John Keats: differenze tra le versioni

Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Quaro75 (discussione | contributi)
dimensioni standard imh
m Automa: Correzione automatica trattini in lineette.
Riga 6:
*Non c'è peccato più grave, dopo i sette peccati mortali, di credersi un grande poeta, o uno di quei privilegiati che dedicano tutta la vita a inseguire la gloria. (da ''Lettera a Benjamin Robert Haydon'', 10-11 maggio 1817)
*Vorrei che l'italiano si sostituisse al francese in tutte le scuole del nostro paese, perché quella sì che è una lingua ricca di vera poesia e di fascino, forse più adatta della nostra a soddisfare i gusti delle signore. (da ''Lettera a Fanny Keats'', 10 settembre 1817)
*Non sono certo di nulla tranne che della santità degli affetti del cuore, e della verità dell'immaginazione. Quel che l'immaginazione percepisce come bellezza deve essere vero - sia o no esistito prima - poiché secondo me tutte le nostre passioni sono come l'amore: tutte, se intensamente sublimi, sono creatrici di bellezza pura. [...] L'immaginazione si può paragonare al sogno di Adamo: si svegliò e lo trovò vero. (da ''Lettera a Benjamin Bailey'', 22 novembre 1817)
*Ci si dovrebbe sopportare un po' tutti: non c'è nessuno che non sia vulnerabile, che anzi non possa essere colto e fatto a pezzi nel suo lato debole. (da ''Lettera a Benjamin Bailey'', 23 gennaio 1818)
*Non sopportiamo la poesia che ha un disegno chiaro per noi [...] La poesia dovrebbe essere grande ma discreta; qualcosa che ti penetra dentro senza farti trasalire, senza colpirti in sé stessa, ma col suo messaggio. Come sono belli i fiori nascosti! Come se ne sciuperebbe la bellezza se si spingessero dalla strada gridando: "Ammiratemi: sono una violetta! Adoratemi: sono una primula!". (da ''Lettera a John Hamilton Reynolds'', 3 febbraio 1818)
*Se la [[poesia]] non viene naturalmente come le foglie vengono ad un albero, è meglio che non venga per niente. (da ''Lettera a John Taylor'', 27 febbraio 1818)
*Non ho il più piccolo senso di umiltà verso il pubblico - o verso chiunque altro - eccetto l'essere eterno, il principio della bellezza - e la memoria dei grandi uomini. (da ''Lettera a John Hamilton Reynolds'', 9 aprile 1818)
*{{NDR|In risposta alle critiche sul poema ''Endimione''}} Ormai comincio a conoscere le mie virtù e i miei difetti. La lode e la critica possono influire solo per un attimo su chi, amando la bellezza pura, diventa un giudice severo delle proprie opere. La mia critica "domestica" mi ha tormentato molto di più di quanto abbiano potuto fare Blackwood o l'«Edinburgh Quarterly». E così, quando sento di essere nel giusto, nessun'altra lode può darmi una gioia pari al rivivere da solo e confermare quanto è bello. (da ''Lettera a James Augustus Hessey'', 8 ottobre 1818)
*Non ho mai temuto l'insuccesso: infatti, addirittura lo preferirei, piuttosto che non essere fra i più grandi. (da ''Lettera a James Augustus Hessey'', 8 ottobre 1818)
*Il poeta è la meno poetica delle creature: non ha identità - ma di continuo foggia e riempie qualtro altro corpo. [...] Quando sono in una stanza fra la gente, se per caso non sono assorto nei miei più intimi pensieri, allora non riesco a essere più me stesso, ma la personalità di ciascuno dei presenti comincia a soffocarmi fino addirittura ad annientarmi. E non solo fra gli uomini, sarebbe lo stesso in un asilo. (da ''Lettera a Richard Woodhouse'', 27 ottobre 1818)
*Ammiro la natura umana, ma non mi piacciono gli ''uomini'': mi piacerebbe comporre qualcosa che faccia onore all'uomo, ma che gli ''uomini'' non possano toccare. (da ''Lettera a Benjamin Robert Haydon'', 22 dicembre 1818)
