, solennemente annunciato proprio dalla Fifa, il mondiale della lotta alla simulazione e alla violenza.
 
*Questo non consolera' certo la Juventus, ma almeno la lotteria dell'Old Trafford e' servita a sfatare la leggenda secondo cui, con l'eccezione degli ultimi Europei, sono gli italiani i piu' tremebondi dal dischetto nelle occasioni che contano. Gli errori di Donadoni e Serena nella semifinale di Napoli '90, quelli di Baresi, Massaro e Baggio a Pasadena '94, di Albertini e Di Biagio a Parigi '98: lapidi scolpite nel muro del pianto del calcio italiano. Stavolta no. [...] E poi che significa autogestione, come fa Lippi a non decidere lui la lista? La decide, la decide. Ma solo scremando chi se la sente, chi non ha il muscolo che tira o l'occhio sbarrato dalla fatica e dalla tensione. E Carletto allora che ha tolto due rigoristi come Pirlo e Rui Costa quando ormai era chiaro che nessuno avrebbe fatto gol prima dell'alba? E' il fascino - perverso - delle lotterie, a Roma nel '96 non aveva avuto paura Jugovic, a Manchester non l'ha avuta Shevchenko. E chissa' se l'ha avuta Inzaghi, e davvero se l'e' svignata come Falcao diciannove anni fa con il Liverpool, o se e' stato Ancelotti a tenerlo lontano da un dischetto dove fa danni piu' della grandine. Il piatto destro di Platini a Tokyo isso' la Juventus sul tetto del mondo. Due anni dopo contro il Real nemmeno riusci' a batterlo il suo rigore. Lo ha ricordato giusto l'altra sera, aggiungendo perfido: «Vidi solo la buca sul dischetto che avevano fatto Brio e Favero».
 
*Alla premiata ditta Bergamo-Pairetto «viene da sorridere». Beati loro, e la loro divertita serenita'. Erano altrettanto sereni quando Paolo Casarin raccontò che la cosiddetta via italiana al fuorigioco era in realtà un vicolo cieco: poi, quando l'Uefa confermoò parola per parola la tesi di Casarin, il buonumore non tardò a dissolversi. [...] Ma resta la violenza dei toni usati dal neo-presidente Facchetti, il pesante rincaro dell'ex-presidente Moratti, la totale, imbarazzante, divergenza di vedute sulla prestazione dell'arbitro Pellegrino: «Eccellente» per il designatore Bergamo, «Inaccettabile» per il presidente Facchetti. Dal secondo anello di San Siro, in tutta serenita', la sensazione era che, nonostante il gol iniziale di Adriano, la Juventus avesse cercato sin dall'avvio la finale con maggior convinzione e ben diverse risorse di gioco. E che più di Pellegrino ne avesse combinate, a monte, Zaccheroni. Dal primo anello la visibilita' dev'essere migliore.
 
*Erano indiani, per davvero. O figli della rivoluzione del '68, o profeti di una dottrina che avrebbe cambiato per sempre il modo di fare calcio. E il loro capo-tribù si chiamava Rinus Michels. Il suo calcio totale che trasformava gli spazi in praterie era fatto di un possesso-palla esasperato, di accelerazioni improvvise, di pressione multipla sul'avversario col pallone, di fuorigioco alto quando non altissimo. Ma soprattutto era interpretato non piu' da specialisti dei vari ruoli, bensì da giocatori eclettici capaci di attaccare e difendere, di giocare senza palla prima ancora che con la palla, di muoversi con disinvoltura in ogni zona del campo stando sempre corti, compatti, ossessivi. Una nuvola biancorossa, quella dell'Ajax, una nuvola arancione, quella dell'Olanda. Con portieri che, una volta aboliti i ruoli specifici, si erano riciclati da liberi, interpretando la parte in maniera piu' spregiudicata. L'emicrania non venne soltanto a Maldini. Venne agli inglesi la prima volta che affrontarono l'Olanda di Michels, le punte scattavano sul risaputo lancio dalle retrovie e la nuvola arancione li aveva messi in offside non di tre, ma di dieci-quindici metri. Venne al sommo Brera, cui quei satanassi mandarono all'aria tutti i parametri atletici e tattici sino a li' elaborati: e Brera se ne vendicò ribattezzandoli «cicale» dopo la finale mondiale persa nel '74 dai tedeschi padroni di casa. É vero, nell'albo d'oro ci sono le formiche, che ad ogni buon conto si chiamavano [[Franz Beckenbauer|Beckenbauer]], Muller, Overath, Breitner, Mayer. Ma nell'archivio delle emozioni indimenticabili restano loro, restano quei 16 tocchi consecutivi olandesi dal fischio d'avvio al fallo di Vogts su Cruyff in area germanica. Il primo tedesco a toccare il pallone in quella finale fu Muller, riavviando il gioco dal disco di centrocampo dopo il rigore di Neeskens. Il generale Michels si prese la rivincita quattordici anni più tardi quando, sullo stesso campo, l'Olympiastadion di Monaco, decorò la bacheca olandese dell'unico trofeo conquistato sin qui, l'Europeo '88, firmato da una storica prodezza di Van Basten. Ma fu un indennizzo tardivo e mai fino in fondo assaporato. Perchè pur nel rispetto di una matrice di massima, quella non era più la sua Olanda-totale. Tant'è vero che il suo fuoriclasse, Van Basten, era pienamente classificabile, in quanto prototipo del centravanti moderno: a differenza del fenomeno d'un tempo, Cruyff, che segnava sì a mitraglia ma che nessuno ha mai saputo battezzare se non come uomo-ovunque.