Alain de Botton: differenze tra le versioni

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*Dire che un edificio è bello [...] rivela più di una pura e semplice passione estetica; implica un'attrazione verso il particolare stile di vita che l'edificio incoraggia attraverso il tetto, le maniglie, le finestre, le scale, gli arredi. Se percepiamo la bellezza è segno che ci siamo imbattuti in una traduzione pratica di certe nostre idee sulla vita. (p. 70)
*Il dono degli scultori più dotati è di insegnarci che le grandi idee sull'intelligenza o sulla dolcezza, sulla giovinezza o sulla serenità possono essere comunicate, oltre che a parole o con sembianze umane o animali, con pezzi di legno e di corda o tramite marchingegni di gesso e metallo. Usando il loro particolare linguaggio dissociato, le grandi sculture astratte sono riuscite a parlarci dei temi importanti della vita. (p. 79)
*Ciò che cerchiamo in un'[[architettura|opera architettonica]] non è diverso da ciò che cerchiamo in un amico. Gli oggetti che definiamo belli sono versioni delle persone che amiamo. (p. 86)
*Gli oggetti davvero belli sono quelli dotati di valori intrinseci, che sappiano resistere alle nostre proiezioni positive o negative su di essi; quelli che incarnano qualità positive anziché limitarsi a suscitare ricordi. In questo modo sopravvivono alle loro origini nel tempo o nello spazio e comunicano le loro intenzioni anche molto tempo dopo la scomparsa dei destinatari iniziali. Sanno far valere le loro qualità a prescindere dagli alti e bassi delle nostre associazioni, ingiustamente generose o censorie. (p. 95)
*Dire che un'opera architettonica o un'opera di design è bella significa individuarvi un'interpretazione dei valori essenziali alla nostra prosperità, una transustanziazione in materia dei nostri ideali individuali. (p. 98)
*Tendiamo ad attribuire il nome di «[[casa]]» a quei luoghi il cui aspetto corrisponde al nostro e lo legittima. Non è indispensabile che le nostre case ci offrano un riparo permanente o che contengano i nostri vestiti per meritare questo nome. Parlare di casa in relazione a un edificio significa semplicemente riconoscere che è in armonia con il canto interiore a noi caro. (p. 105)
*Senza venerare alcun dio, un elemento di architettura domestica, non meno di una moschea o di una cappella, può aiutarci a ricordare chi siamo davvero. (p. 117)
*Apprezziamo certi edifici per la loro capacità di riequilibrare la nostra natura sbilanciata e stimolare emozioni che i nostri impegni ci costringono a sacrificare. La competitività, l'invidia, l'aggressività sono sentimenti che sarebbe bene non sviluppare, mentre l'umiltà, in un universo immenso e sublime, il desiderio di tranquillità quando cala la sera o l'aspirazione alla compostezza e alla bontà non sono elementi altrettanto costanti nel nostro paesaggio interiore: ciò spiega forse il bisogno di legare emozioni come queste al tessuto delle nostre case. (p. 119)
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*Tendiamo a definire bello un oggetto quando scopriamo che contiene in forma concentrata le qualità che mancano a noi personalmente o, più in generale, alla nostra società. Rispettiamo uno stile in grado di distrarci da ciò che temiamo e portarci verso ciò a cui aneliamo: uno stile che ha in sé il giusto dosaggio delle virtù che non possediamo. Il fatto che abbiamo bisogno dell'arte è di per sé segno che siamo in costante pericolo di smarrire l'equilibrio tra i grandi opposti della vita: noia ed entusiasmo, ragione e immaginazione, semplicità e complessità, sicurezza e pericolo, austerità e lusso. (p. 155)
*La comprensione dei meccanismi psicologici del gusto forse non cambierà il nostro giudizio sul bello, ma almeno può impedirci di reagire con incredulità davanti a ciò che non ci piace. Dovremmo saper chiedere subito alle persone di che cosa hanno bisogno per vedere la bellezza di un oggetto e comprendere il tenore della loro privazione anche se non siamo in grado di manifestare entusiasmo per la loro scelta. (p. 164)
