Joseph O'Connor: differenze tra le versioni

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Si spinse con forza contro lo schienale del sedile e vuotò con un sorso il suo bicchiere di plastica di gin Sealink, notando che quando beveva levava in aria il mignolo tremante, come una duchessa rimbambita o qualcosa del genere. Come Lady Bracknell o un'altra vecchiaccia demente di quelle. Buone maniere. Il padre aveva ragione. L'istruzione non sarebbe mai riuscita a cancellarle.
 
{{NDR|Joseph O'Connor, ''Cowboys & Indians'' – Einaudi, traduzione di Massimo Birattari, Einaudi}}
 
===''Dolce libertà''===
Quasi ogni anno, quando ero bambino, andavo in vacanza con i miei nel Connemara, una regione dell'Irlanda occidentale di una brulla bellezza che ti rimane dentro. Ogni luglio o agosto mio padre e mia madre imballavano il sottoscritto, le mie sorelle urlanti e il mio fratello frignante, oltre a diversi animaletti di casa frastornati, sul sedile posteriore della macchina; e dalla periferia di Dublino partivamo per quattro lunghe ore di viaggio nel cuore dell'Irlanda incontaminata, fermandoci per strada solo lo stretto necessario per consentire a una o l'altra delle mie sorelle – a volte a tutt'e due – di vomitare in modo spettacolare sul ciglio della strada. L'evento sembrava verificarsi sempre e solo nel piccolo borgo di Kinnegad, contea di Westmeath; una circostanza dalla quale non sono mai riuscito a riprendermi del tutto.
 
{{NDR|Joseph O'Connor, ''Dolce libertà'' – Guanda, traduzione di Massimo Bocchiola, Guanda}}
 
===''Il maschio irlandese in patria e all'estero''===
''Mercoledì 15 giugno, ore 7,20.'' Aeroporto di Dublino. Sono a pezzi. Ho finito di fare le valigie alle tre di notte. Adesso sono qui, in coda per il check-in, così stanco che scambierei allegramente il biglietto aereo, le prenotazioni degli hotel e i tre biglietti di categoria A per tutte e tre le partite del primo turno dei Mondiali con una stanza buia, lenzuola pulite e mezz'ora di sonno. La coda è immane. Sono circondato da un gruppo di sei o sette uomini di mezza età che indossano la maglia della nazionale irlandese, calzoni verdi, giacche di cotone verde, scarpe da tennis verdi, enormi sombreri verdi ricoperti di trifogli e arpe, cravattini a stelle e strisce. Hanno in mano bandiere tricolori e striscioni arrotolati. Uno di loro si sta dipingendo di verde, bianco e arancione le guance, strizzando gli occhi e facendo smorfie davanti a uno specchietto, con la sigaretta accesa incollata al labbro. "Non ti sembra un po' troppo?" chiede un tizio. "Al telegiornale continuano a dire che i tizi della dogana non ti fanno passare se hai quella roba in faccia". Il tizio che si sta dipingendo si volta verso di lui: "Non fare il solito finocchio" dice.
 
{{NDR|Joseph O'Connor, ''Il maschio irlandese in patria e all'estero'' – Guanda, traduzione di Massimo Birattari, Guanda}}
 
===''La fine della strada''===
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"Mi aiuti, signore" farfugliò lei con la voce strozzata e quello che Shouldice giudicò un accento americano. "La prego, signore, mi aiuti... io..." E stramazzò come se un corto circuito le avesse fatto saltare la valvola principale. Le si piegarono le ginocchia e barcollò indietro. Allora l'elettricista buttò via il suo sandwich di tacchino per sorreggerla mentre faceva un pensiero strano: nessuno lo aveva mai chiamato "signore".
 
{{NDR|Joseph O'Connor, ''La fine della strada'' – Guanda, traduzione di Massimo Bocchiola, Guanda}}
 
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