E. M. Forster: differenze tra le versioni

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*Abituata al riserbo di Londra, non arrivava a rendersi conto che l'India, pur sembrando così misteriosa, ne è del tutto priva, e che quindi le convenzioni sono molto più forti. (cap. V, p. 54)
*Perché riusciva a ricordare le persone che non amava? Gli si presentavano sempre così vivide, mentre quella fotografia, più la guardava e meno la vedeva. E così lei gli era sempre sfuggita dal giorno che l'aveva accompagnata alla sua tomba. Aveva capito che lei si sarebbe dileguata dalle sue mani e dai suoi occhi, ma pensava che sarebbe sopravvissuta nella sua memoria, senza rendersi conto che proprio il fatto d'averli amati rende i morti ancora più irreali, e che quanto più appassionatamente li invochiamo, tanto più loro si allontanano. (cap. VI, p. 61)
*Quel malumore bisbetico dileguò, ma il peso nell'anima rimase: raramente i temporali riaschiaranoraschiarano l'aria. (cap. VIII, p. 90)
*La maggior parte della vita è cosí monotona che non c'è proprio niente da dirne, e i libri e i discorsi che la descrivono come una cosa interessante sono costretti a calcare la mano, nella speranza di giustificare la propria esistenza. Dentro il suo bozzolo di lavoro o di obblighi sociali, lo spirito umano per lo piú sonnecchia, notando la differenza tra piacere e dolore, ma niente affatto vigile come vogliamo far credere. Nella giornata piú intensa ci sono momenti in cui non succede nulla, e anche se continuiamo a esclamare «Mi diverto» o «Sono atterrito», non siamo sinceri. «Fintanto che provo qualcosa, è gioia, è orrore» — in realtà non c'è nulla piú di questo, e un organismo perfettamente adattato conserverebbe il silenzio. (cap. XIV, p. 146)
*No, non aveva nessuna voglia di rifare quell'esperienza. Piú ci pensava, piú le riusciva sgradevole e paurosa. Le ripugnava molto di piú adesso che sul momento. La folla e il lezzo poteva dimenticarli, ma l'eco stava cominciando a minare la sua presa sulla vita in chi sa quale indescrivibile modo. Sorprendendola in un momento di stanchezza, era riuscita a mormorare: «Il patetico, la pietà, il coraggio... esistono, ma sono identici, tale e quale come il sudiciume. Tutto esiste, niente ha valore». Se in quel luogo una avesse proferito un'infamia, o citato versi sublimi, il commento sarebbe stato lo stesso: «uu-buum». Se uno avesse parlato con le lingue degli angeli o chiesto grazia per tutta l'infelicità e l'incomprensione del mondo, passata presente e futura, per tutti i patimenti che gli uomini debbono subire, quale che sia la loro opinione o condizione, e comunque si ingegnino di evitarli o dissimularli – il risultato sarebbe stato lo stesso, il serpente sarebbe disceso per poi tornare al soffitto. I diavoli appartengono al nord, e su di loro si possono scrivere poesie; ma nessuno avrebbe potuto rendere romantico il Marabar, per. ché spogliava l'infinito e l'eterno della loro immensità, l'unico attributo capace di adattarli al genere umano. (cap. XIV, p. 163)
*L'Anglo-India l'aveva legata veramente mani e piedi, e forse era la punizione che si meritava per aver tentato di assumere un atteggiamento personale. (cap. XXII, p. 218)
*Aveva raggiunto quello stadio in cui si vedono al tempo stesso l'orrore e la piccolezza dell'universo – quel crepuscolo della doppia visione in cui sono avvolte tante persone anziane. Se questo mondo non è di nostro gusto, ebbene, in ogni caso c'è il Cielo, l'Inferno, il Nulla – l'una o l'altra di queste grandi cose, quell'immenso fondale di stelle, fuochi, atmosfera azzurra o nera. Ogni sforzo eroico, e tutto ciò che è conosciuto come arte, suppone che ci sia quel fondale, proprio come ogni sforzo pratico, quando il mondo è di nostro gusto, suppone che il mondo sia Ritto. Ma nel crepuscolo della doppia visione si deposita una mota spirituale per cui non si possono trovare parole altisoiiantialtisonanti; non possiamo né agire né astenerci dall'azione, non possiamo né ignorare né rispettare l'Infinito. La signora Moore era sempre stata incline alla rassegnazione. Non appena sbacratasbarcata in India tutto le era parso bello, e quando aveva visto l'acqua viva nella vasca lustrale della moschea, o il Gange, o la luna, presa nello scialle della notte con tutte le stelle, le era 1)arso di aver raggiunto una meta bella e anche facile. Essere tutt'uno con l'universo! Cosí dignitoso e semplice. Ma prima bisognava sempre compiere qualche piccolo dovere, sempre i irar fuori dal mazzo che si assottigliava una nuova carta da mettere al suo posto, e mentre lei si affannava tanto, il Marabar aveva battuto il suo gong. (cap. XXIII, p. 229)
*Quantunque avesse ancora quell'aria severa da maestra, non esaminava più la vita, ma ne subiva l'esame; era diventata una persona vera. (cap. XXVI, p. 267)
*Come può infatti un solo essere umano soffrire di tutta la tristezza in cui si imbatte sulla faccia della terra, della pena che affligge non soltanto gli uomini, ma gli animali e le piante, e forse le pietre? L'anima si stanca subito, e nel timore di perdere quel poco che capisce, si ritrae verso i principîprincipi permanenti che l'abitudine o il caso hanno dettata, e là soffre. (cap. XXVI, p. 270)
*E affaticato da quella giornata crudele ed eccessiva, perse la sua consueta e sana concezione dei rapporti umani, e senti che gli uomini non esistono in sé stessi, ma nei termini in cui si pensano vicendevolmente — idea alla quale la logica non offre nessun sostegno, e che prima d'allora l'aveva assalito una volta sola, la sera dopo la catastrofe, quando dal portico del Circolo aveva visto i pugni e le dita dei Marabar gonfiarsi fino a contenere tutto il cielo notturno. (cap. XXVI, p. 273)
*«Non serve a niente, – pensò Fielding mentre sulla via del ritorno passava davanti alla moschea, – costruiamo tutti quanti sulla sabbia; e quanto piú moderno diventa il paese, tanto piú grave sarà il crollo. Nel lontano diciottesimo secolo, quando imperversavano la crudeltà e l'ingiustizia, un potere invisibile riparava i loro danni. Oggi tutto fa eco; e non c'è niente che fermi quell'eco. Il suono iniziale può essere innocuo, ma l'eco è sempre malvagia». (cap. XXXI, p. 301)
*«Dio e amore». È questo il messaggio conclusivo dell'India? (cap. XXXIII, p. 315)
*Che importava, a quell'ora del giorno? Lui aveva costruito la propria vita su un errore, ma l'aveva costruita. Parlando in urdu perché i figli capissero, disse: – Vi prego di non seguirci, chiunque abbiate sposato. Voglio che nessun inglese sia mio amico, né uomo né donna. (cap. XXXV, p. 334)
*Questa posa di «vedere l'India» che a Chandrapore l'aevaaveva attratto verso la signorina Quested non era che un modo di dominare l'India; dietro non vi era nessuna simpatia. (cap. XXXVI, p. 338)
*La così detta razza bianca è in realtà rosa – grigio.
*[[Mistero]] non è che un termine altisonante per dire pasticcio.