Alain de Botton: differenze tra le versioni

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==''Architettura e felicità''==
*Sembriamo divisi tra lo stimolo a trascurare i nostri sensi diventando impassibili all'ambiente circostante e l'impulso opposto a riconoscere che in buona misura la nostra identità è legata indissolubilmente ai luoghi in cui viviamo e si modifica con essi. Una brutta stanza può condensare i sospetti che nutriamo sull'incompletezza della vita, mentre una stanza illuminata dal sole e piastrellata con mattonelle color miele può rafforzare la speranza che ci portiamo dentro. <br>La fede nell'importanza dell'architettura si fonda sull'idea che tutti noi, nel bene e nel male, siamo persone diverse in luoghi diversi e sulla convinzione che sia compito dell'architettura darci un'immagine vivida di ciò che idealmente potremmo essere. (p. 10-11)
*L'architettura desta perplessità anche perchèperché non è affatto in grado di creare quella felicità di cui si serve per attirare la nostra attenzione. Se a volte un edificio seducente ci mette di buon umore, ci sono invece momenti in cui nemmeno il luogo più ameno sarà in grado di sfrattare la nostra tristezza o la nostra misantropia. (p. 15)
*Una casa può trasmetterci uno stato d'animo che siamo incapaci di crearci da soli ma a volte l'architettura più nobile può fare per noi meno di una siesta o un'aspirina. (p. 15)
*Dotata di un potere che è sovente tanto inaffidabile quanto inesprimibile, l'architettura faticherà sempre ad aggiudicarsi le risorse altrimenti destinate a necessità più impellenti. [...] La bella architettura non presenta i vantaggi indiscutibili di un vaccino o di una ciotola di riso e per questo motivo non acquisterà mai rilevanza politica e non diventerà mai una priorità, perché anche se potessimo rimodellare tutte le opere dell'edilizia umana, con sforzi e sacrifici costanti, fino a emulare piazza San Marco, anche se potessimo trascorrere il resto della nostra vita nella Villa Rotonda del Palladio o nella Glass House di Philip Johnson, continueremmo comunque a essere spesso di cattivo umore. (p. 16)