*C'è molta gente superficiale che prende le cose alla lettera. Ma la vita di un uomo che abbia in sé qualche valore è una continua Allegoria. Solo pochi occhi possono capire il mistero della sua vita. Una vita figurativa, come nelle scritture sacre, che molta gente non può riuscire a capire, non più di quanto possa capire la Bibbia scritta in ebraico. Shakespeare ha vissuto una vita di Allegoria. Le sue opere ne sono il commento. (da ''Lettera a George e Georgiana Keats, 18 febbraio 1819)
*Non potrebbero esserci degli esseri superiori che godono degli stati d'animo della mia mente, belli anche se istintivi, nello stesso modo in cui io sono attratto dalla vivacità di un ermellino o dall'agitazione di un cervo? Anche se una lite per strada è qualcosa di decisamente deprecabile, le energie che si sprigionano sono belle: persino l'uomo più insignificante diventa in qualche modo attraente quando litiga. Per un essere superiore i nostri pensieri possono tutti prendere lo stesso tono: anche se sbagliati, possono essere belli. (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Niente può mai diventare reale, senza essere vagliato dall'esperienza. Persino un [[proverbio]]: che proverbio è, prima che la vita te l'abbia mostrato? (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Questo mondo viene di solito chiamato, dai superstiziosi e dagli ignoranti, "una valle di lacrime", da cui saremo redenti grazie a qualche arbitrario intervento di Dio, e portati in cielo. Che concetto ristretto e rigido! Piuttosto, se vi va, chiamiamolo "la valle che forma l'anima". Allora, sì, sarà possibile comprendere a che cosa serve il mondo [...]. Io dico che ''forma l'anima'', distinguendo l'anima dall'intelligenza. Ci possono essere intelligenze o scintille della divinità a milioni - ma non ci sono anime finché le scintille non hanno raggiunto un'identità, finché ognuna non è individualmente sé stessa. Le intelligenze sono atomi di percezione: conoscono, e vedono, e sono pure; in breve sono Dio. Ma allora come si formano le anime? Come riescono queste scintille, che sono Dio, a ricevere un'identità, così da possedere una beatitudine propria, specifica di ogni singola esistenza? Come, se non grazie a un mondo come il nostro? (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Recentemente ho cambiato pelle. Ma niente nuove piume e nuove ali. Queste sono sparite, al loro posto spero di avere un paio di pazienti gambe terrestri. Sono cambiato, ma non da crisalide in farfalla, bensì al contrario. Ho delle piccole feritoie dalle quali posso guardare il palcoscenico del mondo e, venendo qui, quel mondo l'ho quasi dimenticato. (da ''Lettera a John Hamilton Reynolds'', 11 luglio 1819)
*Al di là del piacere che sempre danno le lodi - piacere malefico cui è difficile sfuggire - io ho sempre avuto un grande rispetto per l'entusiasmo: c'è qualcosa di glorioso in esso. Ma non posso far finta che il mondo non sia maligno abbastanza da non deridere la più degna semplicità. (da ''Lettera a Benjamin Bailey, 13 agosto 1819)
*So con certezza che, se volessi, potrei diventare uno scrittore di successo. Per mia scelta, tuttavia, non lo sarò mai. (da ''Lettera a John Taylor'', 23 agosto 1819)
*Amico mio, sarebbe inutile che io cercassi di scrivere cose più ragionevoli. Non ho altro di cui parlare se non di me stesso. E di cosa potrei parlare se non di ciò che sento? Se per qualche ragione questo mio stato di eccitazione dovesse dispiacerti, ti prego di ricordare che è questa la condizione che ci vuole per la poesia, e della poesia solo m'importa. La poesia è ciò per cui vivo. (da ''Lettera a John Hamilton Reynolds'', 25 agosto 1819)
Riga 56:
