Giorgio Barberi Squarotti: differenze tra le versioni
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'''Giorgio Bàrberi Squarotti''' (1929– vivente), critico letterario italiano.
*Il discorso è alacremente intenso e inventivo, trascorrendo dal distacco ironico del commento e della critica alla rappresentazione d'orrore e di morte. L'opera è di straordinaria originalità, e la pubblicherei subito, con entusiasmo: ne potrà derivare un salutare scontro con la banalità e la povertà della letteratura di moda. Io sono con [[Gualberto Alvino]], appassionatamente. Egli ha ridato verità al tragico e al "grande Stile". (
*Quando [[Italo Calvino]] pubblicò, nel 1947, ''Il sentiero dei nidi di ragno'', in pieno trionfo neorealista, aprì il primo caso (che a pochi, per la cecità complessiva dell'ora, apparve tale) di crisi della concezione realista della realtà: nella direzione della richiesta disperata di rendere ragione dell'angoscia della morte, dell'orrore dell'uccidere, della violenza che colpisce dentro, a fondo, e nella decisione di conoscere, del reale, anche il "negativo" come non volontà, rifiuto di scegliere l'azione, il gesto, il vivere stesso (da ''La narrativa italiana del dopoguerra'', Bologna, Cappelli, 1965, p. 157).▼
▲*Il discorso è alacremente intenso e inventivo, trascorrendo dal distacco ironico del commento e della critica alla rappresentazione d'orrore e di morte. L'opera è di straordinaria originalità, e la pubblicherei subito, con entusiasmo: ne potrà derivare un salutare scontro con la banalità e la povertà della letteratura di moda. Io sono con [[Gualberto Alvino]], appassionatamente. Egli ha ridato verità al tragico e al "grande Stile". (Giorgio Bàrberi Squarotti, in [[Gualberto Alvino]], ''Là comincia il Messico'', Firenze, Polistampa, 2008).
▲*Quando [[Italo Calvino]] pubblicò, nel 1947, ''Il sentiero dei nidi di ragno'', in pieno trionfo neorealista, aprì il primo caso (che a pochi, per la cecità complessiva dell'ora, apparve tale) di crisi della concezione realista della realtà: nella direzione della richiesta disperata di rendere ragione dell'angoscia della morte, dell'orrore dell'uccidere, della violenza che colpisce dentro, a fondo, e nella decisione di conoscere, del reale, anche il "negativo" come non volontà, rifiuto di scegliere l'azione, il gesto, il vivere stesso (''La narrativa italiana del dopoguerra'', Bologna, Cappelli, 1965, p. 157).
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