Domenico Losurdo: differenze tra le versioni

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*Un punto però mi sembra fermo: è banalmente ideologico caratterizzare la catastrofe del Novecento come una sorta di nuova invasione barbarica che improvvisamente aggredisce e travolge una società sana e felice. L'orrore del Novecento proietta la sua ombra sul mondo liberale perfino se si fa astrazione dalla sorte riservata ai popoli di origine coloniale. [...] L'orrore del secolo XX non è qualcosa che irrompe improvvisamente e dall'esterno su un mondo di pacifica convivenza. D'altro canto, non appagarsi del quadretto edificante della consueta agiografia per collocarsi sul terreno del reale, con le sue contraddizioni e i suoi conflitti, non significa in alcun modo disconoscere i meriti e i punti di forza della tradizione di pensiero qui oggetto di indagine. Certo, è necessario dire addio una volta per sempre al mito del passaggio graduale e pacifico, e a partire da motivazioni e impulsi puramente interni, dal liberalismo alla democrazia, ovvero dal godimento generalizzato della libertà negativa al riconoscimento su scala sempre più larga dei diritti politici. (cap. X, 5, pp. 334-5)
*Epperò, proprio da questa ricostruzione storica, lontana da ogni tono apologetico ed edificante, emergono i reali meriti e i reali punti di forza del liberalismo. Dando prova di una straordinaria duttilità, esso ha cercato costantemente di rispondere e adattarsi alle sfide del tempo. È vero, ben lungi dall'essere spontanea e indolore, tale trasformazione è stata in larga parte imposta dall'esterno, ad opera di movimenti politici e sociali coi quali il liberalismo si è ripetutamente e duramente scontrato. Ma per l'appunto in ciò risiede la duttilità. Il liberalismo ha saputo apprendere dal suo antagonista (la tradizione di pensiero che, prendendo le mosse dal «radicalismo» e passando attraverso Marx, sfocia nelle rivoluzioni che in modi diversi a lui si sono richiamate) ben più di quanto il suo antagonista abbia saputo apprendere dal liberalismo. Soprattutto, l'antagonista non ha saputo apprendere quello che costituisce il secondo grande punto di forza del liberalismo. Certo, il processo di apprendimento dal liberalismo è tutt'altro che agevole, almeno per coloro che vogliono superare le clausole d'esclusione che attraversano in profondità questa tradizione di pensiero. Nessun'altra più di essa si è impegnata a pensare il problema decisivo della limitazione del potere. Epperò, storicamente, questa limitazione del potere è andata di pari passo con la delimitazione di un ristretto spazio sacro: maturando un'autocoscienza orgogliosa ed esclusivistica, la comunità dei liberi che lo abita è spinta a considerare legittima la schiavizzazione ovvero l'assoggettamento più o meno esplicito, imposti alla grande massa dispersa per lo spazio profano. Talvolta si è giunti perfino alla decimazione e all'annientamento. È dileguata del tutto questa dialettica in base alla quale il liberalismo si trasforma in un'ideologia del dominio e finanche in un'ideologia della guerra? (cap. X, 6, p. 339)
 
==Note==
<references/>
 
==Bibliografia==