Torino: differenze tra le versioni

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*Torino è la città italiana in cui negli ultimi anni si è costruito di più, un processo che riguarda tutte le città post-industriali, destinate a diventare città del divertimento. Il modello, anche se non esplicito, è [[Las Vegas]]. ([[Giuseppe Culicchia]])
 
 
*Torino ha un'anima complessa. Torino città operaia. Torino città della Fiat. Torino con la tradizione di città capitale. Torino città italiana, anzi romana, ma anche città alpina, che guarda alla Francia e all'Europa. Torino di Gobetti, di Einaudi, di Bobbio, di Gramsci e dell'«Ordine nuovo», Torino comunista e Torino liberale. Torino col suo carattere, la sua sobrietà, la sua serietà, che non si apre e non si dà tanto facilmente, ma che ti accetta quando si convince che impersoni i suoi stessi valori: l'impegno nel lavoro, una forte cultura civica, un senso del dovere che ti compete, per la parte che hai nella vita della città. ([[Arrigo Levi]])
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*Torino mi sembra la città più graziosa d'Italia e, per quel che credo, d'Europa per l'allineamento delle strade, la regolarità delle costruzioni e la bellezza delle piazze. ([[Charles de Brosses]])
*Tra le cose che rendono cospicua e celebre quella Dominante (Torino), vi è la cittadella di figura Pentagona, fabricata e ridotta in tutta perfettione dalla vigilanda del Duca Emanuel Filiberto sopra modello di quella d'Anuersa {{NDR|Anversa}}, nelle Fiandre, che due anni dopo quella fu terminata dal medesimo ingegnere. ([[Giovanni Andrea Pauletti]])
 
*Torino non era una copia in piccolo di [[Parigi]] anche perché, a differenza di questa, non fu città di sommosse, di barricate. È una città che produce eccentrici, solitari, genialoidi e talora tipi geniali, outsider, scrittori e pittori isolati, qualche anarchico ma teorico, di rado bombarolo, provoca omicidi e suicidi (per questi ultimi, una delle più alte, se non la più alta, percentuale italiana, in triste gara con [[Trieste]], la città al confine opposto), ma la massa è di gente pacata, di sudditi, spesso brontoloni e ipercritici ma, alla fine, obbedienti. Nella sua storia non cacciò mai i suoi duchi e poi re, non complottò contro di essi. A differenza di Parigi, periodicamente sulle barricate, Torino insorse solo due volte. Ed entrambe non per fumosi obiettivi ideologici, ma per la concretezza del pane: nel 1864 quando, a tradimento, giunse il trasferimento della capitale; e nel 1917, quando lo Stato chiedeva di digiunare con le razioni di guerra e al contempo di faticare a ritmi accelerati nelle fabbriche che producevano per il fronte. Movimento ci fu anche negli ultimi giorni dell'aprile del 1945. Ma, pure qui, per una questione molto concreta: soprattutto per impedire la distruzione di impianti industriali, dal cui lavoro sarebbe dipesa la vita futura. Ancora una volta, al mito della «lotta di classe», prevalse la consapevolezza, dettata dal buon senso, che gli interessi degli imprenditori coincidevano con quelli dei dipendenti. Senza fabbriche, niente guadagni per il padrone; ma neanche pane per i lavoratori. ([[Vittorio Messori]])
 
*Torino vuol dire [[Napoli]] che fa montagna [...] Torino è l'altra faccia della stessa [[Roma]]. ([[Antonello Venditti]])
 
*Torino non era una copia in piccolo di [[Parigi]] anche perché, a differenza di questa, non fu città di sommosse, di barricate. È una città che produce eccentrici, solitari, genialoidi e talora tipi geniali, outsider, scrittori e pittori isolati, qualche anarchico ma teorico, di rado bombarolo, provoca omicidi e suicidi (per questi ultimi, una delle più alte, se non la più alta, percentuale italiana, in triste gara con [[Trieste]], la città al confine opposto), ma la massa è di gente pacata, di sudditi, spesso brontoloni e ipercritici ma, alla fine, obbedienti. Nella sua storia non cacciò mai i suoi duchi e poi re, non complottò contro di essi. A differenza di Parigi, periodicamente sulle barricate, Torino insorse solo due volte. Ed entrambe non per fumosi obiettivi ideologici, ma per la concretezza del pane: nel 1864 quando, a tradimento, giunse il trasferimento della capitale; e nel 1917, quando lo Stato chiedeva di digiunare con le razioni di guerra e al contempo di faticare a ritmi accelerati nelle fabbriche che producevano per il fronte. Movimento ci fu anche negli ultimi giorni dell'aprile del 1945. Ma, pure qui, per una questione molto concreta: soprattutto per impedire la distruzione di impianti industriali, dal cui lavoro sarebbe dipesa la vita futura. Ancora una volta, al mito della «lotta di classe», prevalse la consapevolezza, dettata dal buon senso, che gli interessi degli imprenditori coincidevano con quelli dei dipendenti. Senza fabbriche, niente guadagni per il padrone; ma neanche pane per i lavoratori. ([[Vittorio Messori]])
 
*Una certa confusione regna nelle nostre teste circa il «terziario avanzato», definizione che da un po' di tempo rimbalza seccamente sui più aggiornati pavimenti italici, come una pallina da ping-pong sfuggita ai giocatori. A volte crediamo che faccia parte del gergo sportivo, come «terzino di spinta» o «ala tornante»; a volte ci sembra appartenere alla terminologia sindacale (migliaia di terziari che avanzano in corteo, bandiere al vento ...) o a quello degli ordini religiosi (un terziario francescano, avanzato più degli altri nell'ascesi ...), quando non si mescoli addirittura alle nostre reminiscenze classiche («[[Quinto Fabio Massimo|Fabio Massimo]], avendo fatto avanzare i terziari contro la cavalleria punica ...»). Ma, dopo lo scandalo delle tangenti nell'amministrazione torinese, siamo quasi sicuri di aver capito. ([[Fruttero & Lucentini]])