*I capolavori dell'[[arte]] sembrano sempre eventi casuali e gli [[artisti]] assomigliano a cavernicoli che di tanto in tanto riescono ad accendere un fuoco senza però scoprire come hanno fatto, né tanto meno comunicare ad altri il segreto del loro successo. Il talento artistico è come un fuoco d'artificio che attraversa una notte nera come la pece e ispira timore reverenziale negli spettatori ma si spegne nel giro di qualche secondo, lasciando dietro di sé soltanto oscurità e desiderio. (p. 168-169)
*Il «pettegolezzo» altro non è che una versione popolare dell'etica. Benché raramente distilliamo in ipotesi astratte i nostri rancori e la nostra ammirazione, seguiamo spesso le orme dei filosofi che hanno scritto trattati allo scopo di identificare e analizzare la bontà umana. [...] Stabilire analogie tra l'architettura e l'etica ci aiuta a comprendere che difficilmente in un edificio ci sarà mai un'unica fonte di bellezza, proprio come nessuna qualità potrà mai giustificare da sola l'eccellenza di una persona. Perché siano efficaci, certe caratteristiche devono emergere nel momento opportuno e in particolari combinazioni. Un edificio con le giuste proporzioni ma composto di materiali inadeguati non sarà meno fragile di un uomo coraggioso cui manchino pazienza e intuito. (p. 172)
*Pretendiamo che l'ambiente in cui viviamo agisca da custode di una tranquillità e di un orientamento sui quali abbiamo un controllo precario. Gli architetti più utili sono quelli tanto generosi da accantonare la rivendicazione del loro genio per dedicarsi alla costruzione di case graziose, ma per lo più prive di originalità. L'architettura dovrebbe avere la sicurezza di sé e la bontà di essere anche un po' noiosa. (p. 181)
*L'equilibrio che apprezziamo nell'architettura e che consacriamo con il termine «bello» indica uno stato che a livello psicologico possiamo descrivere come di salute mentale o di felicità. Anche noi, come gli edifici, conteniamo opposti che si possono gestire con maggiore o minore successo. (p. 197)
*Se certi edifici costruiti con sottile equilibrio ci emozionano è perché sono esemplificazioni di una possibile scelta tra aspetti conflittuali del nostro carattere, della legittima aspirazione a trasformare le nostre preoccupanti contraddizioni in qualcosa di bello. (p. 199)
*L'impressione di bellezza che ricaviamo da un'opera architettonica è in relazione diretta con l'intensità delle forze alle quali si contrappone. [...] C'è [[bellezza]] in ciò che è più forte di noi. (p. 203)
*Una sottocategoria delle bellezza che possiamo chiamare eleganza, una qualità presente ogniqualvolta un'opera architettonica sa mettere in atto una resistenza – trattenere, estendersi, proteggere – con grazia ed economia oltre che con forza, quando è tanto modesta da non richiamare l'attenzione sulle difficoltà che ha dovuto superare. (p. 204)
*Per giudicare elegante un'opera architettonica, non basta che sembri semplice: dobbiamo sentire che la semplicità è duramente conquistata e che deriva dalla soluzione di un problema tecnico o naturale di grande difficoltà. [...] Ammiriamo le opere semplici che, senza uno sforzo immenso, sarebbero apparse molto complicate. (p. 207)
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==''Esercizi d'amore''==
*In nessun ambito della nostra vita il desiderio di un certo destino è più forte che nella sfera romantica.
*Il pericolo insito nella [[bellezza]] non canonica è che la sua precarietà rischia di enfatizzare il ruolo dell'osservatore. Perché quando l'immaginazione si stanca di quella fessura tra i denti, non resta che rivolgersi a un buon specialista in ortodonzia. Una volta che abbiamo collocato la bellezza nell'occhio dello spettatore, cosa succede se quell'occhio si rivolge altrove? Ma proprio questo limite era gran parte del fascino di Chloe. Il concetto soggettivo di [[bellezza]] fa dell'osservatore un essere meravigliosamente indispensabile.
