John Keats: differenze tra le versioni

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*Niente può mai diventare reale, senza essere vagliato dall'esperienza. Persino un [[proverbio]]: che proverbio è, prima che la vita te l'abbia mostrato? (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Questo mondo viene di solito chiamato, dai superstiziosi e dagli ignoranti, "una valle di lacrime", da cui saremo redenti grazie a qualche arbitrario intervento di Dio, e portati in cielo. Che concetto ristretto e rigido! Piuttosto, se vi va, chiamiamolo "la valle che forma l'anima". Allora, sì, sarà possibile comprendere a che cosa serve il mondo [...]. Io dico che ''forma l'anima'', distinguendo l'anima dall'intelligenza. Ci possono essere intelligenze o scintille della divinità a milioni - ma non ci sono anime finché le scintille non hanno raggiunto un'identità, finché ognuna non è individualmente sé stessa. Le intelligenze sono atomi di percezione: conoscono, e vedono, e sono pure; in breve sono Dio. Ma allora come si formano le anime? Come riescono queste scintille, che sono Dio, a ricevere un'identità, così da possedere una beatitudine propria, specifica di ogni singola esistenza? Come, se non grazie a un mondo come il nostro? (da ''Lettera a George e Georgiana Keats'', 18 febbraio 1819)
*Sono le nostre passioni e i nostri sentimenti violenti a evocare e incoraggiare le sofferenze immaginarie: quelle reali vengono da sé, e la mente può contrastarle concentrandosi e applicandosi con tenacia. Le sofferenze reali si sostituiscono alle passioni; quelle immaginarie inchiodano l'uomo come un disgraziato sulla croce; quelle reali lo spingono all'azione. (da ''Lettera a Charles Brown'', 23 settembre 1819)
*Se dovessi morire [...] non lascio niente d'immortale dietro di me; niente che possa rendere orgogliosi i miei amici. (da ''Lettera a Fanny Brawne'', febbraio 1820)
*Notte e giorno desidero che venga la morte a liberarmi da questi dolori, ma poi no, perché la morte distruggerebbe quei dolori che sono pur sempre meglio di niente. La terra, il mare, la debolezza e la malattia possono certo dividere, ma mai come la morte, che è per sempre. Il prendere coscienza di tanto strazio è in pratica come provare in anticipo l'amarezza della morte. (da ''Lettera a Charles Brown'', 28 settembre 1820)
*Mi riesce difficile dirti addio anche per lettera. Sono sempre stato goffo nel fare l'inchino. (da ''Lettera a Charles Brown'', 30 novembre 1820)
 
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