Paul Ginsborg: differenze tra le versioni

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*I brigatisti si erano mostrati risoluti ed efficienti, ma la loro non fu una vittoria. La decisione di uccidere Moro creò gravi dissensi al loro interno, mentre all'esterno si diffuse un profondo sentimenti di ripulsa per quanto avevano fatto. È generalmente riconosciuto che la crisi del terrorismo italiano prese l'avvio dall'uccisione di Moro. A posteriori sembra quindi corretto riconoscere che avevano ragione i paladini dell'intransigenza: se Moro fosse stato scambiato con uno o piú terroristi in prigione, le Brigate Rosse sarebbero apparse allo stesso tempo invulnerabili e propense al compromesso, col risultato che il loro fascino sarebbe quasi certamente cresciuto. [...] Dopo la morte di Moro la democrazia italiana non solo si difese ma si rafforzò. (cap. 10, pp. 519 sg.)
*La conseguenza piú grave della linea dell'Eur fu la crescente delusione tra la base della Cgil, il diminuito impegno della classe operaia, e il conseguente indebolimento sia del Pci sia del sindacato nelle trattative con i loro alleati-oppositori. Ancora una volta, come nel 1945-47, il Pci fu incapace e riluttante a usare il considerevole peso della mobilitazione di massa per costringere la Dc a fare concessioni effettive, e accettò la logica capitalista di salvare l'economia senza una strategia economica alternativa. (sui tentativi di riforma del 1977; cap. 10, 8b; p. 524)
*Infine, per concludere con una nota positiva, l'assassinio di Aldo Moro e tutti gli altri compiuti per mano dei terroristi se non «rifondarono» la Repubblica certo non avvennero invano. Gli «anni di piombo» produssero un mutamento profondo nell'atteggiamento di un'intera generazione verso la violenza. Man mano che si susseguivano gli omicidi, i fautori della violenza «rivoluzionaria», parte cosí interna all'esperienza del '68, rimasero isolati tra gli stessi giovani. Alla fine del decennio i problemi piú gravi della Repubblica non erano stati risolti, masima si era abbandonata l'idea di risolverli con la forza. (cap. 10, 10; p. 540)
*In una recente intervista il vicepresidente del Consiglio, il socialista Gianni De Michelis, ha parlato del 1968 come del «crepuscolo degli dèi», dell'ultimo grande momento collettivo della storia italiana, della fine di ogni sogno di nuova era. Sidney Tarrow ha sostenuto che la «transizione al capitalismo maturo» ha dato luogo alla «definitiva assimilazione della classe operaia». Entrambi i giudizi sembrano essere prematuri. Non c'è ragione di credere che la forte tradizione di azione collettiva nella recente, e meno recente, storia d'Italia sia morta improvvisamente. Né vi può essere molto fondamento nell'idea che il consumismo capitalista abbia risolto «l'enigma della storia». Come ha detto Hirschman, il consumismo ha probabilmente il suo bagaglio di disillusioni in serbo per ognuno di noi. Resta da vedere, dunque, se i valori degli anni '80 saranno duraturi, o se visioni alternative potranno ancora avere un ruolo piú che minimo nella storia della Repubblica italiana. (cap. 11, 3; p. 576)