*{{NDR|Byron al suo editore, Murray}} Come Lei saprà, Shelley ha scritto un'elegia su Keats accusando la «Quarterly Review» di averlo ucciso. [...] Lei sa benissimo che io non ho mai approvato la poesia di Keats, i suoi principi di poetica e il suo abuso di Pope, ma, poiché è morto, per favore cancellate ogni riferimento a lui dalle mie pubblicazioni. Il suo ''Iperione'' è un bel monumento e contribuirà a renderlo famoso nel tempo. Non invidio l'autore dell'attacco a Keats sulla «Quarterly». [...] Comunque, uno che muore per l'articolo di una rivista sarebbe morto per qualcosa di altrettanto futile. ([[George Gordon Byron|Lord Byron]], lettera del 31 luglio 1821)
*''John Keats fu assassinato da una critica | quando cominciava a promettere qualcosa di grande, | anche se poco comprensibile; non conosceva il greco | ma riuscì lo stesso di recente a far parlare gli antichi dèi, | come immaginava che loro parlassero. | Poveraccio! Che destino sfortunato il suo! | «È strano come una mente, quella tanto fiera particella, possa essere spenta da un articolo di rivista»'' ([[George Gordon Byron|Lord Byron]], ''Don Juan'', Canto XI, stanza 60)
*{{NDR|Leigh Hunt a Joseph Severn}} Dì a Keats - dì a quel grande poeta e all'uomo dal nobile cuore - che la sua memoria rimarrà sempre nella parte più preziosa del nostro cuore e che il mondo intero si inchinerà di fronte al suo Genio, come facciamo noi ora. Dì a Keats che non cesseremo mai di ricordarlo e di amarlo. Dì a Keats che ci ha soltanto preceduti sulla strada dell'immortalità, come in qualunque altra cosa che lui abbia fatto. ([[Leigh Hunt]], lettera dell'8 marzo 1821)
*Talvolta appaiono sulla terra degli esseri che riflettono nella loro esistenza una luce più che umana. Ma per appartenere a questa ristrettissima élite il genio non basta: né [[Shakespeare]], né [[Dante]], né [[Michelangelo]], né [[Charles Baudelaire|Baudelaire]] sono degli "angeli". Sono forse degli Dei, angeli non sono. Bisogna, per essere annoverati fra gli angeli, morire molto giovani, o giovanissimi cessare qualunque attività artistica; bisogna, va da sé, che questa attività sia di valore supremo; bisogna insomma che la loro apparizione sia fulgida e brevissima, così da dare a noi grigi mortali la sensazione di un visitatore superumano che durante un istante ci abbia guardato, e sia dopo ritornato ai suoi cieli, lasciandoci doni di qualità divina e anche un amaro rimpianto per la fugacità della sua apparizione. Fra gli "angeli" io ritrovo [[Raffaello Sanzio|Raffaello]] e [[Masaccio]], [[Mozart]] e [[Friedrich Hölderlin|Hölderlin]], [[Arthur Rimbaud|Rimbaud]] e [[Maurice de Guérin]], [[Percy Bysshe Shelley|Shelley]], [[Christopher Marlowe|Marlowe]] e Keats. [...] In questa lista, splendente di gioia e, per noi, di lacrime, il posto supremo spetta a John Keats. Di tutti egli è il solo assolutamente puro. So bene che non è colpa loro, ma qualche macchia di fango imbratta le ali di Marlowe e di Shelley; Rimbaud è indubbiamente un angelo, ma, come Marlowe, non si sa bene se venisse da su o da giù; la lussuria di Raffaello, la follia di Hölderlin, l'iracondia di Masaccio, la moglie di Mozart sono delle lievi mende sul candore delle loro vesti. Angelo di prima classe, arcangelo, serafino, cherubino, angelo a tutto tondo, angelo a cento carati, angelo con le ali di prima scelta garantite contro le tarme non vi è che John Keats. ([[Giuseppe Tomasi di Lampedusa]])
*Nella stanza in cui era morto Keats, Pietro rimase bloccato dalla propria ignoranza nei confronti del poeta e quindi di ciò che desiderava fotografare. La [[casa]] imbiancata a calce di Hampstead era stata un soggetto abbastanza facile, ma questa era diversa. Nell'aria aleggiava un che di minaccioso, la sensazione lasciata dalla presenza di un [[uomo]] che si era proposto di arrestare il [[tempo]] in un momento particolare, e ci era riuscito in un modo imprevisto, con la [[morte]]. ([[Sebastian Faulks]])