John Keats: differenze tra le versioni

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==Citazioni di John Keats==
*''Qui giace colui il cui nome fu scritto sull'[[acqua]]''. (Il suo epitaffio, pensato e voluto da lui stesso, sulla tomba nel cimitero protestante di Roma).
*Non c'è peccato più grave, dopo i sette peccati mortali, di credersi un grande poeta, o uno di quei privilegiati che dedicano tutta la vita a inseguire la gloria. (da ''Lettera a Benjamin Robert Haydon'', 10-11 maggio 1817)
*Vorrei che l'italiano si sostituisse al francese in tutte le scuole del nostro paese, perché quella sì che è una lingua ricca di vera poesia e di fascino, forse più adatta della nostra a soddisfare i gusti delle signore. (da ''Lettera a Fanny Keats'', 10 settembre 1817)
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*Niente può mai diventare reale, senza essere vagliato dall'esperienza. Persino un [[proverbio]]: che proverbio è, prima che la vita te l'abbia mostrato? (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Questo mondo viene di solito chiamato, dai superstiziosi e dagli ignoranti, "una valle di lacrime", da cui saremo redenti grazie a qualche arbitrario intervento di Dio, e portati in cielo. Che concetto ristretto e rigido! Piuttosto, se vi va, chiamiamolo "la valle che forma l'anima". Allora, sì, sarà possibile comprendere a che cosa serve il mondo [...]. Io dico che ''forma l'anima'', distinguendo l'anima dall'intelligenza. Ci possono essere intelligenze o scintille della divinità a milioni - ma non ci sono anime finché le scintille non hanno raggiunto un'identità, finché ognuna non è individualmente sé stessa. Le intelligenze sono atomi di percezione: conoscono, e vedono, e sono pure; in breve sono Dio. Ma allora come si formano le anime? Come riescono queste scintille, che sono Dio, a ricevere un'identità, così da possedere una beatitudine propria, specifica di ogni singola esistenza? Come, se non grazie a un mondo come il nostro? (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Recentemente ho cambiato pelle. Ma niente nuove piume e nuove ali. Queste sono sparite, al loro posto spero di avere un paio di pazienti gambe terrestri. Sono cambiato, ma non da crisalide in farfalla, bensì al contrario. Ho delle piccole feritoie dalle quali posso guardare il palcoscenico del mondo e, venendo qui, quel mondo l'ho quasi dimenticato. (da ''Lettera a John Hamilton Reynolds'', 11 luglio 1819)
*Al di là del piacere che sempre danno le lodi - piacere malefico cui è difficile sfuggire - io ho sempre avuto un grande rispetto per l'entusiasmo: c'è qualcosa di glorioso in esso. Ma non posso far finta che il mondo non sia maligno abbastanza da non deridere la più degna semplicità. (da ''Lettera a Benjamin Bailey, 13 agosto 1819)
*So con certezza che, se volessi, potrei diventare uno scrittore di successo. Per mia scelta, tuttavia, non lo sarò mai. (da ''Lettera a John Taylor'', 23 agosto 1819)
*Amico mio, sarebbe inutile che io cercassi di scrivere cose più ragionevoli. Non ho altro di cui parlare se non di me stesso. E di cosa potrei parlare se non di ciò che sento? Se per qualche ragione questo mio stato di eccitazione dovesse dispiacerti, ti prego di ricordare che è questa la condizione che ci vuole per la poesia, e della poesia solo m'importa. La poesia è ciò per cui vivo. (da ''Lettera a John Hamilton Reynolds'', 25 agosto 1819)
*Sono le nostre passioni e i nostri sentimenti violenti a evocare e incoraggiare le sofferenze immaginarie: quelle reali vengono da sé, e la mente può contrastarle concentrandosi e applicandosi con tenacia. Le sofferenze reali si sostituiscono alle passioni; quelle immaginarie inchiodano l'uomo come un disgraziato sulla croce; quelle reali lo spingono all'azione. (da ''Lettera a Charles Brown'', 23 settembre 1819)
*SeOra che mi succede di passare notti insonni e ansiose, strani pensieri si infilano dovessinella moriremia [mente...] Se morissi ora, dico a me stesso, non lasciolascerei nientenessuna d'immortaleopera dietroche sia degna di me;sopravvivermi, niente che possa rendere orgogliosi i miei amici orgogliosi della mia memoria. Eppure ho amato il principio della bellezza in ogni cosa, e se ne avessi avuto il tempo sarei riuscito a farmi ricordare. (da ''Lettera a Fanny Brawne'', febbraio 1820)
*Notte e giorno desidero che venga la morte a liberarmi da questi dolori, ma poi no, perché la morte distruggerebbe quei dolori che sono pur sempre meglio di niente. La terra, il mare, la debolezza e la malattia possono certo dividere, ma mai come la morte, che è per sempre. Il prendere coscienza di tanto strazio è in pratica come provare in anticipo l'amarezza della morte. (da ''Lettera a Charles Brown'', 28 settembre 1820)
*Un tempo rabbrividivo quando pensavo che delle persone potessero morire da martiri per una religione. Adesso non più. Potrei essere martirizzato io stesso per la mia religione. L'amore è la mia religione. Potrei morire per esso. (da ''Lettera a Fanny Brawne'', 13 ottobre 1819)
*È sorprendente, ma l'idea di lasciare questo mondo rende ancora più profondo in noi il senso delle sue bellezze naturali. Come il povero Falstaff, anche se non balbetto come lui, penso ai prati verdi. Medito con il più grande affetto su ogni fiore che conosco dall'infanzia. Le loro forme e i loro colori mi sembrano così nuovi, quasi li avessi appena creati io con fantasia sovrumana. Probabilmente è perché sono legati ai momenti più felici e ingenui della nostra vita. Ho visto fiori di paesi stranieri delle specie più meravigliose nelle serre, eppure non me ne importa un fico secco. Gli unici fiori che voglio vedere sono i semplici fiori della nostra primavera. (da ''Lettera a James Rice'', 14-16 febbraio 1820)
*La mia [[Immaginazione|immaginazione]] è un monastero e io sono un monaco. (da ''Lettera a Percy Bysshe Shelley'', 16 agosto 1820)
*Ho la continua sensazione che la mia vita reale sia finita, e che stia vivendo un'esistenza postuma. (da ''Lettera a Charles Brown'', 30 novembre 1820)
*{{NDR|A Charles Brown}} Mi riesce difficile dirti addio anche per lettera. Sono sempre stato goffo nel fare l'inchino. (da ''Lettera a Charles Brown'', 30 novembre 1820)
 
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*L'unico modo per rafforzare l'intelletto è quello di non decidere niente riguardo a nulla – di lasciare che la mente sia una strada percorribile da tutti i pensieri.
*La [[filosofia]] mozzerà le ali di un angelo.
*La mia [[Immaginazione|immaginazione]] è un monastero e io sono un monaco.
 
==''Ode su un'urna greca''==