*Diversamente dalla storia dell'[[amore]], la storia della [[filosofia]] si occupa con immutato interesse della divergenza tra apparenza e realtà. «Credo di vedere un albero fuori», ipotizza il filosofo, «ma non è possibile che sia invece un'illusione ottica dietro la mia retina?» «Credo di vedere mia moglie, ma non è possibile che anche lei sia un'illusione ottica?», aggiunge, con un accento di speranza.
*Qualunque sia il grado di felicità con la nostra compagna, l'amore per lei ci è di ostacolo (a meno di non vivere in una società poligamica) ad avviare altre relazioni romantiche. Ma perché ciò dovrebbe essere causa di frustrazione, se davvero la amiamo? Perché, se il nostro amore per lei è sempre vivo, dovremmo sentire come un limite tale condizione? Forse perché, nel risolvere il nostro bisogno di amare, non sempre riusciamo a risolvere il nostro bisogno di desiderare.
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*Se non accettiamo gli insegnamenti che l'amore ci ispira, continueremo felici a ripetere indefinitamente gli stessi errori, come mosche che ritornano dementi a picchiare contro i vetri delle finestre, incapaci di capire che il vetro, per quanto trasparente, non può essere attraversato. Non ci sono forse delle verità elementari che è necessario imparare, frammenti di saggezza che potrebbero evitarci qualche entusiasmo eccessivo, qualche dolore, qualche amara delusione? Non è legittima ambizione acquisire un po' di prudenza nelle faccende amorose, così come lo si può fare per una dieta, per la morte o il denaro?
*Chi pronuncia parole d'amore è come chi lancia un messaggio in codice con una tramittente difettosa, senza mai essere sicuro di cosa viene captato (e, ciò, nonostante, come un dente di leone che libera infinite spore dalle quali una minima parte si riproduce, quel furtuito, ottimistico tentativo di telecomunicazione va compiuto – fiducia nel servizio postale).
*Nell'ossessione dell'oasi, l'uomo assetato immagineimmagina l'acqua, le palme e l'ombra non perché ce ne siano ooggettivioggettivi indizi, ma perché ne ha pressante necessità. I bisogni disperati fanno intravedere la soluzione attraverso le allucinazioni: l'assetato ha l'allucinazione dell'acqua, il bisogno di amore provoca l'allucinazione dell'uomo, o della donna, ideale. L'ossessione dell'oasi non è mai una delusione completa: l'uomo nel deserto vede qualcosa all'orizzonte. È che le palme sono inaridite, il pozzo secco, il luogo infestato di locuste.
*Gli innamorati, cui non è propria la lucidità dei flosofi, non possono non abbandonarsi all'impulso religioso, cioè credere e avere fede, in quanto opposto all'impulso filosofico, che è dubitare e indagare. Preferiscono il rischio di essere nell'-errore e in amore– a essere nel –dubbio e senza amore-.
*La libertà di [[pensare]] è il coraggio di imbattersi nei propriopropri demoni.
*Se non accettiamo gli insegnamenti che l'amore ci ispira, continueremo felici a ripetere indefinitamente gli stessi errori, come mosche che ritornano dementi a picchiare contro i vetri delle finestre, incapaci di capire che il vetro, per quanto trasparente, non può essere attraversato.
*Essere innamorati dell'amore è sempre un rischio.. le aspettative quando si incontra una nuova persona son spesso molto alte.. la si idealizza.. si colgono spesso solo i lati positivi.. durante i primi incontri si prende solo il meglio dell'altra persona .. ma è nella vita quotidiana .. che si comprende se la persona che si ha al proprio fianco è quella con la quale si potrà condividere gran parte dell'esistenza ..
*Sentimenti virtuosi nascono spontaneamente sul terreno fertile della [[sofferenza]]. Più si soffre, più si deve essere virtuosi.
*Forse è proprio vero che di fatto non esistiamo finché non c'è qualcuno che ci vede esistere, che non parliamo finché qualcuno non è in grado di comprendere ciò che diciamo; in sintesi, che non siamo del tutto vivi finché non siamo amati.